Tu sei (Le ceneri)

By nowheregiuls

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[Completa] [Finalista Italian Writers Award 2017] «Mi amerai ancora tra un'infinità di anni, quando non sarò... More

Istruzioni per l'uso
Prologo
1. Pupille dentro pupille, nero dentro nero
2. Lucky strike
3. I peggio casini
4. 📍Pierrot Le Fou
Note #1 -Killing me softly
5. Crepe nella creta
6. Pessima idea
7. Everest
8. Imparare la pazienza
9.📍 Il Cantine
10. Chi cerca, trova
11. Guarda da qui le luci della città
12. 05:59
13. Mettermi tra te e cento lame
14. Cristoforo Colombo
15. Limiti e scheletri
16.📍 È mejo er vino de li castelli
17. Imparare l'attesa
18. Nuvole bianche, grigie, nere
19. La mela dell'Eden
20. E tutti quanti hanno un amore... 1/2
20. ...sulla cattiva strada 2/2
21. E gli occhi del bambino, quelli non li danno proprio indietro mai
22. I mostri sotto il letto
23. Pericolo caduta stelle
24. Survivor
25. Come sul capo al naufrago l'onda s'avvolve e pesa
26. Imparare il vento
Note #2 - La canzone del sole
27. Ma l'amore ha l'amore come solo argomento... 1/2
27. ...il tumulto del cielo ha sbagliato momento 2/2
28. L'Alfa e l'Omega
Sorpresina EXTRA - Intervista a... 🎙
29. Cosa sei disposto a perdere?
30. If I lose myself tonight
31. Ma questa notte è ancora nostra?
32. 📍Dell'oro e di quel che luccica
33. Inesorabilmente... 1/2
33. ... rosso 2/2
34. L'autunno addosso
35. Fuga da Alcatraz
36. C'era una volta
37. Parola di lupetto
Note #3 - Andrea
39. Innesco
40. Incubi a Capodanno... 1/2
40. ...incubi tutto l'anno 2/2
Primo giorno
Secondo giorno
Terzo giorno
Quarto giorno
Fine primo tempo
Extra
SPIEGAZIONI
RINGRAZIAMENTI + Guida intergalattica alla sopravvivenza
SECONDA PARTE!
Annuncio: lieto evento (it's not a baby)

38. Ghepardi in erba

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By nowheregiuls

Novembre 2010

Milano non è Roma.

È una constatazione semplice, quattro parole in croce messe in fila una dietro l'altra, con un concetto di fondo che persino un bambino di quattro anni saprebbe esprimere. Eppure io ritrovo questa banale e scontata affermazione a pesarmi sulle spalle, a schiaffeggiarmi a mani tese ogni giorno, tra il milione di cose che costellano il mio quotidiano.

La ritrovo tra la nebbia sottile, quasi impalpabile, eppure presente, grigia, opprimente, che si infila strisciando in ogni piccolo anfratto, in ogni spazio, persino in ogni fenditura presente tra mattone e mattone. Milano veste la nebbia come un giubbotto: la indossa, tira la zip e si chiude al resto del mondo.
E il cuore, in questa gabbia grigio fumo, non riposa.

La ritrovo tra l'odore del caffè che aleggia nell'aria che ha una nota tutta sua, un sentore più aspro, perché qui il caffè ti sveglia, ti spinge a iniziare la tua giornata, ché è tardi, ti spinge a studiare di più, produrre di più, è fine a se stesso. È privo di quella componente calda e familiare che ti rimanda a risvegli pigri, pause studio, pranzi ricolmi di portate in cui la torta della nonna proprio non sai dove incastrarla, se tra un cannellone e l'altro o tra l'abbacchio e le patate al forno.

La ritrovo tra la pioggia che frequentemente picchia l'asfalto e si abbatte sugli edifici austeri, sugli uffici, sulla gente incravattata e impomatata che corre qua e là con la sua ventiquattrore, sul traffico, sullo smog. Si abbatte persino sulla gentilezza, permeandola di una sorta di distacco: le persone ti chiedono se hai bisogno di qualcosa, se possono ti aiutano pure, ma lo fanno tenendosi sempre due passi indietro, come se avessero paura a mischiare la propria vita con la tua. C'è come una certa reticenza, sempre, in ogni aspetto. La spontaneità, l'irruenza che, a volte, sfiora l'invadenza, sono solo un ricordo lontano, sbiadito, ingrigito.

La ritrovo tra la frenesia, il dinamismo, la velocità.

E il cuore, ancora, sempre, non riposa.

Col cuore pesante mi sveglio, mi faccio la doccia, faccio colazione al volo con una brioche di sottomarca acquistata al supermercato più vicino, annegata nel latte freddo e Nesquik, ed esco all'ultimo minuto utile. Col cuore pesante mi fiondo trafelata in aula, mi siedo sempre sul lato destro, saluto le compagne di corso con cui ho iniziato a prendere un po' di confidenza, tiro fuori il quaderno e prendo appunti sulla lezione. Col cuore pesante pranzo al volo con un panino che pago a peso a d'oro, studio in biblioteca e poi, finalmente, alle sette e mezzo, costi quel che costi, io lascio tutto e vado ad alleggerirlo un po', questo cuore da dieci tonnellate al battito.

Scappo sul Naviglio Grande, seguo con lo sguardo l'incedere pigro dell'acqua, lo accarezzo, mi ci affido per farmi cullare i pensieri e trascinare tutte le scorie che mi inquinano da dentro. Osservo le luci che si riflettono tremolanti sul pelo dell'acqua come fossero incantesimi lasciati lì ad aleggiare, o lucciole, o semplicemente tutto il buono che c'è e finalmente riesco a respirare, incurante di tutte le persone che schiamazzano, ridono, mi urtano. Incurante di tutti i pensieri che mi sbattono addosso e provano a fermarmi. Il Naviglio è per me come una discarica dell'anima: ci riverso tutto e lascio che la corrente lo trascini via, non so dove e non mi interessa. L'importante è svuotarsi, svuotarsi fino al momento di tornare a casa, quando riprendo ad accumulare brutti pensieri già dai primi passi che muovo sulla strada che mi porta verso il condomino in cui vivo.

Ho preso in affitto una stanza in un appartamento che ha trovato su Subito.it Vanessa, la mia ancora di salvezza, il mio asse liceo-università, l'unica persona che in questa città straniera mi ricorda chi sono, da dove vengo, mi rimanda alla vita che ho voluto strapparmi da dentro con forza, per sostituirla con un'altra che, però, sto rigettando.

Vanessa, che si è iscritta alla facoltà di ingegneria chimica, macina formule, si lancia in ogni serata Rockabilly che riesce a trovare, uscendo di casa in una nube di lacca e profumo, e si perde in questa giungla metropolitana a fotografare il "romanticismo che spacca l'urbano" - cito, testualmente - : la sua missione è scattare fiori ed erba spontanea cresciuti tra le fenditure dell'asfalto o ai bordi dei marciapiedi, rubare baci tra le auto in corsa, imprimere su pixel e pellicola fotografica ogni cuore disegnato sui muri, sui segnali di divieto, sugli adesivi attaccati alle fiancate degli autobus di linea. È perdutamente innamorata di questa città piena di contraddizioni, multietnica, capace di abbracciare mille tradizioni e nessuna allo stesso tempo.

In due soli mesi lei è riuscita a costruirsi un'intera vita e io nemmeno delle vere e proprie amicizie che vanno oltre lo scambio di battute in facoltà. Ero venuta a Milano convinta di dare una svolta alla mia vita, ingozzarmi di cibo agli ape all you can eat e diluire le serate con cocktail raffinati e con più gradazione alcolica che lettere nei complicati nomi e sono finita col rinchiudermi quasi ogni sera in stanza a piangere su film in streaming su Megavideo.
Ogni tanto vado al cinema, però.

Non sono riuscita ad ambientarmi, neanche un po': vivo come in una perenne vacanza, una situazione di precarietà emotiva che non mi permette di affezionarmi a cose, luoghi e persone, considerarli familiari, miei.
Così come mi tengo ai margini della città, mi tengo anche ai margini dell'amore. Non ho nessuna intenzione di cercare qualcosa di nuovo, ché io ho il cuore a tocchi e un po' me lo riesco quasi a immaginare, tutto forato, ma i buchi non sono tondi come quelli della groviera di Tom e Jerry, hanno la forma esatta del profilo di Andrea, delle sue mani, dei suoi ricci, della sua voce, se possibile. Colmarli con qualcosa di diverso, che non sia il loro esatto negativo, produrrebbe come unico risultato il perenne riscontro di quanto ci stanno male, le pezze a colore, e di quanto riescono a far passare gli spifferi.

Guarirò, da sola, prima o poi.

Solo allora vedrò che fare di questo cuore quasi nuovo.

Dicembre 2010

Dev'essere quella cosa di cui parlano tutte le pubblicità, quella su cui si basa la propaganda commerciale in questo periodo, la stessa sostanza, in pratica, di cui sono fatti i sogni e di cui - ne sono certa - si veste ogni sabato sera Maria de Filippi prima di condurre C'è posta per te.

Lo spirito del Natale.

Permea l'aria, inizi a respirarlo insieme al freddo pungente intorno ai primi di dicembre e senza che tu te ne renda conta ti sconvolge i pensieri, riempiendoli di lucine e stelline; ti scioglie il cuore manco fosse una fonduta di cioccolato e ti fa vedere ogni cosa attraverso un filtro di squisita bontà: tutto sembra più bello, magico, meraviglioso e persino Milano acquista un discreto fascino ai miei occhi.
Eh già, proprio così. La stessa grigia, fredda, asettica Milano che in questi mesi sono riuscita ad apprezzare solo saltuariamente.

Il Naviglio si è vestito di un ricamo luminoso, che decora la superficie dell'acqua appena increspata, come se si fosse adornata con un preziosissimo gioiello. Un gigantesco - quindici metri! - albero di Natale si affaccia letteralmente sulla Darsena, circondato dall'acqua su tre lati; c'è persino un enorme Babbo Natale, un piccolo bosco di pini tutti illuminati, tra le cui fronde ci si può perdere ad ascoltare le note delle tipiche canzoni natalizie, e una pista di pattinaggio sul ghiaccio.
Tutte le vetrine addobbate, le cioccolate calde e fumanti con una spruzzata di panna sopra come fosse neve, il calore... tutto sembra trasformare l'atmosfera di Milano, renderla accogliente, luminosa, meravigliosa.

E dev'essere stato lo spirito del Natale ad ammorbidirmi, rendendomi più molle di un Pandistelle inzuppato nel the caldo, e facendo sì che le due Tine siano riuscite a convincermi: una serata, una sola, per divertirmi un po', godermi lo status da matricola, scoprire la vera vita universitaria, quella fuori dai libri, dagli integrali, dalle macchinette del caffè e le biblioteche silenziose. Una sola, prima di tornare a Roma per le feste e poi dedicarmi allo studio matto e disperato in vista della mia prima sessione d'esami.

Cristina e Martina - le due Tine, appunto - sono la rappresentazione vivente del gatto e la volpe. Una bionda procace e dalle fiere origini catanesi la prima e una milanese doc tutta ricci castani e occhiali la seconda, si sono trovate e amate sin dalla prima volta che hanno messo piede in aula. Sono un'associazione a delinquere, una la mente e l'altra il braccio, e quando ci si mettono sono più fatali si un Intruglio Confondente. Seriamente. Non riesco ancora a capire come siano riuscite, alternando preghiere e minacce, a trascinarmi in discoteca. 

E adesso sono nel letto, rannicchiata e voltata verso il muro, in preda a una lancinante emicrania post sbornia e a una paura paralizzante, generata dal fatto che io, di ieri sera, non ricordi nulla, ma proprio nulla nulla, se non fugaci sprazzi pieni di luci e colori e stralci di parole, qualcosa come "Sei bellissima", "Dove ti sei nascosta fino a ora", "Ti cercavo", "Ci penso io a te", "Vieni da me", tutte pronunciate da una voce maschile.

Inizio a sudare freddo, mentre il più cieco terrore mi stringe lo stomaco in una morsa: nutro il serio timore che io ci sia andata davvero, dalla suddetta voce maschile, perché quello in cui sono distesa decisamente non è il mio letto e quella che sento contro la mia schiena non è la pungente aria di dicembre, ma un'altra calda schiena.

Maledetto spirito del Natale.

Maledette Tine.

Con circospezione, cercando di muovermi il più cautamente possibile per non svegliare chiunque si trovi dietro di me, cerco di osservare il mio corpo sotto il piumone e ingoio un grumo di saliva acida quando mi rendo conto che sono in mutande - quelle con le facce dei gattini stampate ovunque, peraltro - e indosso una maglietta extra-large di Iron Man, stinta da chissà quanti lavaggi.

Stupida, stupida, stupida.
Dove sono i miei vestiti?

Appena sento che la persona al mio fianco si volta nel letto, mi rimbocco repentinamente le coperte fin sotto al mento, mi pietrifico e serro gli occhi facendo finta di dormire, come se servisse a cancellare quello che è successo stanotte.
E' escluso che io mi possa girare e possa trovarmi faccia a faccia con l'estraneo: assolutamente, totalmente escluso.

Così, decido di andare in avanscoperta con la mano, cercando di toccare l'estraneo sotto le lenzuola, così magari da aiutarmi a ricordare qualcosa attraverso il tatto. E' una buona idea, o... o almeno credo. Mi muovo lentamente, cercando goffamente di camminare sul materasso con le dita fino a incontrare qualcosa e finalmente riesco a imbattermi in un lembo di pelle non meglio identificato che sembra inspiegabilmente liscio.

Signore, fa che non sia andata con un depilato. Con tutti, ma non con un depilato. Ti prego, Signore, fa che non abbia le sopracciglia ad ali di gabb-

«Che fai, tocchi?» 

Salto sul posto e mi volto di scatto, tirando un sospiro di sollievo quando mi trovo di fronte il grugno insonnolito di Cristina. Ha ancora gli occhi impiastricciati di trucco e il rossetto rosso le si è diffuso per tutta la faccia, rendendola la cugina acquisita di Joker. Ma non credo che glielo dirò, non abbiamo ancora raggiunto un livello di confidenza sufficiente.

«Tina! Mi hai fatto prendere un colpo. Ma come ci sono finita qui? Mi ricordo di aver parlato con un ragazzo, ieri notte, ero convinta di essere a casa sua.»

«Sì, un maschio, come no» borbotta lei. «Ti si era pure avvicinato un tipo, uno alto un metro e una rosetta, certo, però a parte questo piccolo dettaglio un considerevole manzo. Biondo, occhi azzurri, barbetta appena incolta... ricordi qualcosa?»

«Meno di niente» ammetto, mugolando.

«Meglio così, oggi ti saresti mangiata le mani al solo ricordo del ceffone che gli hai mollato quando ha anche solo provato ad approcciarti. Penso abbia a malapena avuto il tempo di dirti ciao.»

«Quindi non ho fatto nulla di imbarazzante?»

«A parte questo? Direi di no. O meglio... ti abbiamo perso di vista a un certo punto, ti abbiamo cercato a lungo e ci stavamo quasi spaventando, ma poi ti abbiamo trovata abbarbicata alla ringhiera delle scale vicino all'uscita, dormicchiavi stordita con la guancia appoggiata al ferro mentre tutti ti scavalcavano per passare; parevi un complemento d'arredo. Sbavavi anche un po'.»

Storco la bocca al solo pensiero. Notte brava di qua, notte brava di là, faremo follie, lo ricorderai per sempre... Direttamente da Roma, il ghepardo di Milano.
Forse nella prossima vita.  

«Avevamo quasi pensato di lasciarti lì» continua, ridacchiando. «Eri in pendant con l'ambiente, sai? Poi però ci siamo impietosite e alla fine ti ho portato a casa mia, ti ho cambiato e ti ho rimesso a letto con un bacio della buonanotte. Ehi, a proposito: belle mutande.»

Le schiaffeggio il braccio sorridendo, fingendomi piccata. Nonostante il mal di testa sembri peggiorare sempre di più, non posso fare a meno di sentirmi quantomeno sollevata: nessun limone estraneo per me, ieri. E dire che quelle frasi mi sembrano così reali! Dev'essere stato un sogno, colpa di quel calciatore dell'Arsenal, Nicola qualcosa, che Cristina segue assiduamente e con i cui poster ha tappezzato l'intera camera - in questo momento per esempio mi fissa sorridendo seducente dalla porta. Dalla carta plastificata ai miei sogni è un attimo, lo sanno tutti.

«Mi alzo, babba. Il caffè non si preparerà da solo e nemmeno l'aspirina. Tu fai come se fossi a casa mia e degnati di muovere il culo per venire ad aiutarmi.»
Con uno scatto repentino, Cristina si alza e si muove verso la cucina, scoprendomi e lasciandomi mugolante e infreddolita. Riprendo comunque sonno per qualche minuto, evidentemente, perché dopo quello che mi sembra un attimo il profumo del caffè si infila prepotentemente nelle narici e Cristina mi urla quanto zucchero voglio.

Mi trascino sul letto fino ad arrivare sul bordo, mi sporgo e raggiungo il comodino per afferrare il cellulare. Chissà che ore sono. Lo sblocco pigramente mentre Cristina ancora sbraita e per poco non cado sbattendo il muso a terra sul tappeto rosso e peloso che si trova sotto al letto.

Nel registro chiamate, alle tre di notte, c'è una chiamata in uscita durata mezz'ora - mezz'ora! - indirizzata ad Andrea. E io non mi ricordo nulla, nulla, se non quella manciata di frasi che ora, improvvisamente, acquistano un vago senso logico.

"Vieni da me."

Salve, gente!

Avevo giurato che non ci sarei ricascata mai, mai, più e invece... la latitanza è stata più forte di me. Avviso che non ho nessun capitolo pronto in bozza, solo idee a mazzi, quindi potrei (ma spero di no) latitare ancora nei giorni successivi. Noi incrociamo le dita e facciamo la danza della pioggia.

Prima di salutarvi e rischiare il linciaggio semicollettivo per il corso degli eventi, volevo farvi notare due cosine piccine picciò:

1. La gif all'inizio del capitolo non è casuale. Nel testo è sparsa una delle battute più famose di Kuzco, che io A-DO-RO. Qualcuno l'ha notata? Conoscete Kuzco?

2. Nicola Bellinari a.k.a. Manzonick is real e che nessuno provi a contraddirmi dicendo che nell'Arsenal non gioca nessun Bellinari. Occhio che mordo. Per ulteriori info -> ItsCrisHere .

Grazie per aspettarmi sempre, io sono un disastro, voi vi meritate il meglio.

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