Selenia - Trono rovesciato

Par Corydona

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LIBRO I - COMPLETO «Agli Autunno piacciono gli scacchi» ribatté lei con dolcezza. «Si racconta di un loro... Plus

Ai lettori
Mappe
1. 1 Figura misteriosa
1.2 Pugnale incriminante
2.1 Lucida follia
2.2 Intrighi di corte
2.3 Alla "Quercia notturna"
3.1 Scherzi del sole
3.3 Litil
3.4 La profezia
Profezia I
4.1 Serena frugalità
4.2 Incontri e misteri
4.3 Il grunmit
4.4 Il duello
5.1 Lupfo-Evoco
5.2 Sotto la luce del tramonto
5.3 Crocevia
6.1 A piedi scalzi
6.2 Maschere
Profezia II
7.1 Il passato non abbandona mai
7.2 Un'oscura visione
7.3 Al Sogno d'argento
7.4 Antica e decaduta stirpe
8.1 Luna oscurata
8.2 Verso Zichi
8.3 Tempio del Sole
9.1 Eterna promessa
9.2 Alandra
9.3 Silenzio
Profezia III
10.1 Prova di colpevolezza
10.2 Giardino abbandonato
10.3 Falsa lettera
11.1 Castello di pietra
11.2 Una nuova meta
11.3 Guerra all'orizzonte
11.4 Partita a scacchi
12.1 Il prezzo della vita
12.2 Pedine e strateghi
12.3 Promessa mantenuta
12.4 Fuga nella notte
13.1 Accordo all'alba
13.2 Nobiltà di cenere
14.1 "Solo allontanandoci possiamo essere vicini"
14.2 Nascosti tra le querce
14.3 Una lettera pericolosa
14.4 Un Veggente
15.1 L'ospitalità di Vudeli
15.2 Esegesi
16.1 Affari di famiglia
16.2 Il re Inverno
16.3 Amanti e alleanze
16.4 Casale abbandonato
17.1 Armonia incrinata
17.2 Quei due
18.1 Di preghiere e di profanità
18.2 La resistenza dell'ambra
18.3 Tumulata viva
19.1 La regina del popolo
19.2 L'azzurro nel mare
19.3 Il mercenario tradito
19.4 Orgoglio e inganni
20.1 Stoffa lacera
20.2 La giusta rotta
20.3 I dubbi dell'Inverno
21.1 Fuga dal mare
21.2 Fredda burattinaia
21.3 All'alba dell'incertezza
21.4 La protezione dell'edera
22.1 L'inganno alla regina
22.2 La pietà di Danào
22.3 Onde rappacificanti
23.1 La spada nel fango
23.2 La scelta di un giusto
23.3 Introvabili per le regine
24.1 I misteri della Luna
24.2 Una rete di illusioni
Indice dei personaggi
Sequel!

3.2 Al cospetto di sua maestà

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Par Corydona


Luciana arrivò nel tardo pomeriggio a Nilerusa, la capitale del Regno di Defi, quando il sole iniziava a scendere verso l'orizzonte, lento e placido, noncurante di quanto accadeva sotto i suoi raggi.

Era una cittadina modesta, con palazzi di due o tre piani, dalle mura esterne tinte di colori chiari e disposti senza geometrie precise. Da ogni finestra, o quasi, si affacciavano vasi pieni di fiori variopinti. I bambini giocavano a rincorrersi nelle strade, senza adulti che li controllassero, e additavano la principessa straniera al suo passaggio, riconoscendola. Lei li salutava con un cenno della mano e con il suo costante sorriso, e procedeva innanzi, ormai senza fretta, dal momento che le era sufficiente attraversare tutta Nilerusa e percorrere una breve strada in campagna, prima di arrivare al castello di Defi.

Il viaggio era durato poco, esattamente come era nelle sue aspettative. Durante quell'ultimo tratto che la separava dalla reggia dei Primavera, pensò a cosa avrebbe potuto dire ad Alcina per convincerla a lasciar partire Flora: avrebbe cercato di tirarla dalla sua parte, ben conscia che la regina non era certo il tipo da lasciarsi persuadere tanto facilmente; tuttavia Luciana pensava che si sarebbe dimostrata comprensiva e che alla fine avrebbe ceduto. Non era nelle sue intenzioni portare via la principessa con la forza: se la sovrana fosse rimasta sulla sua posizione, lo avrebbe accettato, ma allora con quale altro espediente avrebbe potuto tenere Nicola lontano dai guai?

Il cavallo la condusse fino al castello, costeggiando il cortile esterno e la siepe alta poco più di due metri, che nascondeva uno spesso muro in marmo; oggetto di ornamento più che di utilità difensiva. Alle soglie dei numerosi ingressi, sostavano coppie di sentinelle, con lance recanti lo stemma della casata Primavera, da cui discendeva la regina: un roseo fiore di magnolia su uno sfondo bianco, uguale a quello intessuto sulle piccole bandiere issate ad ogni cancello in ferro battuto.

Quando Luciana aveva domandato alla sovrana il motivo per cui i simboli della famiglia del marito erano assenti, si era sentita rispondere che il Defi era stato, in passato, per più tempo sotto il dominio dei Primavera, che degli Inverno: se Erik avesse ereditato il regno, avrebbe potuto apporre lo stemma che avrebbe preferito.

La Lugupe fece un lieve cenno con il capo, come volendo allontanare il ricordo, tuttavia a distrarla fu una scena curiosa che si presentò davanti ai suoi occhi.

Proprio presso uno dei cancelli, la giovane scorse delle sentinelle discutere animatamente con un ragazzo, che agitava un mazzo di rose bianche, i cui gambi erano legati da una cordicella sottile. Era alto quasi quanto Erik, ma l'accalorato gesticolare dichiarava l'appartenza a un ceto sociale molto inferiore, così come i pantaloni logori, di un originario color marroncino ingrigitosi con il tempo. Luciana dedusse che si trattava di un contadino, ma da lontano non riusciva a capire quale fosse il motivo di tensione con le guardie. Incuriosita da quell'insolita scena, spronò il cavallo ad accelerare il passo e, non appena si fu avvicinata a sufficienza, ne scese udendo parte della lite.

«Voglio solo portarli alla principessa, non mi sembra di chiedere tanto!» diceva esasperato il giovanotto, come se avesse ripetuto molte volte quella richiesta. Gli occhi di cenere imploravano ragionevolezza, accesi dalla discussione e dalla via che veniva loro sbarrata. Non sembrava aduso a discutere con chi difendeva il castello e i suoi residenti, ma Luciana non capiva come un umile contadino potesse essere pericoloso, se armato di un semplice mazzo di rose.

«Non si può! La regina Alcina ha dato ordine di non lasciarti entrare. Quei fiori stanno bene lì con te!» ribatté la prima delle guardie, un uomo alto quasi due metri e dalla voce tanto profonda da far vibrare l'aria come un tuono nella notte.

«Ma come è possibile che non si possano nemmeno offrire omaggi alla principessa?» insisteva il ragazzo. Nonostante l'assenza di serenità nelle sue parole e nella veemenza dei gesti con cui le accompagnava, sulle sue labbra sottili era impresso un sorriso gioviale.

«Sono i tuoi, di omaggi, che la pongono in una posizione scabrosa e che macchiano la sua persona!» sbottò la seconda guardia, più minuta dell'altra, ma dall'indole molto vivace, come indicava il rossore sulle sue guance: probabilmente era il più preso da quel vivace scambio verbale.

«Io?» esclamò lui sbalordito, come se non credesse alle proprie orecchie. «Sono solo un suddito felice di avere una principessa come lei!»

«Tutte scuse! Se insisti ancora nel voler entrare, ti rinchiuderemo in cella!»

Il popolano fu sul punto di replicare un'altra volta, ma si trattenne, vedendo giungere dalla strada che conduceva alla capitale quella che aveva tutta l'aria di essere una nobile. Il mento alto, la fattura ricercata del mantello da viaggio, il passo cadenzato e l'inchino reverenziale che le due sentinelle le rivolsero erano ben più di qualche indizio per l'occhio ingenuo del ragazzo, che osservò la scena sperando in un aiuto per uscire da quella situazione incresciosa.

«Che cosa succede?» chiese Luciana con autorevolezza, esigendo una risposta dettagliata dalle guardie.

«Vedete, costui infanga il nome della principessa recandosi qui ogni giorno con doni...» iniziò a dire l'uomo dalla voce tonante.

«... perciò la regina ha stabilito di non lasciar entrare né lui, né qualsiasi tipo di regalo» finì l'altro, baldanzoso. Probabilmente si aspettava che l'erede dei Lugupe appoggiasse le direttive imposte dalla sovrana, ma la fanciulla scrutava con attenzione quell'insolente con particolare interesse.

Luciana cercava di trovare dei segni che le permettessero di riconoscerlo, o di capire in quale modo quel popolano fosse collegato alla sua pari grado, ma all'improvviso si ricordò che aveva udito delle dicerie su una presunta relazione tra Flora e un ragazzo di estrazione umile: pensò che si trattasse di lui, che fosse a causa di quel poveraccio coperto di stracci consumati che lei non aveva intenzione di sposare Nicola.

Quello lì? Aveva il viso pulito e lavato, l'espressione gioviale, nonostante la discussione con le sentinelle, e i capelli arruffati non erano oleosi come lei si sarebbe aspettata da un popolano; ma tali considerazioni non le impedirono di provare un certo disgusto. Se non fosse stato per Flora, si sarebbe davvero presentato in quelle condizioni? Luciana lo escluse con fermezza; ritenne, però, che non fosse il caso di inimicarsi lo spasimante della principessa.

Represse il suo fastidio e disse, risoluta: «Parlerò con la regina e provvederò a far in modo che almeno a queste rose venga consentito di varcare la soglia dei cancelli.»

Una delle guardie aprì la bocca per controbattere, ma la richiuse ad un cenno autoritario della giovane, che si compiacque del rispetto che le era riservato.

Il ragazzo si sedette sul muricciolo marmoreo che costeggiava la via lastricata, e controllò che le rose non si fossero troppo sciupate. Luciana gli rivolse un falso sorriso incoraggiante e superò le guardie, entrando nel giardino.

L'erba era tagliata in maniera perfetta, né troppo lunga né troppo corta, alcuni sentieri di ghiaia disegnavano curve tra spinosi cespugli di rose colorate ed eleganti alberi di magnolia. Su alcune panchine in ferro battuto uomini e donne di corte si intrattenevano in conversazioni dall'apparenza frivola. Al passaggio della principessa straniera le porgevano saluti di riverenza e le chiedevano ulteriori notizie circa l'uccisione di re Guglielmo, oltre a quelle che erano giunte sin lì. Lei rimaneva sul vago, sostenendo di saperne molto poco, e domandava a sua volta se fosse possibile conferire con la sovrana, o se la regina di Defi fosse indisposta o se stesse ricevendo qualche delegazione nella sala del trono.

Una delle dame, con fare civettuolo, rispose che al mattino c'era stato un alterco tra lei e la principessa e che Alcina era di cattivo umore, mentre la figlia non era uscita affatto dalla propria camera per tutta la giornata. La figlia dei sovrani aveva negato la sua presenza alle delegazioni, che si aspettavano di vederla al fianco della madre, giunte da ogni angolo del regno per discutere della politica agricola da seguire per l'annata successiva.

Questo fu sufficiente a Luciana per collegare il comportamento di Flora all'impossibilità di ricevere le rose dal suo spasimante, così salutò i cortigiani e proseguì fino al castello, dopo aver affidato il cavallo a uno dei servi e si incamminò verso la reggia.

Era un edificio costruito appositamente per destare meraviglia in chiunque lo vedesse: si sviluppava in verticale, pur avendo una base molto ampia, e le pareti esterne riflettevano la luce, tanto da far sembrare che ci fossero due soli; avvicinandosi si potevano quasi distinguere dei movimenti al suo interno, come se si trattasse di un vetro opaco. L'entrata principale era larga almeno due metri e dava su un immenso salone, dal quale partivano due scalinate speculari che conducevano ai piani superiori. Anche al suo interno le pareti del castello risplendevano, senza nuocere agli occhi, di una luce fioca, quasi un'eco di quella che illuminava il cielo. Luciana chiese imperiosa a un servitore, dove potesse incontrare la regina e, ottenuta la risposta che si attendeva, si precipitò nella sala del trono, dopo aver consegnato il suo spadino perché fosse custodito nell'armeria.

Giunta sulla soglia, la prima cosa che colpì la Lugupe fu l'assenza di qualsiasi membro della corte. Notò, inoltre, un piccolo cambio nell'arredamento dalla sua ultima visita: il tappeto rosso fiammante che collegava l'ingresso della sala con i due scranni, in quel momento vuoti, era stato sostituito con uno verde smeraldo. Il vitreo pavimento non si era mai incrinato, nonostante nobiluomini e popolani di ogni dove vi avessero impresso i propri passi nel corso dei secoli, in udienza dai sovrani o per presenziare a richieste di altri sudditi o forestieri. Le pareti di cristallo, spoglie di arazzi come lo era tutto il castello, riflettevano la flebile luce del sole, che entrava dall'ampia finestra spalancata, nella cui direzione era rivolta la figura della regina, intenta a rimirare il tramonto e le diverse tinte del cielo. Le ante di vetro, alte quanto l'intero salone, erano spalancate verso l'esterno, e lasciavano vedere il paesaggio che i giardini creavano, con la simmetria delle siepi, dei viali alberati e delle fontane, realizzati secondo precise geometrie molto prima che Alcina salisse al trono. L'unico luogo del regno che avesse ordine, come sovente pensava la sovrana.

La regina non dava segno di essersi accorta dell'arrivo della giovane nobile che tanto la stimava e tanto aveva timore di lei, nonostante l'ottimo rapporto che intercorreva tra le due, e continuava a contemplare assorta lo spettacolo che il cielo e antichi giardinieri le offrivano come ricompensa dei suoi affanni.

«Mia regina» disse Luciana, inginocchiandosi con grande rispetto. Provava una sincera e assoluta venerazione per la donna e per il re del sud che questa aveva sposato: sebbene si trattasse di un matrimonio combinato, i due avevano formato una coppia che aveva sincronia di vedute e di opinioni, dotata di grande intelligenza e arguzia, tanto da renderli i regnanti più stimati di ogni terra, il cui parere diveniva, molto spesso, più importante di quello di chiunque altro in tutta Selenia.

Entrare in buoni rapporti con Tancredi Inverno e Alcina Primavera molto spesso si rivelava decisivo per la salvezza di un regno o di un altro. Un loro intervento poteva impedire guerre, creare pacifiche alleanze e bloccare sul nascere contrasti di ordine sovranazionale. Anche se spesso entravano in conflitto con l'unico altro casato tanto potente quanto ricco: quello degli Autunno, che governava nel Ruxuna.

Era a loro che la regina rivolgeva i suoi pensieri, al pericolo che la loro figlia mediana era per i popoli limitrofi per la celere conquista di regni vicini, sottoposti a un regime militare esercitato dalla giovane Raissa, senza che nessun'altra forza fosse stata in grado di opporvisi. Quello strapotere bellico era una minaccia ben più grave di quanto molti credessero.

«Una dolce voce familiare» sorrise Alcina voltandosi verso di lei. Era bella, di una bellezza da togliere il fiato. Portava in volto uno dei suoi splendidi sorrisi e per un istante anche gli occhi chiari scintillarono nel vedere la fanciulla nobile, che alzò coraggiosamente lo sguardo verso di lei. I capelli corvini erano raccolti in un'acconciatura elaborata. Aveva un portamento elegante, che mostrava la fierezza del suo carattere e la consapevolezza del proprio potere. Scuotendo a ogni passo la lunga veste smeraldina, si avvicinò con solennità a Luciana, che non si era mossa di un millimetro. «A cosa devo la gioia della tua presenza? Credevo fossi impegnata nell'impedire una guerra.»

La giovane raccolse i propri pensieri, prima di rispondere all'inaspettata domanda della regina. Non credeva di dover rendere conto della sua assenza dallo Dzsaco e si diede della sciocca per non averci riflettuto, concentrata com'era su Flora prima, sullo spasimante poi. «Pare che ogni sforzo sia andato a buon fine: non ci sono soldati che minacciano il confine tra Dzsaco e Ruxuna, o almeno non ce n'erano al momento della mia partenza. Il motivo che mi spinge qui così all'improvviso è un altro.» Tacque, incerta su come proseguire il discorso.

Alcina dovette comprendere qualcosa; il volto di Luciana aveva assunto un'espressione seria e preoccupata. «Riguarda la morte di Guglielmo?» domandò, spegnendo il suo sorriso. La triste notizia era giunta sin lì, ma lei non aveva avuto occasione, né tempo, per dolersi della scomparsa del fedele alleato.

La Lugupe annuì. «Le sorti dello Cmune ora sono in mano vostra: la mia paura più grande è che qualcuno approfitti di questa disgrazia per accusarne il Principe Nicola e lui non è nella posizione migliore per difendersi, privo com'è di qualsiasi appoggio. Certamente la regina Felicita non permetterà mai che lui venga imprigionato, ma il lutto la sta tenendo lontana dalla corte e non sa delle chiacchiere dei cortigiani, che sarebbero compiaciuti della rovina del principe. Prima si farà il matrimonio tra Nicola e vostra figlia, tanto più presto a lui verrà riconosciuto il titolo di re; finché la sua posizione non sarà solida, temo per lui. Vengo a chiedervi di lasciare che vostra figlia parta con me per lo Cmune e che laggiù dia le indicazioni necessarie per far sì che questo matrimonio si celebri. È comune opinione che, con lei al suo fianco, Nicola acquisterà stima e considerazione, e che diverrà allora intoccabile per chiunque avrà da ridire sul suo improbabile coinvolgimento nella morte del padre. So che voi siete restìa a permettere che Flora ci vada senza già esserne la moglie, ma l'urgenza della circostanza richiede la sua presenza.»

Congiunse le mani, in segno di preghiera. Nessuna delle due si era mossa mentre la giovane parlava. Alcina si avvicinò di un passo alla finestra, pensierosa. Il volto corrucciato le donava un'aria, se possibile, ancora più maestosa: comprendeva l'importanza delle parole di Luciana e capiva di dover rivedere la sua posizione. Guardò fuori il sole che scendeva verso il lontano orizzonte, e sospirò.

«Sai che le nozze tra Flora e Nicola sono uno dei miei desideri più grandi. Quello che dici tu è molto importante e mi spinge ad acconsentire alla tua richiesta. A questo punto dovrai convincere lei, ma credo che oggi la vostra partenza non sarà possibile: l'ora della sera è quasi giunta e non vi metterò in viaggio durante la notte. Inoltre, lei è chiusa nella sua camera e rifiuta cibo e visite. Stamani sono entrata con la forza e non mi è parsa affatto felice di vedermi.»

La regina sospirò di nuovo, poco entusiasta nell'accennare a quell'episodio, ma, se non fosse stata consapevole che Luciana non vedeva difetti in lei, non avrebbe mai menzionato quanto accaduto. La principessa dal sorriso gaio era una preziosa alleata e Alcina sapeva che quella piccola confidenza non avrebbe che aumentato la venerazione della Lugupe nei suoi riguardi.

«Tuttavia, credo che per te sarà più semplice parlarle. Ora puoi andare» la congedò, indicandole l'ingresso spalancato con il braccio aperto, desiderosa di tornare a godere di quel panorama che poneva pace nel suo animo. Erano pochi i momenti che poteva dedicare a sé stessa e alle proprie afflizioni e, d'altronde, non aveva più niente da aggiungere. La giovane però rimase immobile, come se per lei il discorso non fosse finito lì.

«Mia regina, ho un'ulteriore richiesta, se posso abusare della vostra bontà. Fuori dai cancelli ho avuto modo di vedere...» iniziò Luciana, che non aveva dimenticato quello che ora appariva come un ottimo stratagemma per conquistare la fiducia di Flora.

«So per certo chi e cosa hai visto» la interruppe Alcina, ora divenuta brusca, volgendosi verso il cielo privo di nuvole e verso le chiome scosse dal vento. «Non ho intenzione di tollerare che quel plebeo abbia a che fare con Flora. Vai.»

Luciana, comprendendo l'irremovibilità della sovrana, si alzò in piedi e uscì dalla sala del trono cercando di non alterare il silenzio che ora dominava la scena, lasciando Alcina in quella muta contemplazione.

Non appena udì i passi della giovane farsi sempre più lontani, la donna uscì nei giardini e approfittò della solitudine per indirizzare una breve preghiera alla prima delle stelle che apparve a illuminare la volta celeste.

«Arrivano tempi oscuri» mormorò. «Concedimi la forza per superarli e per riportare la luce su Selenia.»

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