20.1 Stoffa lacera

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L'aria era pregna dell'odore acre del vino. Quando le era stato detto di recarsi lì alle prime luci dell'alba per qualsiasi affare avesse per le mani, non avrebbe pensato di trovarsi in un covo di ubriaconi che avevano trascorso la notte a fare baldoria. Diede un'occhiata al cavallo, che aveva legato al palo in legno più vicino, che sembrava essere sistemato apposta, e bussò a quella porta dal legno scuro, senza aspettarsi una risposta veloce.

Invece l'uscio si schiuse, mostrando la figura di una donna che la squadrava da uno spiraglio aperto, con un occhio che sembrava uscirle dalla palpebra per lo sforzo di scrutarle fin dentro l'animo.

Luciana fu sul punto di parlare, ma sentì la punta di una spada premere contro la sua schiena.

«Entra, straniera» disse in un soffio una voce giovane alle sue spalle. Sembrava quella di un ragazzo che cercava di imitare la compostezza e l'autorità di un adulto.

Lei non ebbe il tempo di voltarsi, perché la pogudfiana aveva spalancato l'uscio e lei fu spinta all'interno, cadendo sul pavimento. Sentì un improvviso bruciore al ginocchio destro e, quando si rialzò da terra, si accorse che i suoi pantaloni si erano lacerati, e che si era aperta una piccola ferita da cui perdeva del sangue. Strinse gli occhi per trattenere la fitta di dolore.

«Era proprio necessario? Si trattano così i clienti?» sbraitò la donna, anche se a bassa voce. «Guarda, si è anche fatta male! Subito, va' a prendere delle bende.»

Quello non ribatté, si limitò a chiudere la porta alle spalle di Luciana, che rimaneva immobile in piedi, fissando sorpresa quella donna. Non sapeva affatto che cosa aspettarsi: se quello non era il migliore dei modi di essere ricevuta, aveva capito che si trattava di un'incomprensione e che i due ci fossero motivi di tensione. Forse erano madre e figlio? Ne dubitava, lei non aveva l'aria di essere già madre e non le avrebbe attribuito un'età sufficiente per avere un suo adolescente a cui badare.

«Non avrebbe dovuto farti cadere, pensava che saresti entrata da sola» disse la sconosciuta a mo' di scusa. «Sei ancora in piedi? Su, siediti lì!»

Luciana non si era accorta che le indicava un tavolo attorno a cui erano sistemate delle sedie di legno. Si trascinò alla più vicina, con una mano al ginocchio sanguinante. Portò una mano alla tasca del mantello, per controllare che non le fosse caduto il sacchetto con il pagamento per i mercenari; per fortuna era ancora lì.

«Temo che dovremo tagliarti i pantaloni, per curare la ferita» commentò la donna, una volta che si fu avvicinata per osservare la gamba della Lugupe. «Erano tanto costosi? Altrimenti posso procurartene degli altri.»

«Sì, erano costosi» disse Luciana, con stizza. «Ma ormai sono rovinati.»

«Quell'idiota di Giuseppe...» biascicò ancora la donna. «Da quando Arturo se n'è andato, pensa di poter prendere il suo posto.»

Alla principessa di Dzsaco non importavano quei discorsi, lei era lì per una ragione: e invece si ritrovava con un ginocchio sanguinante e con i pantaloni laceri.

E questa continua a blaterare.

«In ogni caso, io sono Greta» disse la sconosciuta, porgendole la mano.

«Non hai un cognome?»

Lei scrollò le spalle, ma senza ritrarre la mano. «Non li usiamo quasi mai.»

La Lugupe la strinse. «Allora io sono Luciana.»

Il giovane che l'aveva spinta all'interno ritornò con alcuni lembi di stoffa tagliati in maniera regolare e una bottiglia di vetro dal liquido trasparente. La donna spostò una sedia di fronte alla sua ospite e le sollevò la gamba, fino a farle poggiare il piede lì sopra.

Selenia - Trono rovesciatoWhere stories live. Discover now