10.1 Prova di colpevolezza

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L'antico salone in cui i Lupfo-Evoco si riunivano era gremito di dignitari, reali e nobili giunti da ogni angolo di Selenia. Le pareti di pietra erano spoglie, sintomo del disuso di quel palazzo, un tempo dimora dei sovrani di Cmune. Secoli prima risiedevano lì, in una costruzione austera e solida, che sembrava quasi dimostrare la rigida inflessibilità della corona, già in mano della casata Lotnevi. E ora che il regno di Nicola vacillava, riunirsi in quel luogo sembrava un oltraggio all'ultimo erede della nobile famiglia.

Il contrasto con l'allegro chiacchiericcio dei presenti turbava Giampiero che, seduto allo stesso posto da qualche minuto, faceva tamburellare le dita sulla propria coscia. Cercava con ogni sforzo di non lasciar trapelare il nervosismo che lo aveva colto alla vista dei nobili che si scambiavano complimenti e facezie come se fossero seduti attorno a un banchetto di festa, e non radunati per discutere di un argomento che poteva valere la vita o la morte di un principe. Lui e Roberto De Ghiacci erano tra i pochi ad avere un'aria grave.

Lo sguardo del marchese si soffermò su una donna che sedeva all'altro capo della sala. Lavinia Lugupe osservava il vuoto inerte, ignorata dal resto della turba, che la salutava appena con un cenno del capo o con un inchino.

«Ieri hai parlato con la regina Lugupe» sussurrò a Roberto.

«Sì» annuì lui. «Non mi sembra che stia tanto bene. Anche se si è fatta forza per venire qui, sembra che abbia la febbre... guarda che faccia pallida!»

Giampiero sospirò, pensieroso. Pur da lontano, la regina di Dzsaco appariva malandata, come in uno stato avanzato di un misterioso male. Sentiva il dovere di conferire con lei non appena gli si sarebbe presentata l'occasione: se Alcina avesse mandato Luciana, avrebbe almeno potuto avere la figlia al suo fianco.

«Secondo te ha la febbre?» chiese, atono. Non voleva mostrare un reale interesse per la donna, ma non poteva fare a meno di essere preoccupato; non si trattava solo di politica: c'era qualcos'altro che occupava lo stesso posto nel suo cuore.

«Credo di sì» rispose secco Roberto. «Altrimenti non si spiegherebbe quel colorito.»

Gli occhi scavati della donna si sollevarono, incrociando per un istante quelli del marchese, che si fece pietoso. Comprendeva le paure dei sovrani di Dzsaco, se Raissa Autunno si fosse decisa ad attaccarli: le loro difese potevano rimanere scoperte se si fossero aperti più fronti. E la disfatta sarebbe stata solo una questione di tempo.

«Gentiluomini, gentildonne, vi richiamo all'ordine!» esclamò un funzionario con voce profonda e tonante. «Sta per avere inizio la sessantasettesima conferenza dei Lupfo-Evoco.»

Giampiero sospirò, osservando la folla riprendere il proprio posto nel salone semicircolare, ai banchi di pietra.

«Speriamo che i nostri sforzi di ieri non siano stati vani» mormorò all'indirizzo dell'altro.

«Non saprei dirti» commentò Roberto, incupendosi. «Qui sembra che a nessuno importi davvero di Nicola. Guardali: sembrano tutti ospiti di una di quelle ridicole feste dei Dal Mare!»

«Non tutti, però» precisò il marchesino. La sua attenzione era appena stata attirata da Oreste Dei Prati che parlottava con la figlia Aria: conosceva la delicata situazione tra il loro regno e il limitrofo Foglie Cadute, così come sapeva che i sovrani Delle Foglie erano stati uccisi.

E se dietro la morte di Cinzia e Mercuzio Delle Foglie ci fosse stata la stessa mano che aveva eliminato Guglielmo Lotnevi?

«L'unico inconveniente dello sposare Aria Dei Prati sarebbe avere a che fare con il suo popolo» bisbigliò Roberto, che si era accorto dello sguardo di Giampiero, traendone una conclusione sbagliata. «Piuttosto che sopportare degli stupidi contadini che non sanno stare al loro posto, vado a fare il minatore nel Nutixa. Loro hanno più dignità.»

Selenia - Trono rovesciatoWhere stories live. Discover now