3.2 Al cospetto di sua maestà

540 85 508
                                    


Luciana arrivò nel tardo pomeriggio a Nilerusa, la capitale del Regno di Defi, quando il sole iniziava a scendere verso l'orizzonte, lento e placido, noncurante di quanto accadeva sotto i suoi raggi.

Era una cittadina modesta, con palazzi di due o tre piani, dalle mura esterne tinte di colori chiari e disposti senza geometrie precise. Da ogni finestra, o quasi, si affacciavano vasi pieni di fiori variopinti. I bambini giocavano a rincorrersi nelle strade, senza adulti che li controllassero, e additavano la principessa straniera al suo passaggio, riconoscendola. Lei li salutava con un cenno della mano e con il suo costante sorriso, e procedeva innanzi, ormai senza fretta, dal momento che le era sufficiente attraversare tutta Nilerusa e percorrere una breve strada in campagna, prima di arrivare al castello di Defi.

Il viaggio era durato poco, esattamente come era nelle sue aspettative. Durante quell'ultimo tratto che la separava dalla reggia dei Primavera, pensò a cosa avrebbe potuto dire ad Alcina per convincerla a lasciar partire Flora: avrebbe cercato di tirarla dalla sua parte, ben conscia che la regina non era certo il tipo da lasciarsi persuadere tanto facilmente; tuttavia Luciana pensava che si sarebbe dimostrata comprensiva e che alla fine avrebbe ceduto. Non era nelle sue intenzioni portare via la principessa con la forza: se la sovrana fosse rimasta sulla sua posizione, lo avrebbe accettato, ma allora con quale altro espediente avrebbe potuto tenere Nicola lontano dai guai?

Il cavallo la condusse fino al castello, costeggiando il cortile esterno e la siepe alta poco più di due metri, che nascondeva uno spesso muro in marmo; oggetto di ornamento più che di utilità difensiva. Alle soglie dei numerosi ingressi, sostavano coppie di sentinelle, con lance recanti lo stemma della casata Primavera, da cui discendeva la regina: un roseo fiore di magnolia su uno sfondo bianco, uguale a quello intessuto sulle piccole bandiere issate ad ogni cancello in ferro battuto.

Quando Luciana aveva domandato alla sovrana il motivo per cui i simboli della famiglia del marito erano assenti, si era sentita rispondere che il Defi era stato, in passato, per più tempo sotto il dominio dei Primavera, che degli Inverno: se Erik avesse ereditato il regno, avrebbe potuto apporre lo stemma che avrebbe preferito.

La Lugupe fece un lieve cenno con il capo, come volendo allontanare il ricordo, tuttavia a distrarla fu una scena curiosa che si presentò davanti ai suoi occhi.

Proprio presso uno dei cancelli, la giovane scorse delle sentinelle discutere animatamente con un ragazzo, che agitava un mazzo di rose bianche, i cui gambi erano legati da una cordicella sottile. Era alto quasi quanto Erik, ma l'accalorato gesticolare dichiarava l'appartenza a un ceto sociale molto inferiore, così come i pantaloni logori, di un originario color marroncino ingrigitosi con il tempo. Luciana dedusse che si trattava di un contadino, ma da lontano non riusciva a capire quale fosse il motivo di tensione con le guardie. Incuriosita da quell'insolita scena, spronò il cavallo ad accelerare il passo e, non appena si fu avvicinata a sufficienza, ne scese udendo parte della lite.

«Voglio solo portarli alla principessa, non mi sembra di chiedere tanto!» diceva esasperato il giovanotto, come se avesse ripetuto molte volte quella richiesta. Gli occhi di cenere imploravano ragionevolezza, accesi dalla discussione e dalla via che veniva loro sbarrata. Non sembrava aduso a discutere con chi difendeva il castello e i suoi residenti, ma Luciana non capiva come un umile contadino potesse essere pericoloso, se armato di un semplice mazzo di rose.

«Non si può! La regina Alcina ha dato ordine di non lasciarti entrare. Quei fiori stanno bene lì con te!» ribatté la prima delle guardie, un uomo alto quasi due metri e dalla voce tanto profonda da far vibrare l'aria come un tuono nella notte.

«Ma come è possibile che non si possano nemmeno offrire omaggi alla principessa?» insisteva il ragazzo. Nonostante l'assenza di serenità nelle sue parole e nella veemenza dei gesti con cui le accompagnava, sulle sue labbra sottili era impresso un sorriso gioviale.

Selenia - Trono rovesciatoWhere stories live. Discover now