23.2 La scelta di un giusto

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Nella tenuta dei Dogli Nicola si era trovato a suo agio sin da subito. Teresa e Mauro avevano accolto a braccia aperte lui e Altea, come se si fosse trattato di due figli che erano tornati a casa dopo una lunga assenza, mentre il loro Gaetano si imbarcava per un viaggio verso il Pecama.

Era metà mattinata e lui sedeva insieme a Teresa, che rammendava alcuni vestiti, sotto un porticato che affacciava verso i campi coltivati. Davanti a loro, diversi contadini si occupavano di curare la terra e le colture e il principe cmunico si sentiva tremendamente inutile, lì, illustre ospite e prigioniero sfuggito alla morte. Per non introdursi anzitempo nel regno di Luna e Danào, era costretto a fingere qualcuno che non era, a nascondersi in un luogo che qualsiasi altro nobile avrebbe considerato ostile.

«Cos'è che ti turba?» gli chiese la donna, con voce affettuosa. Recise con i denti il filo legato all'ago, poi puntò i suoi penetranti occhi scuri in quelli chiari e confusi di Nicola.

«Nulla» mentì lui. Si era abituato fin da subito all'uso del tu che vigeva nel Pogudfo e vedere di essere trattato come gli altri lo rincuorava: aveva l'impressione di essere una persona qualunque, non un principe fuggiasco. E la dolcezza di Teresa, insieme a tutte le attenzioni che lei aveva profuso per assicurarsi che lui e Altea trascorressero i giorni lì con serenità gli restituiva il piacere di essere accudito e protetto non per chi era, ma per il semplice fatto di essere.

«Ho capito subito come sei fatto: non riesci a nascondere se qualcosa non va» commentò lei.

«Ci sono un po' di cose che mi preoccupano» ammise lui, guardando i contadini al lavoro. Pensò a sua madre, a quel gesto estremo a cui era stata portata dalle circostanze. Pensò a quell'incendio che aveva divorato il luogo in cui aveva sempre vissuto fino alla sua fuga di alcuni giorni prima. Si chiese se quel sacrificio di così tante persone, nobili e non, era stato giusto al solo scopo di salvare lui.

«Se vuoi, puoi parlarne.»

Nicola si lasciò cadere all'indietro sulla sedia intessuta di vimini. «Non so se ne è davvero valsa la pena. Io sono un uomo solo. Uomo, poi... diciamo che sono soltanto uno. Mia madre ha permesso che l'intera corte morisse, a condizione che io sopravvivessi... Per me non ha senso.»

Grazie ad Altea sapeva chi c'era a palazzo, che Matilde Estate e Amelia Autunno avevano trovato la morte tra quelle fiamme che erano servite per nascondere la sua fuga.

E Saro... lui non c'è più...

Gli sembrò folle ricordare solo in quel momento il suo cameriere personale, una delle pochissime persone che davvero gli erano fedeli. Nell'incendio si era polverizzata l'esistenza dei soldati che lo sorvegliavano, i cuochi che dormivano a corte, le cameriere, gli uomini di servizio... Tanta gente che nessuno avrebbe ricordato, ma che per lui era importante.

Perché quando sentivo su di me le occhiatacce dei cortigiani, era nelle loro sale del palazzo che mi rifugiavo. Era una compagnia diversa da quella che avrei dovuto frequentare, ma con loro stavo bene.

«Sono state uccise delle persone al mio posto» disse ancora. «Forse io non meritavo di morire, ma loro non meritavano di essere sacrificate per me. Eppure io sono qui, sto con voi... cioè, con te, qui a guardare loro che lavorano. E loro sono molto più utili di quanto possa essere io.»

Tacque, e buttò fuori un profondo sospiro. Teresa gli sorrise, senza perdere di vista il suo ago e filo, a cui continuava a dedicarsi. La pogudfiana non parlò, aspettando che il principe cmunico riprendesse il suo discorso.

«Salvare solo una persona e farne morire almeno un centinaio... Ma cosa è venuto in mente a mia madre? Mi ero accorto che era cambiata dalla morte di mio padre, ma questo... questo, per Danào, va oltre qualsiasi cosa avrei potuto immaginare! Inizio a pensare che fosse completamente impazzita...»

Selenia - Trono rovesciatoWhere stories live. Discover now