Hybrid - L'Esperimento

By AlessiaSanti94

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Il mondo non è abitato solo dagli esseri umani. Loro lo ignorano, convinti di essere l'unica forma di vita pr... More

BOOK TRAILER HYBRID
.
1. Turno di Ronda
2. Buon Compleanno!
3. L'Incontro.
4. L'Attacco.
5. La Caserma.
6. Il Signor Clint.
7. Il Racconto - parte 1.
8. Il Racconto - parte 2.
9. Piano d'Azione.
10. Il Test - parte 1.
11. Il Test - parte 2.
12. Risposte.
13. Presentazioni Ufficiali.
14. Addio.
15. Cambio di Programma.
16. Il Nuovo Team.
17. Nuove Conoscenze.
18. Primo Allenamento.
19. Difesa Demoniaca.
20. Impegnarsi di Più.
21. Sogni Reali.
Genuine Goals!
22. Questione di Tempra.
23. In Missione.
24. Inferiorità Numerica.
25. Grazie.
26. Notti in Bianco.
27. Territorio Minato
28. Decisioni Notturne
29. Sensi di Colpa.
30. La Cura.
31. Voci.
32. Acqua.
33. Il Vero Jared.
34. Compromessi.
IMPORTANTE!
35. Domande.
36. Lacrima.
37. Litigio.
38. Da una Verità all'Altra.
39. Subisci o reagisci?
40. Ha Bisogno d'Aiuto - parte 1.
41. Ha Bisogno d'Aiuto - parte 2.
42. Offerta di Pace.
43. Bugie.
44. Chi è il Mostro?
45. Fiducia e Illusioni.
46. Concentrazione.
48. Blue River.
49. Chilometro Centoventi.
50. Ritorno al Presente
53. Destinati a Soffrire.
51. Lasciati Andare
52. Vinculum Aeternum.
54. Prepararsi a combattere.
55. Bloody Night - parte 1.
56. Bloody Night - Parte 2.
57. Assassina
58. Esequie Celesti.
59. Verità.
60. Punto di Rottura.
61. Vuoto Dentro.
62. Il Giudizio.
63. Epilogo.
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Avatar dei personaggi
Sequel di Hybrid
SPECIALE! CAPITOLO EXTRA
Disegni personaggi

47. Joyland.

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By AlessiaSanti94


Abby.


«Benvenuti al Joyland, signori e signore, bambine e bambini! Venite a tentare la sorte al nostro stand! Un lancio, un dollaro! Si vince sempre! Accorrete numerosi, e potrete portare a casa uno splen-dido peluche!»

Borbotto a bassa voce e aggrotto le sopracciglia, ancora con gli occhi chiusi. Una musica in sotto-fondo allegra e un po' retrò si insinua nelle mie orecchie. Ha lo stesso motivetto allegro, con dei bam-bini che cantano in coro e una serie di sonagli e campanelle. Intorno a me c'è confusione. Molta confu-sione.

Apro gli occhi, spaesata. Dove diavolo mi trovo?

«Signorina, insomma!» una donna bionda con un cerchietto a forma di orecchie di cane in testa mi fissa, stranita «Lo vuole o no, il biglietto d'ingresso?»

Io mi guardo attorno, con lo sguardo annebbiato e completamente privo di punti di riferimento. Di fronte a me c'è un arco di legno, con un inciso "Joyland: il parco giochi più divertente di Henver!". Aggrotto le sopracciglia. Il Joyland? A Henver non c'è più un lunapark con quel nome da almeno... vent'anni. All'improvviso, spalanco gli occhi e faccio schioccare la lingua sul palato. Mi volto di scatto e osservo le persone in fila dietro di me: hanno tutte un abbigliamento passato di moda, con i capelli cotonati, i jeans a vita alta slavati e le camicette annodate sulla vita.

Ma sì, tutto torna: la Lacrima deve avermi catapultata in un ricordo di parecchi anni fa. Molto pro-babilmente, quando mia madre era ancora solo una ragazza. Sento un nodo stringersi attorno alla gola e torno a guardare la cassiera. «Mi scusi, quanto costa il biglietto?»

Lei alza gli occhi al cielo e mastica un chewingum rumorosamente. «L'intero, 5 dollari e 50 cents. Lo vuole o no?»

Mi porto istintivamente le mani nelle tasche dei pantaloncini e resto meravigliata, quando tiro fuori le banconote di cui ho bisogno. Le faccio scorrere sotto il vetro della cassa e prendo in cambio il car-toncino d'ingresso. Rimango ancora un attimo persa a fissare la ragazza in divisa di lavoro, finché lei non mi fa cenno con la mano di smammare.

«Volete l'adrenalina, signori? Allora venite a provare la nuovissima attrazione accanto all'area risto-ro. Le montagne russe più spaventose del Joyland stanno aspettando solo voi!» il megafono accanto all'ingresso continua a vomitare frasi con tono allegro e intonato, invitando la gente a spalmarsi lungo tutto il perimetro del parco, ai miei occhi completamente sconosciuto. Il Joyland ha chiuso i battenti prima ancora che nascessi. Adesso, resta solo un'area recintata con vecchi scheletri di attrazioni.

Mi guardo attorno, facendo un giro su me stessa. Le persone mi scorrono accanto a loro agio, con cartoncini di hot dogs in mano e palloncini appesi a un filo. Sembrano tutte felici e spensierate, mentre raggiungono le aree per gli spettacoli, i trenini turistici e le zone Arcade. Solo io rimango immobile, con i piedi ancorati sui mattoncini colorati a terra.

Cosa dovrei fare, adesso? Perché sono finita qui?

Segui l'istinto, Abby. Lasciati guidare, mi avvisa la coscienza, come da monito.

Sbatto le palpebre e torno a concentrarmi sul parco: sono di fronte a un bivio, segnalato da due frec-ce direzionali rosa. A sinistra, la zona attrazioni, mentre a destra, l'area dedicata ai giochi d'intrattenimento e agli stand di trucchi magici.

Senza rifletterci su, opto per quest'ultima e m'incammino lungo un viale spazioso contornato da aiuole e lampioni accesi. Solo adesso mi accorgo che il cielo è scuro, illuminato da qualche spruzzata di stelle pallide. Sono al Joyland in una calda sera d'estate di venti anni fa. Perfetto. Inizio a collegare qualche evento.

Mentre cammino, la chioma svolazzante di una ragazza tra la folla attira la mia attenzione, proprio a pochi metri da me. Indossa un vestitino con i fiori che le arriva fino alle ginocchia e ha la pelle chiara. Sento un brivido percorrermi la schiena, mentre la vedo allontanarsi con un'amica al seguito. Ho subito l'impressione di conoscerla: i suoi movimenti, i capelli rossastri sciolti sulla schiena... quella ragazza è quasi una perfetta copia di me adesso. La prima spia di avvertimento mi si accende nella testa. Potreb-be essere lei. Potrebbe essere mia madre.

Senza rendermene conto, accelero il passo e agito una mano nell'aria. «Ehi! Fermati un attimo!» gri-do, ma la voce viene assorbita dalle chiacchiere della folla. Scanso un po' di persone in fila per un'attrazione e mi faccio spazio in un piccolo varco. Per fortuna, riesco a vederla di nuovo, perciò ini-zio a camminare più speditamente. Stavolta le sono a pochi passi. Potrei persino allungare il braccio e toccarle la schiena, se solo una mano non mi si avvinghiasse sul polso, bloccando il mio inseguimento.

Mi volto di scatto e vedo un signore sulla cinquantina, con un sorriso affabile appiccicato sul volto sudaticcio. Indossa una camicia abbottonata fino al colletto, abbinata a due chiazze di sudore tonde sotto alle ascelle. Quando apre la bocca, il dente d'oro scintilla, sotto alla luce dei lampioni.

«Vuole provare il nuovo ottovolante, signorina?» mi domanda, ancora arpionato al mio braccio «So-lo per oggi, il biglietto è scontato.»

Io scuoto la testa e mi tiro sulle punte, per cercare di scorgere la ragazza dai capelli rossastri. Sospiro quando non la vedo più. «No... Io non posso, adesso. Ho da fare» ribatto, con gli occhi ancora assorti tra la folla.

«Cosa deve fare di meglio che provare il nostro nuovo ottovolante, signorina?» ripete l'uomo, conti-nuando a sorridere «Le do io la risposta: niente.»

«No, davvero, devo proprio... devo scappare» provo ad allentare la presa sul mio polso.

«Ha forse paura di sentirsi male?»

«No, sto solo cercando una mia amica. Se n'è appena andata.»

L'uomo annuisce con fare comprensivo, poi torna di nuovo a sorridere. «Facciamo così, allora. Il primo giro lo offro io. Dura poco, un minuto e venti secondi, per la precisione. Durante questo tempo, la sua amica avrà il tempo di accorgersi della sua assenza e tornerà indietro a cercarla. Cosa ne dice?»

Io sbatto le palpebre, vagamente confusa. «Un minuto... un minuto e venti secondi?» sposto lo sguardo sull'ottovolante e sulle persone che si divertono a veicolare la navicella spaziale in alto e in basso «Magari potrei...»

Il signore, che a quanto pare sembra essere il proprietario dell'attrazione, mi sposta il braccio flaccido sulle spalle e mi spinge verso la fila. «Meno di un minuto e mezzo, signorina! Le assicuro che passerà in un attimo e, non appena scenderà, avrà voglia di salirci ancora e ancora e ancora... Non vorrà andarsene mai più!»

Le ultime due parole mi bloccano come una secchiata d'acqua sulla schiena. Non vorrà andarsene mai più.

"Le persone che incontrerai ti indurranno a restare, a temporeggiare... Perché più passi il tempo nel ricordo e meno sarai in grado di distinguere il sogno dalla vita reale". Le parole di Gabriel mi riecheg-giano nella testa, come una terribile profezia di morte. "Cerca di essere veloce, o cadrai nella loro trappola".

Con una scrollata, mi tolgo di dosso il braccio dell'omone, scivolandogli sotto la pelle flaccida. Fac-cio un passo indietro e scuoto la testa. «Mi dispiace, non posso perdere tempo. Magari... magari farò un salto dopo, con la mia amica.»

Il titolare dell'ottovolante si acciglia, per un attimo sorpreso, poi volta i tacchi e se ne va di nuovo di fronte all'ingresso dei tornelli. «Venite a provare il nostro ottovolante, signori! Solo per oggi, un incre-dibile sconto!» lo sento urlare, stavolta rivolto di nuovo al pubblico.

Lo guardo un'ultima volta, scuotendo la testa, poi torno a camminare sul viale. Supero il punto in cui l'uomo mi ha fermato e tiro avanti, puntando a una meta indefinita. Chissà dove sarà finita quella ra-gazza...

Mi maledico mentalmente per essermi fatta abbindolare come una scema e per aver sprecato tutto quel tempo prezioso. Mentre avanzo verso la zona Arcade, supero una signora con una bambina in braccio. La piccola, una biondina dal visetto adorabile, mi fissa negli occhi e smette per un momento di giocare con la sua Barbie.

«Mamma, mamma!» bisbiglia, tirandole la stoffa della maglietta per attirare la sua attenzione «Per-ché quella signorina è uscita in mutande?»

Io spalanco gli occhi e guardo i miei shorts di jeans. Sono corti, ma non così tanto da creare questo scalpore. Poi però alzo gli occhi al cielo, quando mi ricordo di trovarmi in un periodo lontano a quello dal quale provengo. Evidentemente, il mio abbigliamento stona e non viene visto di buon'occhio dai passanti.

La donna tappa la bocca della figlia con una mano e accelera il passo, paonazza in volto, ma con l'espressione disgustata nei miei confronti. «Per l'amor di Dio, Nikki, fa' silenzio! E poi non guardarla, altrimenti diventerai come lei da grande!»

Fulmino la signora con lo sguardo e la supero a passi svelti. Anche se le persone stanno facendo di tutto per farmi perdere le staffe, non devo temporeggiare. Ogni minuto in più che scorre, trasforma questo parco giochi in un luogo reale. Le persone che mi sfrecciano accanto in ogni direzione calzano sempre di meno le maschere dei figuranti, mentre io divento sempre più velocemente un altro perso-naggio di questa finta commedia.

«Dorothy, che cavolo, aspettami! Non laggiù, dai...» la voce di una ragazza attira la mia attenzione. O forse, è il nome che pronuncia a destarmi qualche sospetto. Dorothy. Come il nome di mia madre.

Aguzzo la vista e cerco di focalizzarmi sul punto da cui è provenuta la lamentela: dopo qualche se-condo, individuo di nuovo la chioma rossastra della ragazza. Stavolta non è più di spalle, ma sta discu-tendo con la sua amica, una spilungona con due codini neri e jeans strappati sulle ginocchia.

Per un attimo sussulto, con la voglia di indietreggiare e scappare via: se prima ero titubante sull'identità di quella donna, adesso non ho più dubbi. È mia madre. O meglio, è quella che diventerà mia madre. La riconosco al primo colpo d'occhio. Ho visto troppi album di fotografie sue, quando vi-vevo ancora da zia Kathleen, per potermi sbagliare. La osservo, studiandola da capo a piedi, e sorrido. Era davvero stupenda.

«Che rompipalle che sei, Christine... Voglio dare solo un'occhiata!» la sento replicare. Alza gli occhi al cielo con fare scocciato proprio nel mio stesso modo. Trattengo una risatina, ma poi mi rabbuio. Quanto vorrei parlarle e conoscerla...

«Hai puntato quello stand da mezz'ora. È chiaro che non vuoi dare solo "un'occhiata". Cos'ha di tanto speciale, poi? Gesù, quel nome è così inquietante...» l'amica incrocia le braccia al petto e alza lo sguardo sul piccolo chioschetto di giochi a premio che hanno di fronte.

«Non ho voglia di farmi un altro noioso giro nel tunnel dell'amore, Chris. Insomma, due ragazze single nel percorso degli innamorati del Joyland è già piuttosto triste...»

«Okay, d'accordo. Ma è pieno di altri giochi! Guarda» Christine indica a Dorothy i diversi chio-schetti da cui sono circondate «Possiamo giocare alla ruota della fortuna, o provare a fare canestro con il pallone da basket laggiù, all'ultimo stand. Possiamo spendere i nostri dollari in mille modi migliori di questo, Dorothy... E poi, l'insegna mi mette i brividi.»

Io seguo la traiettoria di Christine, che alza lo sguardo verso la locandina cartonata: "Demon's Eye", c'è scritto. L'occhio del Demone. Un brivido mi si arrampica sulla schiena.

«È proprio per questo che mi elettrizza. Non avevo mai notato questo stand prima d'ora. E poi, i ra-gazzi che ci lavorano sono fighi — replica lei, senza smettere di sorridere.»

«Dorothy, guardati attorno. Tutti gli altri giochi sono pieni di persone in fila. Persino la cicciona in fondo al viale che legge le carte e ti fuma in faccia. Tutti, tranne questo. Perché vuoi sprecare così i tuoi soldi?» l'amica continua a insistere, senza smettere di scuotere la testa. È contrariata, ma sta per cedere.

«Voglio andarci, discorso chiuso. Se non ti va di accompagnarmi, aspettami pure su quella panchina. Farò giusto una giocata» Dorothy la liquida con un sorrisetto sicuro di sé e comincia a correre verso lo stand.

Christine sussulta e inizia a seguirla, chiamandola per nome. Anche io le seguo, tenendomi a giusta distanza.

Quando arriviamo di fronte al chiosco del Demon's Eye rimango letteralmente senza fiato. Ci sono due ragazzi dietro al bancone: sono giovani e prestanti, con un sorriso affabile e ingannatore. Entrambi si poggiano all'asse di legno con una posa sicura, mentre scrutano i passanti con uno sguardo indagato-rio e minaccioso. Non invitano senz'altro la clientela ad avvicinarsi. Quando vedono le due ragazze raggiungere il loro stand, si lanciano un'occhiata d'intesa e si tirano in piedi.

Dorothy poggia le mani sul bancone e li fissa. «Ciao.»

Il primo, quello sulla sinistra, osserva mia madre con uno sguardo a dir poco famelico e si passa la lingua sulle labbra. È un bel tipo: biondino, capelli corti, occhi azzurri magnetici. A primo impatto, un aspetto da angelo tentatore, ma in fondo...

«Buonasera, bellezza. Vuoi giocare con noi?» le dice, sorridendole. La sua voce mi penetra nelle orecchie come se in quel momento ci fossimo solo io e lui, nel parco. Si diffonde nei timpani e mi fa sussultare. Quella voce... Quella voce la conosco già.

«Volevo sapere di cosa si tratta. Non avevo mai visto questo gioco al Joyland.»

Il secondo ragazzo, più alto e più scuro di pelle, le indica un asse con dieci barattolini di latta, pog-giati l'uno sull'altro a formare una piramide. Hanno tutti disegnati sopra delle figure alate. Angeli, in apparenza. «È semplice. La partita costa tre dollari. Avrai tre palle di pezza a disposizione per buttare giù quanti più barattoli. Se ci riesci, avrai il tuo premio.»

Dorothy guarda il bancone e storce il naso, indecisa. «Uhm, accidenti... Mi sono rimasti solo due dollari. Sarà per la prossima volta» solleva le spalle e si volta verso Christine, che la guarda vittoriosa.

Il ragazzo biondo dalla voce troppo familiare schiocca le dita e fischia verso la loro direzione. «Ehi, aspetta! Torna qui!»

Lei si volta ma rimane ferma. Ha le guance in fiamme e gli occhi sorridenti.

«Sei la prima cliente di stasera. Ti offro io la partita, a patto che mi dica il tuo nome.»

Dorothy spalanca la bocca, sorpresa, e arrossisce. È evidentemente lusingata dalle moine di quel ra-gazzo. «Dorothy... E tu?»

Il ragazzo moro afferra il collega per il braccio e lo fa voltare verso di sé. «Cosa vuoi fare?»

L'amico sorride, con gli occhi di brace. «La voglio. La voglio persuadere a giocare. Mi piace» sposta poi lo sguardo sulla nuova cliente «È davvero un bel nome. Adesso inizia la tua partita, Dor. Se farai un buon punteggio, ti rivelerò come mi chiamo.»

Il moro sbuffa, apparentemente in disaccordo e si scansa dal terreno di gioco, sedendosi su una pic-cola seggiola pieghevole.

Io mi avvicino ancora un po', nascondendomi dietro alle schiene dei passanti e ai tendoni degli stand vicini al Demon's Eye. Quando sono in un punto abbastanza vicino, vedo Dorothy prendere in mano una delle pallette di pezza. Sono grandi quanto un palmo della mano e hanno disegnato sopra un grande occhio rosso. Il tutto è davvero inquietante.

«Hai mai fatto questo gioco?» le domanda il biondino, sorridendo a Dorothy. Adesso sono molto vicini, separati soltanto dall'asse di legno.

La ragazza fa un sorriso sicuro e prende la mira con un occhio. I barattolini di latta sono impilati uno sopra l'altro in maniera impeccabile.

«No, ma penso di potermela cavare» risponde. Porta indietro il gomito e carica il colpo, prima di scagliare la palla verso i bersagli. La prima va vuoto, mancando di poco il barattolo all'apice della pi-ramide, e rimbalza sul tendone retrostante «Cavolo!»

Il tipo moro ridacchia sottovoce, mentre l'amico fissa Dorothy. La guarda intensamente, mentre le passa la seconda pallina. «Puoi fare di meglio.»

Lei afferra la sua seconda chance e mira ancora. Stavolta, si prende più tempo per calcolare la traiet-toria e mirare il colpo. Quando si sente abbastanza convinta, la lancia. La palla si catapulta in avanti con più forza e si schianta su due barattoli, che cadono a terra in un tintinnio di alluminio. «Maledizio-ne... Solo due!»

«Ti resta l'ultimo tiro, Dor. Dovrai essere davvero brava, per buttare giù i barattoli restanti...» le fa notare il ragazzo, senza smettere di sorridere bonariamente «Però, sai che ti dico? Mi sei simpatica, perciò voglio aiutarti. Guardami, dai.»

Dorothy alza gli occhi su di lui e lo fissa. Si guardano intensamente, come se si fossero accorti in quel momento l'uno dell'altra. Lui le porge l'ultima pallina e le indica il bersaglio. «Devi mirare nella parte centrale, alla base della piramide. È lì il trucco. Punta alle fondamenta e farai cascare tutti quegli schifosi angioletti celesti. Capito?»

Lei sorride e annuisce, convinta. Poi sposta di nuovo gli occhi sulla piramide e carica il colpo, senza nemmeno perdere tempo a prendere le misure. Stavolta il colpo è magistrale. La palla compie un'iperbole perfetta in aria e colpisce il punto calcolato dal ragazzo. I barattoli schizzano via dall'asse in tutte le direzioni, schiantandosi a terra con un sonoro fragore. «Sì! Ce l'ho fatta!» grida, saltellando su di giri.

«Sei stata bravissima!» le fa eco il ragazzo «Che premio desideri? Puoi scegliere tra un peluche, un portachiavi o un biglietto omaggio per la prossima partita.»

Dorothy lo fissa con due occhioni persi. «Voglio sapere come ti chiami.»

Lui si sporge sul bancone e tira le tira giocosamente una ciocca di capelli, con un fare più che sicuro di sé. Se l'attorciglia tra le dita e sorride. «Non sarebbe lecito dirtelo, ma credo che potrei fare un'eccezione, stavolta...» rivela a bassa voce «Il mio nome è Cornelius e sono davvero lieto di aver fat-to la tua conoscenza.»

«Dorothy Giselle Lorelaine, se non porti il tuo bel sederino qui entro cinque minuti, giuro che ti la-scio a piedi!» Christine urla alle loro spalle, con le mani sulla bocca e uno sguardo scocciato.

«Scusami, ma adesso devo andare...» Dorothy si volta a guardare l'amica, poi sorride impacciata a Cornelius.

«È un addio, il tuo, o ho ancora speranza di vederti di nuovo?»

Lei si scansa una ciocca di capelli dal volto e si stringe nelle spalle. «Chissà. La vita riserba sempre qualche sorpresa...» e detto ciò, lascia lo stand con una mossa leggiadra.

Io trattengo il respiro ed esco allo scoperto. Non posso crederci. Ho appena rivissuto il primo incon-tro tra mia madre e Cornelius. Ho visto con i miei occhi l'inizio della fine.

Senza pensarci su, butto fuori l'aria e inizio a correre verso le due ragazze che si stanno allontanando da un parco. Appena le raggiungo, afferro per il braccio Dorothy e la faccio fermare. Lei si volta e mi fissa come se fossi una molestatrice di professione.

«Non ascoltarlo. Quel ragazzo ti rovinerà la vita» l'avverto, esalando una parola dopo l'altra con dei brevi sospiri. Ho il fiatone e mi sento stanca morta.

Dorothy lancia un'occhiata d'aiuto a Christine e mi osserva, quasi impaurita. «Scusami, ma temo che ti stia sbagliando. Io non ti conosco.»

«Mi chiamo Abby e sono tua... sono una tua compagna di scuola» aggiungo subito, prima di com-piere una madornale gaffe.

«Cavolo, siete davvero simili, voi due. Incredibile» mormora Christine, spostando gli occhi da me a lei.

«Non mi sembra di conoscerti. Cosa vuoi da me?» Dorothy continua a guardarmi con ostilità.

«Quel ragazzo dello stand... Cornelius. Ti vuole solo ingannare. Lui è... cattivo. Non fidarti delle sue parole.»

«Cosa sei, una sibilla?»

«Voglio solo aiutarti, Dorothy. Prima che sia troppo tardi.»

Lei sorride e si libera dalla mia presa. La sua espressione non è più dubbiosa, ma solo dura, sprezzan-te. Il cielo inizia a rabbuiarsi e delle nubi neri coprono il blu della notte. «Nessuno può aiutarmi, Abby. Dovresti averlo capito.»

«Cosa... cosa vuol dire?»

«Non puoi modificare un ricordo. Il passato è già vissuto. Puoi solo riviverlo e riviverlo all'infinito. Triste, vero?»

Lascio cadere la mano lungo il fianco. Rimango a bocca aperta per quelli che mi sembrano essere cinque minuti di silenzio. «Ma... Io pensavo...»

«Continua a sognare. Ci sono ancora molte cose che devi scoprire su di lui...» Dorothy lancia uno sguardo triste a Cornelius, intento a rimettere a posto i barattoli di latta sull'asse.

«Come faccio ad andarmene di qui? Non so nemmeno come ci sono finita!» esclamo, colta dall'ansia. Un tuono sordo squarcia il silenzio della notte. Accanto a noi, non c'è più un solo passante che cammina. Il Joyland sembra essersi improvvisamente svuotato. L'immagine del parco giochi del ricordo si sovrappone a qualche breve scatto del Joyland al giorno d'oggi: i bambini che saltellano alle-gramente si sostituiscono a delle zolle di polvere rotolanti, i lampioni iniziano ad accendersi e spegnersi a intermittenza e i giochi compaiono e scompaiono a scatti, lasciando trasparire il lunapark per quello che è adesso. Un luogo morto, abbandonato alla natura e alla ruggine.

Dorothy e Christine si guardano negli occhi e annuiscono, senza rendersi conto della metamorfosi raccapricciante del parco. Poi si avvicinano a me e mi spingono a terra.

Io urlo, colta di sorpresa, e cerco di aggrapparmi all'aria. La caduta è inevitabile. Sbatto ogni centi-metro di pelle sul mattonato ruvido, ma il vero dolore lo percepisco quando la testa picchia con forza a terra. Stringo gli occhi e gemo. Sento dei brividi sordi sotto la nuca. Provo a sollevare le palpebre, ma non appena ci riesco, vedo un turbinio di luci saettate girarmi intorno, al punto da farmi venire la nau-sea. Aggrotto le sopracciglia e decido di chiuderli di nuovo.

Quando li riapro, in un tempo infinitamente successivo, è giorno. Il cielo è coperto da nuvole alte e grigie, e c'è un rumore di acqua scrosciante proprio accanto a me. Mi alzo in piedi, con un forte cerchio alla testa, e mi guardo attorno.

Non sono più al Joyland, ma sulle sponde del Blue River, il bacino più grande di Henver.    


Angolo dell'autrice.

Ecco il primo ricordo contenuto nella Lacrima. Dal momento che sono dei veri e propri flashblack della vita di Cornelius e di Dorothy, ho preferito approfondirli meglio in vari capitoli, in modo da capirci di più sulla loro vita passata!

Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti! Al prossimo aggiornamento, con il secondo ricordo della Lacrima. Baci! :)

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