𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒚𝒐𝒖 𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚...

By bluelliestories

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"Se potessi rivivere un solo giorno della mia vita, sarebbe sempre lo stesso, in loop, senza interruzioni, e... More

Introduzione
❦ Trailer & Cast ❦
1. Now you're just somebody that I used to know
2. I wonder if I'll ever see you again
3. Before our innocence was lost
4. Even my phone misses your call
5. We were silenced by the night
6. We're not who we used to be
7. Somewhere only we know
8. Where are you now when I need you most?
9. Just nineteen, a sucker's dream - quattro anni prima
10. I'm Mr. Brightside
11. I'm coming out of my cage
ANNUNCIO IMPORTANTE
12. When I run out of road, you bring me home
13. She's walking on fire
14. Hey there Delilah
15. Taffy stuck and tongue tied
16. Big lights will inspire you
17. Just let me know, I'll be at the door
18. I'm gonna pay for this
❦ Playlist ❦
19. Crawling back to you
20. Your lips, my lips, apocalypse
21. Here to take my medicine
22. Another star, you fade away
23. Half of me has disappeared
24. Palm trees are candles
25. Kiss in the kitchen like it's a dance floor
26. Strawberry fields forever
27. I call my baby Pussycat
28. Well, are you mine?
29. Remember when you used to be a rascal?
30. The blood in my veins is made up of mistakes
31. Jealousy, turning saints into the sea
32. Remember me, special needs
33. It's New York baby, always jacked up
34. Times Square can't shine as bright as you
35. It'd be so sweet if things just stayed the same
36. Everyone knows she's on your mind
37. I'm better off on my own
38. We met with a goodbye kiss
39. When we made love you used to cry
40. With your hands between your thighs
41. Leave me hypnotized, love
42. Does he take care of you?
43. Lamb to the slaughter
44. The things I'm fighting to protect
45. With everything, I won't let this go
46. Don't turn away, dry your eyes
47. I will save you from all of the unclean
48. Head in the clouds but my gravity's centered
49. I see the truth in your lies
50. It was a perverted thing to say
51. I almost died in my dreams again
52. The bed was left in ruins
53. Won't stop til it's over
54. And the sex and the drugs and the complications
55. Meet me in the hallway
56. This is your last warning, a courtesy call
57. Every little lie gives me butterflies
58. Tell them the fairytale gone bad
59. You can drag me through hell
61. Type of sex you could never put a price on
62. Should've done something but I've done it enough
63. Birds fly in different directions
64. Baby, can you see through the tears?
65. In the end, it doesn't even matter
EPILOGO - if it wasn't for you
BONUS - You can even fly up here
❦ Trailer e Ringraziamenti ❦
-DEVIANT-
❄️GIVEAWAY Natalizio❄️

60. Your knee socks

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By bluelliestories



"Io non lo so poi quanto dura
Questo eterno cercarsi
Questo eterno volersi, senza volersi mai.
E questo eterno ignorarsi, volendosi sempre.
Forse l'amore è di chi si ama da lontano,
Perché bisogna amarsi col doppio dell'amore."




Los Angeles, maggio 2017 - 7 mesi dopo

C'era una volta una ragazza che si sforzava di non rischiare, che riusciva a far vincere la razionalità sui sentimenti, che dimenticava in fretta, che si lasciava il passato alle spalle, che amava stare da sola. Una ragazza libera e indipendente che non avrebbe mai voluto che qualcun altro potesse mai intaccare quella meravigliosa sensazione di non avere niente in testa al di fuori della soddisfazione dei propri bisogni personali, dei propri sogni e ambizioni.
C'era una volta e c'era stata davvero.

Poi ci pensa la vita a cambiarti, a mostrarti chi sei veramente, o forse a mostrarti chi sei diventato, perché alla fine ognuno di noi é un essere camaleontico composto da un milione di individui diversi.
E non c'era più traccia di quella ragazza, si era perduta tra sentieri paralleli di estasi e di strazio, e Estelle non avrebbe saputo dire con certezza se fosse mai esistita.
Un anno era passato, quattro stagioni, era caduta la neve e poi erano sbocciate le prime gemme sui rami ricoperti di brina, infinite settimane e giorni scanditi da ticchettii di eterna e infinita nostalgia. Lei ed Harry non si erano più visti, e lui era ancora fidanzato.

Non sapeva esattamente come poteva sentirsi, riguardo quel discorso.
Dire che ci aveva fatto l'abitudine, che il tempo aveva lenito il suo incedere rapido verso quella consapevolezza, sarebbe stata una falsità atroce e imperdonabile da girone infernale dei bugiardi.

Bruciava ogni giorno, a quel pensiero, mentre si immaginava lui che viveva sereno una relazione con un'altra ragazza.
Eppure non riusciva nemmeno a biasimarlo, perché quello che era successo tra loro era semplicemente giusto, o quantomeno logico: quella era la fine verso cui la vita li aveva inesorabilmente portati.

E non poteva fare a meno di pensarci ancora più del solito, quando per il solito fato abietto si trovava a dover girare uno shooting nella stessa città dove Harry risiedeva in maniera praticamente fissa con la sua nuova ragazza.
Guardava i profili delle colline dorate di Los Angeles che scendevano dolcemente verso l'oceano e pensava che quella ragazza doveva avergli fatto perdere realmente la testa, per averlo fatto restare con lei per tutto quel tempo.

Lei invece non si era mai più avvicinata ad un uomo, e non aveva permesso in alcun modo che qualcuno le si avvicinasse. Quando si era detta che nessun altro l'avrebbe sfiorata, aveva detto seriamente. Sapeva di aver bisogno di tempo, ma dopo tutto quel periodo passato a pensare a lui cominciava a preoccuparsi e a chiedersi di quanto tempo avesse effettivamente bisogno. Se quel periodo di isolamento relazionale per lei sarebbe mai finito.
Se sarebbe mai arrivato qualcun altro capace di farle girare la testa, che avrebbe smesso di paragonare costantemente ad Harry in tutto e per tutto, che non gli sarebbe apparso come una squallida perdita di tempo.

Capitava sempre a tutti che improvvisamente trovavano la forza di andare avanti, ma a lei no. Rimaneva insabbiata in un vortice acquitrinoso di fango e melma a tal punto da averci fatto quasi l'abitudine, a tal punto da cominciare a chiedersi se non stesse impazzendo del tutto.
La verità é che il corpo umano si abitua a tutto, e lei si era abituata anche a vivere con quel vuoto incolmabile.
E a volte è proprio quando pensi di esserti abituato a certe mancanze che quelle decidono di farsi sentire con più forza, perché il mondo tutto d'un tratto decide di ricordartele, come per assicurarsi che non le scorderai mai.

Il cellulare le squillò sul tavolino mentre lei si preparava una tisana con il bollitore.
Era tornata nella città degli angeli e aveva preso una casa in affitto, come faceva ogni qualvolta doveva lavorare per Brigitte e la Estée Lauder. Si era abituata a vivere intere settimane in città del tutto sconosciute e cominciava ad apprezzare l'esistenza solitaria di Los Angeles, ma nonostante questo rimaneva abbastanza estranea alla vita mondana di Hollywood.
Il modo in cui tutta la vicenda di Harry e Charlie l'avevano scalfita e avevano influito su di lei era inquantificabile, e lei si era buttata a capofitto nel lavoro chiudendosi a riccio per quanto riguardava tutto il resto.

«Estelle.»
La voce rassicurante di Ivonne era sempre rigenerante come un caldo abbraccio, ma quella volta le sembrò vagamente inquieta.

Ivonne viveva ancora a San Francisco, ma Oliver in quei giorni si trovava a Los Angeles per lavoro e lei aveva deciso di andare a trovare sua sorella per passare del tempo con entrambi, visto che lui viveva in Florida e loro passavano molto più tempo separati che insieme. E questo li portava a lasciarsi più o meno una volta al mese.

«Io e Oliver siamo a una serata, al Viper Room.»
Estelle mescolò lo zucchero con il cucchiaino, con addosso una canottiera di seta e un paio di shorts in cotone, mentre ragionava su quale film l'avrebbe aiutata ad addormentarsi.
«Sì, me lo avevi detto che sareste andati lì.»

«Sì, beh, quello che non ti ho detto, è che c'è anche Harry.»
Per poco non si ustionò con il liquido bollente che le cadde sulla moquette, la quale evitò il frantumarsi della tazza in ceramica, a pochi centimetri dai suoi piedi nudi.

«Che cosa?»
Era passato un anno. Un anno in cui non si erano più incontrati, perché lei aveva concentrato tutte le sue forze sull'evitare il più possibile di trovarsi a Los Angeles. E lui, lui sembrava aver evitato con tutte le sue energie di restare a Londra per lunghi periodi.

«È qui. È sbiancato, quando mi ha visto, ma ci siamo salutati senza dirci altro.»
Ci mise poco a decifrare i suoi stessi pensieri.
«Hai detto Viper Room? Quello sul Sunset?»
«Sì, esatto.»

Aveva Harry a poche centinaia di metri. Il cuore cominciò a batterle all'impazzata mentre quella sensazione adrenalinica di nervi frementi la sbeffeggiava dallo stomaco fino alle caviglie.

La sua mente vacillò verso lidi sconosciuti, e cominciò a pensare che non potesse essere un caso. Oppure, era semplicemente quella disperata voglia di rivederlo anche solo da lontano, che la accecava di follia insana e la scindeva in un perverso dualismo tra il desiderio masochistico di respirare ancora la sua stessa aria e osservare da lontano la filigrana della sua pelle, e il bisogno di odiarlo per cominciare a distaccarsene.

Forse si sarebbe tenuta stretta i suoi fiumi di ricordi per cominciare a navigare realmente da sola, senza il pensiero assillante di lui.

«Mi vesto e vengo.»
«Che cosa hai detto?»

«Ho bisogno di vederlo. Ho bisogno di capire che effetto mi fa rivederlo.»

«Stai scherzando? Sei impazzita forse?»
«Assolutamente no, forse è l'unica cosa sensata che io abbia mai..»

«Estelle.» La interruppe sua sorella, rapida, cercando di essere più indolore possibile. «Non è solo. È con lei.»

L'amarezza di quel colpo al cuore fu intollerabile, ma ormai ci era abituata, a sentirsi pugnalata costantemente.
Ormai era rassegnata che Harry non fosse più suo, che cosa avrebbero potuto ancora toglierle ancora?
«Non cambia nulla. Vengo lo stesso.»

Aveva bisogno di realizzare, di toccare con mano, di vedere con i suoi occhi il fatto che Harry si fosse davvero rifatto una vita con un'altra persona, e forse ne aveva bisogno per andare avanti.
Lo avrebbe visto sorridere felice e un po' ubriaco con quegli sguardi che riservava solo a lei e si sarebbe fatta talmente male da non riuscire a respirare. Da arrivare a detestarlo.

Si osservò nello specchio. Non vedeva più una ragazzina già da un sacco di tempo: aveva solo ventun anni ma se ne sentiva addosso almeno il doppio.
Harry quella sera non avrebbe visto nessuna ragazzina, quella che poteva aver adocchiato tra i corridoi durante le prime pulsioni adolescenziali, ma tutta la potenza della sua metamorfosi.
Si sciolse la treccia in cui erano annodati i suoi lunghi capelli corposi, che caddero dolcemente ondulati tra il petto e le spalle.

Si guardò ancora, sfilandosi la sottoveste: il suo corpo non mostrava cicatrici, almeno non visibili. Ma lui conosceva anche quelle che non si vedevano, che erano nascoste al di sotto dell'epidermide, lei ne era sicura. Si chiese se lui ricordasse quanto lei, eppure in qualche strano modo continuava a pensare che lui fosse ancora l'unico in grado di capirla.

Mise su un filo di trucco e indossò un vestito che lasciava ben poco spazio all'immaginazione, quel tanto che bastava per mandare al creatore qualsiasi essere maschile dotato di sangue che scorreva nelle vene.
Aveva bisogno di andare avanti, e lo avrebbe fatto con dignità, lo doveva a se stessa e a tutto ciò che era riuscita a superare, almeno all'apparenza.

Quando scese dal taxi, c'era Ivonne da sola ad attenderla fuori del locale. Un marciapiede un po' buio illuminato solo da qualche lampione sporadico affacciava su uno dei più ampi e famosi stradoni di Los Angeles, una di quelle strade di scorrimento che la sera assimigliavano più ad autostrade che ad altro.
«Estelle, sei sicura che vuoi entrare?»

«Ascolta, lui è con lei, adesso.» Le ricordò dopo che ebbe annuito, come se avesse potuto dimenticarsene. «Cerca di non farti vedere. Evitiamo problemi stasera, ok?»

Ivonne sembrò preoccuparsi per lei studiando la sua espressione, quindi Estelle decise di adottare la tecnica della finta indifferenza.
«Lei chi?»
«Orange. Clementine. Come diavolo si chiama.»
Roteò gli occhi al cielo.
«Lemon.»

«Ha proprio la faccia da Lemon.»
Quella tensione che aveva preso a tamburellare nelle sue viscere impedì che lei potesse riderci sopra. Il fatto che lo stesse per rivedere e che si stesse realmente lanciando senza paracadute la rendeva incredibilmente orgogliosa, ma allo stesso tempo aveva le gambe completamente immobilizzate dal terrore puro.

«Avanti allora, se sei sicura andiamo. E per qualunque cosa ci siamo io e Oliver.»
«Ivy, ti prego.. lasciami fare questa cazzata immensa da sola.»

La sorella annuì, e rimase indietro rispetto ad Estelle, mentre la vedeva rapidamente sparire tra la folla, inghiottita dall'oscurità del locale.
Il Viper Room era un posto piuttosto cupo e buio, e a parte le luci argentate a intermittenza i colori dominanti restavano il nero e il viola scuro.

Estelle si diresse verso l'area del privé facendosi largo tra la gente, mentre gli uomini le gettavano occhiate di vivo interesse e aprivano involontariamente un varco al suo passaggio per poterla guardare.
Era consapevole che lui si trovasse in quel luogo, e di conseguenza lo vedeva in qualsiasi ragazzo castano coi capelli mossi che le si presentasse di fronte allo sguardo.
Il risultato era una quantità impensabile di scudisciate al cuore che le arrancavano il respiro e le affaticavano la camminata.

Fino a quando gli occhi non andarono ad arpionarsi su due figure poco definite ma impossibili da confondere, e le sembrò di essere afferrata da due mani a stritolarle il collo, e il cervello le andò completamente il corto circuito.
Una spina le si conficcò in gola e lei cominciò a sentire il sapore ferroso del sangue spargerlesi nel palato.

A poca distanza da lei c'era Harry e se era da un po' che si chiedeva quale sarebbe stata la sensazione di vedere qualcun'altra tra le sue braccia, la risposta le era appena arrivata come un treno dritto in faccia.
Ubriaca dei loro ricordi, fu talmente fragile da essere quasi scaraventata da quel dolore, tre metri sotto terra.

Amare era anche un po' morire e se loro due avevano avuto dei demoni, adesso coabitavano tutti dentro di lei, e il sangue le offuscò lo sguardo quando calò dietro le sue palpebre, e dovevano averla colpita alla testa con un oggetto contundente perché le pareti giravano al punto che non fu più convinta che ci fossero ancora dei muri attorno a lei, e che non fosse stata scaraventata dentro un tornado.

Una biondina abbronzata era seduta sulle sue gambe, e se la rideva tranquilla, arraffando gli sguardi dei curiosi che gli gironzolavano attorno. Sembravano entrambi molto soddisfatti, incredibilmente intimi: lui aveva le mani sulle sue cosce e le carezzava lentamente, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se di quelle gambe conoscesse ogni singolo centimetro, e in effetti era proprio quella la normalità.

Quella che forse loro non avevano mai avuto. Raccolse una lacrima che stava cominciando a pizzicarle le sclere e rimase a osservarli così, fissa con lo sguardo sugli occhi di lui, come per decifrarne il contenuto.
Harry sembrava sereno, spensierato, non proprio l'apice della felicità che gli aveva visto dipinto addosso in certi momenti, ma sicuramente non aveva l'aspetto di un essere umano in crisi.
Gli uomini del loro calibro cadevano sempre in piedi, in un modo o nell'altro, si ritrovò a pensare, mentre lei si svegliava con le fodere del cuscino umettate per aver pianto durante il sonno.

Ed era esattamente questo il motivo per cui aveva cercato disperatamente di non legarsi ad Harry, e aveva lottato faticosamente contro l'impossibilità di sottrarsi al suo lento e implacabile scivolare verso di lui, tra le sue mani, per diventare completamente sua in ogni fibra del suo essere.

Si mosse lentamente, in mezzo alla folla, un passo dopo l'altro, verso loro due, e quando fu abbastanza vicina da osservarli meglio e rendersi conto che erano reali e non una sua allucinazione, si immobilizzò di nuovo.

Fu un istante breve quanto un respiro a metà.
Un attimo solo bastò perché lui voltasse lo sguardo alla sua destra, attraversando il corpo della ragazza che teneva sulle ginocchia, ancora col sorriso serenamente allegro sulle labbra disegnate col pastello magenta.

E quel sorriso si incrinò come una parete di tufo di fronte ad un terremoto di massima magnitudo, roccia friabile a franare vergognosamente in un pozzo di acqua fangosa.
Lo vide sgranare le palpebre, e i suoi occhi trasparenti si illividirono, perdendosi dietro il riflesso delle luci al neon. La mandibola intenta a masticare una gomma si bloccò completamente, e lui rimase fisso con l'espressione di chi avesse appena visto un fantasma.

Doveva essere un sogno ad occhi aperti, o una droga allucinogena potentissima che gli avevano chiaramente messo nel bicchiere.
Non poteva essere reale, quella situazione.
Rivedere il suo viso in mezzo a una quantità di sconosciuti fu talmente potente che non riuscì più a muoversi, il sangue smise di pompare e si cristallizzò in un attimo di eterno nulla in cui Harry smarrì completamente la sua coscienza.
La musica si spense d'un botto, silenzio: un assillo di fischio sordo nel timpano cominciò a torturargli i lembi neuronali tali da farli scattare come dei meccanismi impazziti.
Si spense tutto, al di fuori di lei.

Lei lo fissava, ed era più bella di quanto non l'avesse mai vista, e sapeva che lo diceva a se stesso ogni maledetta volta che la vedeva, ma quella volta il desiderio lo afferrò dai tendini d'Achille, prendendogli a cazzotti lo stomaco con un tirapugni di ferro, e si sentì sciogliersi le viscere come se si fosse appena apparecchiato su un rogo.
Lo fissava con sguardo fermo, deciso, ma non era uno sguardo di rimprovero, era un'occhiata di chi stava dicendo che non era lì per caso.

Guardami. Sono qui.
E ti sto osservando mentre tu hai lei sulle ginocchia.

Era possibile che dopo tutto quel tempo, lei fosse ancora la visione più mozzafiato che potesse immaginare nella sua vita?
E che la bramasse ancora più di prima?

Indossava un vestito color carne minimale, corto come solo lei sapeva portare certi indumenti, valorizzandoli nonostante la scarsissima quantità di tessuto, con delle spalline glitterate a impreziosirle la zona del collo, e nient'altro. Quando la sua capacità di comprensione precipitò all'altezza del petto, osservando le punte tese da sotto il vestito, si rese conto anche che non indossava il reggiseno. La mazzata sorda che aveva ricevuto nello stomaco si andò a sciogliere in direzione del cavallo, e una sensazione di calore indicibile gli si palesò nel basso ventre.

Forse i suoi sensi riacquistarono un lieve contatto con il mondo reale quando sentì una mano fresca che si arrotolava attorno al suo collo.
Poi, le labbra di Lemon si avvicinarono al suo orecchio, mentre una colata di capelli si chiudeva a tenda a oscurargli le palpebre.
«Harry, ti fa quest'effetto avermi sulle ginocchia?»

A quella voce, lui ritornò prepotentemente nel baratro dell'amara realtà. Aveva un'erezione folle e insoddisfatta nei pantaloni che spingeva contro le natiche della sua ragazza, peccato che se non fosse stato per quella chioma che gli celava la vista si era persino scordato che lei esistesse.

«Scusami.» Deglutì un groppo di saliva mentre annaspava ancora senza riuscire a schiodarle gli occhi di dosso. «Devo andare in bagno.»

La sollevò per i fianchi, e lei sembrò non accorgersi di niente, mentre cercava di sistemarsi il rigonfiamento alla meno peggio. La ragazza continuò a chiacchierare tranquillamente con una coppia di amici versandosi dello champagne nella flûte di cristallo.

Harry scese immediatamente i tre gradini che delimitavano la zona del privè: non che ce ne fosse granché bisogno, di una zona vip, visto che in quel locale erano più o meno tutte celebrità, ma nell'ambiente hollywoodiano era sempre importante rimarcare certe gerarchie, tra le star di serie A e quelle che invece rimanevano a brancolare tra la pista da ballo e il bancone.

Quando Estelle notò che Harry le si stava avvicinando rapidamente a grosse falcate, con lo sguardo puntato su di lei, si voltò facendo oscillare i capelli, e si incamminò velocemente senza avere assolutamente una meta dove andare. Si andò a incuneare in mezzo alla folla e poi riuscì a trovare un po' di ossigeno sbucando dalla parte opposta della pista, e prese un corridoio un po' oscuro che doveva essere quello che portava ai camerini, oppure ai bagni.
Il Viper Room aveva un'incredibile quantità di stanze secondarie in cui veniva suonato un genere di musica differente dalla sala principale, e lei le sorpassò tutte.

Era successo talmente tante volte, che lei facesse con lui quel giochetto subdolo di farsi seguire, eppure lui ci cascava costantemente con tutte le scarpe, perché giacché si rendesse perfettamente conto di essere la vittima di una sorta di trappola, era miseramente attratto come un'ape ad un vaso straboccante di miele.

Non dovette chiamarla, questa volta, o richiamare la sua attenzione.
Fu lei a girarsi verso di lui, quando si fu assicurata di essere in un punto che non fosse sotto lo sguardo di chiunque, e a restare ferma, senza dire una parola. Lo osservava con gli occhi brillanti di chi parlava con lo sguardo, scheggiati come se fossero intagli di diamante, e grondavano quegli occhi tersi di specchi d'acqua dolce tutta la mancanza che poteva avere di lui.
Era evidente, che non ci fosse nulla di distaccato, nel modo in cui lo stava guardando.
E lui ne venne letteralmente travolto, perché si aspettava imperturbabilità, e invece aveva trovato la sua stessa brama scalpitante.

Gli apparve ancora più mutevole, inafferrabile come l'aria, come se fosse diventata un tutt'uno con la materia nella quale aveva passato fin troppi anni a planare, incostante ed eterea, piume di cristallo a definirle l'iride e lo sguardo fiero come quello di un cigno.

«Dio, Estelle, quanto cazzo sei.. tu sei..»
Lei azzardò un sorrisetto beffardo, mentre osservava la sua fronte impallidita su cui ricadevano ciocche ribelli color cioccolato.
«Single? Sì, lo sono. Al contrario di te, mi pare di capire.»

Se il rimprovero non lo aveva trovato nel suo sguardo, le sue parole furono fiotti di fiele iniettati direttamente su per la vena. Eppure, non riusciva a smettere di concentrarsi su quei piccoli cuscinetti umidi e gonfi che erano le sue labbra di lampone.

«Non sapevo che fossi a Los Angeles.»
Quella fu l'unica frase di senso compiuto che riuscì a pronunciare, che riuscì a germogliare in una distesa di foglie secche che erano i suoi neuroni senza vita.

«Perché, se lo avessi saputo che avresti fatto?»
Lui tentò di schiudere le labbra per cercare di rispondere a quella provocazione con una frase che non sembrasse patetica, ma le connessioni cerebrali inciampavano continuamente nelle palpitazioni che rimbombavano nel torace.

La verità, è che se lo avesse saputo non avrebbe fatto proprio un bel niente, e lo sapevano entrambi.
Eppure, in quel momento, si attraevano come due poli opposti, la forza gravitazionale del buco nero con le sue stelle morenti, e non poteva essere solo attrazione fisica, quella forza spaventosa contro cui non avrebbero mai potuto lottare.

«Se pensi che il problema sia lei, ti sbagli di grosso.»
La vide distogliere lo sguardo, segno che non avesse apprezzato quello che stava dicendo.
«Io pensavo.. che tu avessi capito. Non l'ho fatto contro di te. L'ho fatto per te.»

«Si, beh.. non ho mai avuto modo di ringraziarti, per questa bella sorpresa.»
La guardò, perché anche dopo un anno, riusciva a districare tutti i suoi nodi, a risolvere tutti i suoi rebus. E sapeva che dietro quella maschera di cera e sarcasmo lei stava semplicemente malcelando una sofferenza che lui sperava di aver estirpato. Con il distacco, con il tempo.
E invece la vedeva ancora lì, in ogni tratto d'angolo sul suo volto, in ogni reminiscenza appesa negli occhi.
«Quindi direi che sì, ti ringrazio molto. È stato bello anche venirlo a sapere da Alex.»

Harry si innervosì un poco, sentendosi in difetto.
«Dovevo mandarti una raccomandata? È stata una cosa.. improvvisa.»
In realtà quello non era il termine esatto: era stata una cosa urgente. Un bisogno impellente, quello di anestetizzarsi i pensieri con un paio di occhi nuovi in cui avrebbe cercato per sempre quelli di lei.

«Il tuo sarcasmo risparmialo per qualcun altro, Harry!»
Lo stava per prendere a ceffoni, non sapeva realmente come riuscisse a mantenere tutto quell'auto controllo.
Un anno può scorrere in fretta o troppo lentamente, quando passi la vita a cercare qualcuno in ogni anfratto della tua mente, al punto che quel qualcuno diventa una presenza costante della tua vita ancora di più di chi è presente fisicamente.

«Sei innamorato di lei?»
Lui distolse lo sguardo e corrucciò le sopracciglia, perché era così evidente, che non riuscisse a tollerare una domanda del genere. In realtà, si ritenne offeso che potesse anche solo pensarlo.
«Questi non sono affari tuoi.»

«Penso che invece siano proprio affari miei.»
Lo fulminò con un'occhiata al vetriolo, e quella fu la goccia che fece straripare un mare mosso dai sensi di colpa che si agitava in lui fin dall'anno precedente. Non solo non era riuscito a proteggerla. Ma l'aveva anche calpestata.
«Cosa vuoi dire?»

«Passa una bella serata, Harry. Ho visto e sentito abbastanza per tutta la vita.»
Lo superò sfiorandogli il braccio con la spalla e i capelli che vi ricadevano sopra. Una freccia infuocata lo colpì implacabile in pieno stomaco, e lui cominciò a bruciare come un tizzone ardente. Prese fuoco come una carta di giornale inzuppata nella benzina, mentre lei lo abbandonava in mezzo ad una nuvola di profumo, che era quello del nettare zuccherino che aveva succhiato dalla sua pelle e sapeva d'inverno in estate esattamente come i suoi occhi, quello del suo epitelio vagamente arrossato dal sole, ma pur sempre candido come una tormenta di neve.

Estelle si diresse con decisione verso l'uscita. Non si premurò di avvertire Ivonne perché sua sorella già immaginava chiaramente che lei fosse solo di passaggio, che non si sarebbe trattenuta perché l'unico motivo per cui era uscita dalla stanza, quella sera, aveva un nome un cognome e un paio d'occhi che schernivano il cielo.
Quindi si ritrovò pochi minuti dopo sul marciapiede, mentre il suo sguardo si posava con una punta di nostalgia sullo Chateau Marmont che vedeva in lontananza, dalla parte opposta del Sunset Boulevard.

Le auto sfrecciavano sul cemento sollevando polveroni di aria bollente, che si mescolava allo smog delle loro marmitte e andava a ingolfarle i polmoni.
Sollevò un braccio, nella speranza che un taxi si fermasse.

La colonna vertebrale vibrò di brividi quando avvertì un passo sostenuto dietro la schiena, in un marciapiede completamente deserto.
«Estelle.»
La mano di Harry dietro di sé le bloccò il braccio che aveva appena sollevato, e l'istante dopo un taxi si accostò al marciapiede.

«Che cosa vuoi, Harry?»
Lanciò un'occhiata all'automobile come per intimare all'autista di aspettare, e poi tornò su di lei.
«Sei venuta per me?»

Narcisista.
«Questi non sono affari tuoi.»
Cercò di divincolarsi mentre citava la sua stessa frase, ma Harry non sembrava intenzionato a lasciare la presa.

«Prima ho salutato tua sorella. Me lo avrebbe detto, se ci fossi stata anche tu.»

Decise che non avrebbe speso ulteriori energie per negare inutilmente qualcosa che era semplicemente ovvio ed evidente.
«Sono venuta per capire. Se ho bisogno di odiarti, per dimenticarti, allora troverò il modo di farlo.»

Strinse la presa attorno al suo braccio come a non volerla lasciarla andare, e assottigliò gli occhi impregnandoli di intensità a quel contatto mentre tra le dita stringeva la sua pelle, sorprendendosi da solo all'idea di averla realmente di nuovo aderita alla sua. Preferiva essere odiato, piuttosto che dimenticato.

«Non ti vedo da un anno..»
Riuscì solo a sussurrare, come se cercasse di afferrare quella consapevolezza che gli tuonava contro con tutta la potenza della sua assurdità, ora che se la ritrovava davanti, bella e tangibile, e gli occhi si fecero lucidi, sempre più intensi, mentre
restava a guardarla esterrefatto come se fosse un ologramma che le sarebbe svanito tra le dita.
«Non è passato neanche un singolo giorno in cui io non abbia pensato a te.»

Il mondo tremò sotto i loro piedi, ma loro rimasero immobili con gli occhi avviluppati gli uno dentro gli altri.
Lei si asciugò rapidamente una lacrima intimidita che aveva preso a sfuggirle dal condotto lacrimale, ma che non sfuggì allo sguardo di lui.
«Se stai cercando di farti odiare, ci stai riuscendo perfettamente.»

«Elle, cazzo, ormai dovresti averlo capito, che chi abbiamo accanto non cambia proprio niente.»

«Harry!»
Quasi ad averla chiamata, una voce femminile li richiamò da quel labirinto di essenze in cui si perdevano costantemente, ogni maledetta volta che i loro occhi entravano in collisione, piccole nebulose che deflagravano in un universo di sogni interrotti, parole non dette e mai espresse.

Harry strizzò gli occhi come se il treno della sua coscienza fosse stato arrestato d'improvviso alla fermata della realtà.
Estelle invece, allungò lo sguardo dietro le sue spalle, e fu in quel momento che la vide, la figura femminile che gli andava incontro, le gambe ben tornite, la pelle ambrata, lo sguardo da pantera in un paio di occhi color caffè brillante e i capelli che sfumavano dal castano chiaro alle punte decolorate che sfioravano quasi il biondo platino.
Lemon era chiaramente ispanica, sicuramente più grande di lei, labbra carnose e un paio di ciglia lunghe da capogiro.

Ti prego, fa che non lo chiami amore. O tesoro. Niente di tutto questo.

Non voleva ritrovarsi risucchiata nella loro intimità: si sarebbe buttata sotto un'auto in corsa, piuttosto.
La ragazza li raggiunse su un paio di sandali dal tacco slanciato, e fu in quel momento che Harry lasciò la presa del suo braccio. Quello, se è possibile, quello fece più male di tutto il resto.
Il suo voler nascondere a Lemon la realtà dei fatti per tutelarla, come se scegliesse di sacrificare la sua sofferenza per evitare quella della sua ragazza.
Perché era un gesto che ribadiva la sua secondarietà rispetto a lei, e quanto ci fosse di inappropriato in quello che le stava dicendo.

Gli occhi felini e perfettamente truccati di quella ragazza la squadrarono da capo a piedi. Era evidente che l'avesse riconosciuta, quantomeno come personaggio pubblico, ma non sapeva fino a che punto sapesse di quello che erano stati lei ed il suo attuale ragazzo.
Estelle si chiese se si fosse resa conto di essere piombata nel bel mezzo di un momento di tensione inarginabile, ma aveva l'impressione che a quella biondina non interessasse granché, o che addirittura l'avesse fatto apposta.
Non poteva biasimarla, comunque, perché lei avrebbe fatto anche di peggio.

Suppose che Lemon avesse comunque intuito qualcosa dal fatto che non allungò la mano verso di lei per presentarsi, ma rimase a fissarla come se fosse del tutto inopportuna, per farla sentire a disagio.

«Lemon, torna dentro, per favore.»
Sentenziò Harry, e quello che la fece tremare fu il fatto che pronunciò quelle parole senza guardarla. Senza disincagliare gli occhi dalla sua figura. Le sue ginocchia quasi cedettero, come se fossero state perforate in più punti. Ricambiò l'occhiata della ragazza accanto ad Harry, mentre la sua mano andava a stringergli il braccio, come in un tacito e sottile atto di rivendicazione.
«No. Non ce n'è bisogno. Sto andando via.»

«Estelle.»
Harry era tremendamente serio, e lei lo folgorò con un'occhiata malevola.

Non ora, non qui.
Non davanti a lei.

Estelle si voltò afferrando la portiera dell'auto, e salì rapidamente sul sedile posteriore.
Un tempo, probabilmente, si sarebbe dannata l'anima per quello che aveva appena fatto, condannandosi impietosamente per aver agito in maniera del tutto scriteriata e illogica. Per essersi presentata da lui senza preavviso, minando la serenità di quella che sembrava una coppietta zuccherosa che aveva deciso di divertirsi. Tutto ciò che Harry ed Estelle non erano mai riusciti ad essere, a viversi: niente di tutto questo. Si sarebbe sentita una stupida, per essersi messa quel vestito striminzito sperando di essere desiderata, unicamente e solo, sempre e soltanto da lui.
Ma quando non hai più niente da perdere, improvvisamente capisci di non avere più spazio per i rimorsi.

«Harry, chi era quella?»
«Estelle Harlow.»

«Lo so che era Estelle Harlow. Intendo dire, che cosa voleva da te.»

Harry la squadrò storcendo la bocca e sospirando con rassegnazione. La sua serata era decisamente giunta al termine.
«Ringraziarmi per un favore che le ho fatto.»

Non doveva essere apparso granché credibile, perché Lemon lo guardò con uno sguardo accigliato e vagamente preoccupato, come se non si fidasse affatto delle sue parole.
«E tu sei uscito dal locale, solo per..»
Harry la interruppe sollevando un dito.
«Lemon. Io torno a casa, sono stanco.»

Lei gli sgambettò dietro come se non potesse semplicemente fare altrimenti.
«Honey, è il compleanno di Pauline. Ci resterà male, se ce ne andiamo.»

Harry si bloccò dopo qualche passo verso l'ingresso, perché si rese conto che Ivonne lo stava guardando seduta su un divanetto, ed incrociò il suo sguardo.
«Non ho detto che ce ne andiamo. Ho detto che me ne vado io.»

Si sentì carezzare la spalla dal tocco lieve di Lemon alle sue spalle.
«Sei sicuro che va tutto bene?»

Lui non si voltò, e lei dovette afferrare le sue parole in mezzo al rimbombo della musica.
«Torna dagli altri, Lem. Ho una cosa da fare, e poi torno a casa.»


*



«Ciao, Estelle, bentornata. È passato il dolore alla spalla?»
Posò il borsone a terra con un certo affaticamento, perché nonostante contenesse solo il suo asciugamano e poco altro, la sola cinghia le dava un certo fastidio.

«Quasi Steve, ma va un po' meglio, ti ringrazio.»

Il receptionist la osservò da sotto un paio di ciglia folte, carezzandosi una barba curata.
«Vuoi fare un po' di piscina, oggi? Forse ti farebbe meglio, rispetto alla sala pesi.»

Estelle aggrottò le sopracciglia, leggermente stranita, perché con il top sportivo e i leggings da palestra che indossava era abbastanza evidente che non avesse intenzione di andare a nuotare.
«In realtà pensavo solo di fare un po' di tapis roulant.»

«Capisco. Beh, è quasi ora di chiusura. Tyron sta finendo con un cliente e poi deve andare via.»

«Non preoccuparti, non ho bisogno di Tyron, sul serio. Faccio solo una mezz'ora di corsa. Sono stanchissima, non puoi mandarmi a correre per strada con questo caldo.»
L'addetto al front desk della palestra dello Chateau Marmont era bassetto e magrolino, un tipo simpatico e logorroico che quando aveva voglia di chiacchierare non la lasciava più andare per ore.
Ma quel giorno sembrava avere decisamente fretta di andarsene, e in effetti Estelle si rese conto che era più tardi del solito.

Aveva preso una casa in affitto sulla Hayvenhurst, perché aveva dovuto trattenersi più del previsto in California per lavoro ed era finita per restare quasi un mese, ma continuava a frequentare la palestra dello Chateau Marmont perché ormai si era affezionata al personale, che era serio e professionale.

Steven fece spallucce, perché non avrebbe potuto mandarla via. «In questo caso..»

Estelle afferrò la borraccia e prese una sorsata d'acqua.
«Conosco la strada, buona serata Steve.»

Imboccò un lungo corridoio, e dopo aver posato il borsone nello spogliatoio e essersi inserita le cuffiette nelle orecchie, si incamminò tranquillamente in direzione del tapis roulant.
La palestra del suo hotel preferito non era particolarmente attrezzata e neanche troppo frequentata, e le piaceva proprio per questo. Era in una fase della vita in cui non amava frequentare dei posti particolarmente affollati, e a quell'ora poteva stare tranquilla che non avrebbe trovato praticamente nessuno.
Era l'orario dell'aperitivo a bordo piscina e i clienti dello Chateau erano tutti più interessati ad alcolizzarsi e a fare pubbliche relazioni, e alla palestra ci avrebbero pensato il giorno successivo.

Un profumo vagamente familiare le avvolse l'olfatto come una nota delicata e piacevole, ma non ci fece particolarmente caso mentre era troppo impegnata ad osservare il cellulare per scegliere la playlist da ascoltare, per rendersi conto che non fosse del tutto casuale come pensava.

Il tempo traboccò di istanti infiniti quando alzando lo sguardo riconobbe la muscolatura in tensione di una schiena troppo nota perché non ne riconoscesse i giochi di bassorilievi scolpiti nel marmo più pregiato.
Quella schiena era un altare michelangiolesco di vertebre e nervi contratti che lei riconobbe in ogni loro spasmo, e il suo cosmo collassò in uno squarcio che scalpitò sulle labbra dischiuse in un'espressione attonita.

Indossava una maglietta di cotone bianco talmente sottile e trasparente da lasciar intravedere ogni singolo tatuaggio, e le maniche arrotolate sulle spalle scoprivano tutta la patina perlacea del sudore sulla sua pelle di confetto.
La linea delle spalle si stringeva in un bacino sottile, che lui spingeva verso l'alto sollevando tutto il corpo fino a portare il petto all'altezza della sbarra.
Voltato di profilo, l'espressione sotto sforzo di Harry era quella di un dio immortale, un titano nell'atto di compiere la sua ennesima impresa leggendaria.

Rimase per un po' ad osservare in silenzio quel corpo come fosse uno strumento di potere, completamente annebbiata, e i giochi del tessuto del pantaloncino che si increspavano attorno alle sue cosce tornite.

Cominciò a pensare che se fosse andata a correre per strada a Los Angeles attaccata a una marmitta avrebbe respirato sicuramente meglio che in quella sala pesi.
I versi di sforzo di Harry le arrivavano nitidi, fino a quando il filo del suo peregrinare verso pensieri impuri non venne interrotto da Tyron, che si voltò e la trovò seminascosta da un macchinario per i pettorali.

«Ciao Estelle! Come ti va la spalla?»
Harry arrancò a sollevarsi, a sentire il suo nome, e in un istante in cui si voltò leggermente verso di lei quasi non perse la presa. L'attimo dopo, con uno sforzo maggiore, si risollevò dignitosamente e completò la trazione per poi tornare in posizione di riposo.

Lei non riuscì a staccargli gli occhi di dosso, mentre la sua muscolatura imbizzarrita continuava a tendersi a quella sollecitazione e a scalpitare al di sotto di un tessuto incredibilmente provato.
«Io.. sto bene.»

«Finisco con lui e ti do una mano, se ti serve!»

«Tranquillo, io.. ho scordato una cosa in borsa.» Si affrettò a biascicare portando le mani avanti, e l'attimo dopo si dileguò rapidamente cominciando a ragionare su tutti i possibili motivi per cui lui potesse trovarsi in quel luogo.
E ne riusciva a trovare solamente uno.

Accelerò il passo finché non si accorse che si era messa a correre verso lo spogliatoio, e una volta entrata richiuse la porta con una certa irruenza. Il respiro accelerato e il battito sfrenato le rasavano al suolo le capacità di ragionare con lucidità.
Si sedette sulla panca in legno accanto al suo borsone e affondò il volto tra le mani, nascondendo la sua disperazione tra le dita.

Nemmeno il tempo di riuscire a decidersi sul da farsi, e su come avrebbe potuto scappare senza farsi vedere da lui, che Harry aveva già spalancato la porta dello spogliatoio, e si ergeva retto e incontrastato mentre le donava qualche istante di tregua breve, puntellando lo sguardo fisso su di lei.
Non poteva dire che non se lo sarebbe aspettato, quell'ingresso.
«Harry, è lo spogliatoio femminile!»

Lo sguardo di Harry slucidava languido, incurante dell'affanno, e si schiudeva come un cancello sui giardini dei suoi occhi primaverili.
«Nessuno è così pazzo da perdersi l'aperitivo in piscina per chiudersi in palestra, a parte te.»

«Non sono cliente dell'hotel. Vengo qui perché conosco il personal trainer. E non voglio che lui ci veda qui dentro insieme.»

«L'ho mandato a prendersi un cocktail dietetico. Gli ho detto che dovevo fare cardio e che non mi serviva più il suo aiuto.»

Respirava ancora con difficoltà, le vene del collo pregne gli arrossivano il volto, la maglia zuppa gli aderiva al petto rigonfio dallo sforzo accumulato e le mani erano poggiate sui fianchi.
Il petto umido si sollevava e si abbassava a ritmo forsennato, mentre portava una bottiglietta d'acqua alle labbra e se ne dissetava con disperazione.

La fronte era cosparsa di perle di sudore che scendevano lentamente dall'attaccatura dei capelli verso le sopracciglia, dove andavano ad arenarsi, eppure anche le lunghe ciglia folte sbrilluccicavano di una strana umidità che illuminava i suoi occhi di un barbaglio fioco ma incredibilmente puro. Come sentinelle andavano a ombreggiargli le palpebre infiacchite da ciò che stava osservando.

Ed era così che si erano ritrovati di nuovo da soli in una stanza vuota.
«Ho fatto più di tre ore di palestra, sono quasi morto disidratato per aspettarti. Pensavo venissi molto prima.»

Si asciugò con l'avambraccio la fronte scoperta dai ciuffi ribelli, tenuti indietro da una bandana scura.
Era escluso che la cercasse per telefono, perché avrebbe probabilmente incontrato un muro, dopo che lo aveva visto assieme a Lemon solo un paio di settimane prima.
Non era riuscito a farsi dire dove fosse casa sua, ma Ivonne gli aveva suggerito dove sua sorella minore andasse in palestra quasi tutti i pomeriggi.

«Che hai alla spalla?»
Si avvicinò sfiorandola leggermente, e lei cercò di ritirarsi come se fosse impaurita da quelle mani.
«Nulla. Solo una contrattura lieve.»

Estelle lo guardò con rassegnazione, perché era bello da farle rincorrere il respiro e quel viluppo di pelle capelli e sudore, muscoli intrecciati nei lombi e scosse di tendini ancora convulsi, già lo sentiva dentro a schiantarle le ossa e a rosicchiarle le vene.
«Cosa ci fai qui?»

Harry si sedette sulla panca, osservandosi i lacci delle scarpe. Masticava la gomma ma la mascella si bloccò e si tese mentre cercava di mettere insieme la quantità di motivazioni che l'avevano spinto a cercarla. Ma alla fine riuscì a dirne solamente una.
«Tra tre giorni sarà quel giorno.»

Lei assottigliò un po' gli occhi, perché aveva compreso cosa intendesse e vacillò al pensiero che lo avesse capito senza che lui glielo dicesse.
«Il concerto?»
«Esatto, il concerto.»

Il suo primo concerto da solista. Estelle sapeva meglio di chiunque altro quanto potesse significare per lui.

La osservò da testa a piedi risalendo dalle gambe fino alla vita, il seno, focalizzandosi sulle sfaccettature in rilievo dei suoi occhi brillanti.
«E tu hai avuto un tempismo spaziale nel farti rivedere proprio adesso.»

Si sentì leggermente in colpa, ma l'istante dopo quella sottile amarezza aveva lasciato il posto ad una nuova ondata al vetriolo. Non riusciva proprio a tollerare l'idea che ci fosse qualcuno ad aspettarlo a casa quando lui sarebbe tornato, magari anche quella stessa sera. Era un pensiero che la accecava, che la mandava fuori di testa, e allo stesso tempo le attanagliava le viscere di desiderio.
«Non puoi stupirti, è stato un miracolo che non ci siamo incontrati fino ad ora.»

Si alzò di nuovo in piedi e le venne incontro, d'istinto lei indietreggiò leggermente, perché le proporzioni perfette delle scanalature che creava il tessuto aderente sulla sua carne la distraeva da qualsiasi pensiero che non fosse quella folle idea di poter ancora scavare tracce di sé sul suo corpo.
I solchi, gli incavi curvilinei della pelle che si assottigliava sui muscoli e i tatuaggi leggermente sbiaditi dalla maglietta le importunavano le labbra insaziate, che avevano cominciato a fremere, dischiuse e irrequiete da una tentazione luciferina.
«Ma tu lo hai fatto apposta. Dimmi la verità.»

Il peso dei suoi occhi dentro a quelli di Harry era quasi insostenibile, bruciava di tutto il peso dell'anno passato lontani, a desiderare di rivederlo senza sperare di riuscire a trovarne il coraggio. La predilezione delle tenebre restava il suo più grande peccato inconfessabile, se quelle stesse tenebre le avesse potute passare chiusa in una stanza sopra la sua pelle.

E dovette seriamente concentrarsi per rispondere qualcosa di vagamente sensato.
«Non hai fatto lo stesso anche tu, qualche anno fa, a quella festa del Capital Group?»

La polpa delle sue labbra vibrò in una voce vagamente provocatoria.
«Allora lo ammetti.»

Harry le si avvicinò ancora, e ad ogni passo verso di lei le sue cicatrici riprendevano a sanguinare. E lei si sentiva dannatamente viva, di nuovo.
Lui la accendeva sempre risvegliandola da un tipo strano di morte cosciente, come se fosse quello il senso della sua stessa rinascita.

«Perché sei venuta? Dimmelo, cazzo. Hai proprio azzeccato il momento, per mandarmi in confusione.»
Sbottò sarcastico. Non era proprio quello il momento in cui aveva bisogno di distrazioni, e lei era apparsa come una visione, rimestandogli i sensi e spalancandogli la vista su un infinito che non apparteneva proprio al mondo della musica.

«Sono venuta perché volevo vederti con i miei occhi. Volevo vederti con lei.»

Harry emise un sorrisetto sghembo, distogliendo lo sguardo.
«Lei...»
Calcò l'accento su quel pronome, come se Lemon fosse improvvisamente diventata un'entità astratta, priva di nome, semplicemente qualcuno di cui l'unica cosa di cui si fosse a conoscenza era che fosse una donna.

«Ti ho trovato decisamente bene, con lei. Toglimi una curiosità, lo sa che quello che porti al polso è un ciondolo che rappresenta il mio tatuaggio? E che te l'ho regalato io al tuo ventunesimo compleanno?»
Lo incalzò, e stavolta fu lei ad avanzare verso di lui, ma Harry a differenza sua non si mosse di un millimetro e rimase fermo sul posto.
«E che quel tatuaggio si trova proprio sulla mia..»

«No!» La interruppe Harry mentre con un certo nervosismo si tratteneva le mani.
«No. No, certo che non lo sa. Non deve mica sapere tutto, di me. O di noi.»

Sosteneva a malapena il suo sguardo, ma non si sarebbe allontanato dal suo corpo per nulla al mondo.

«Com'è, Harry? Parlami di lei.»
Era come se volesse ferirsi da sola, mentre incrociava le braccia sotto al petto, in un processo masochistico autoinflittosi nell'ultimo disperato tentativo di liberarsi la testa dal suo viso, dalla sua voce, da tutto ciò che lui rappresentava.

«Lei è.. tutto quello che tu non sei.»
Lo disse con un tono ambiguo, come se non sapesse se fosse una cosa positiva o negativa. «Non potrei mai cercarti in qualcun'altra. Ho imparato a non farlo, perché non ti troverei.»

Deglutì un groppo velenoso di saliva a sentire quelle parole. Harry era sempre fin troppo sincero.
«Già.» Estelle prese a girare attorno la sua figura, cercando di non lasciarsi abbindolare dalla sua natura di demone tentatore. «Fammi indovinare. Lei è.. remissiva? Docile? Ti dice sempre di sì? Si stende come un tappetino per farti pulire le scarpe sulla sua schiena? Ti chiama padrone, a letto?»

Non era proprio così, ma in fondo non c'era andata troppo lontana.
«Lei non scappa.» Mugugnò, livido in volto.

Non aveva negato, e ciò le bastava.
«Certo che non scappa. Perché ti corre dietro.»

L'aveva vista, fuori del Viper Room, come scalpitava per non perderlo mai completamente di vista.
Harry non rispose, rimase muto, in silenzio, senza accogliere la provocazione, e roteò gli occhi al cielo.

«Quanto siete scontati, voi uomini. Che gusto c'è, Harry? Mh?»

Il fatto che lui in quel momento avesse bisogno di una persona che fosse totalmente l'opposto di lei, le annacquava gli occhi di una sottile ma evidente patina di rabbia. Ma non avrebbe saputo dire con certezza se quella collera fosse realmente contro di lui, o contro se stessa.
«Perché dover lottare con una come me? A voi piacciono così poco, le ragazze complicate.»

Lui sollevò le spalle, e cominciò a spiegare, vedendola così agitata cercò un contatto visivo. «Non è una questione di tipo di ragazza, ma di tipo di relazione.»

Estelle aggrottò la fronte come per invitarlo a spiegarsi meglio.

«Relazioni con poco coinvolgimento. Sono comode, ti fanno sentire meno solo, ma sempre indipendente. Ho imparato dalla migliore. Immagino che tu sappia che parlo di te, no?»

A quel punto fu toccata nell'orgoglio e gli direzionò uno sguardo che bruciò sul suo volto come un ceffone ben assestato.
«Sei proprio uno stronzo.»

«Avanti Estelle, è inutile che continui ad incolparmi. Non eri pronta a stare con me, dopo quello che è successo.»
Avrebbe potuto sbraitargli contro tutto l'odio che si trascinava appresso, ma la verità è che Harry aveva ragione. Indiscutibilmente, semplicemente ragione.

E lui non poteva accettare di tollerare il senso di colpa che gli nasceva nel petto ogni volta che la vedeva affranta, ogni volta che si sarebbe sentito responsabile per la sua perdita.
Aveva perduto il loro bambino tra un viluppo di lenzuola ghiacciate, dopo che lui aveva deciso di dirle la verità sul bacio di Charlie. Ed era sola quando era accaduto, sola per colpa sua che l'aveva lasciata andare.

Anche in quel preciso istante, si sentiva indirettamente colpevole di aver causato tutto quello.
Era un pensiero che ancora lo tormentava e ogni volta che avrebbe visto il buio nei suoi occhi, lui avrebbe voluto maledire se stesso e avrebbe chiesto al cielo di non essere mai nato.

Lei adesso era arrabbiata, sembrava volesse fulminarlo con lo sguardo, e lo vedeva chiaro nelle sue iridi di cristallo tutto il veleno accumulato in tutti quei mesi. Ondate di arsenico e iridi di piombo che drappeggiavano un volto sbeffeggiato dal tormento.
Ma andava bene così. Preferiva essere odiato, preferiva che lei andasse avanti piuttosto che rimanesse incagliata in un limbo per colpa sua.
Ed era stato quello il senso del suo sacrificio, perché la vedeva esattamente così quella relazione a cui si stava forzando da un sacco di mesi.

Il problema era che aveva ottenuto l'effetto opposto, e infatti Estelle decise di passare al contrattacco, perché la sua gelosia prese il sopravvento sulle sue parole.
Doveva pur trovare il modo di odiarlo, o di gettargli addosso tutta la rabbia che aveva accumulato.

«Com'è, portarla nell'appartamento che hai comprato per me?»
Gli si avvicinò di nuovo, puntandogli un dito contro il petto, con fare perentorio che in realtà nascondeva una voglia di piangere che le assaliva le cornee.
«Com'è, scopartela nel letto che abbiamo scelto insieme?»

«Non ce l'ho mai portata.»
«Non ti credo.»
«È la verità. Non è mai entrata in quella casa. Non sa nemmeno che io ne abbia una, di casa a New York.»

Estelle si interrogò su che razza di relazione Harry fosse riuscito ad instaurare, e poi scosse la testa.
Era escluso, che quella fosse la verità. Stava per piangere, gli occhi pizzicavano disperatamente e lei non avrebbe retto a lungo.
Si poteva piangere di gelosia?

«Sei un bugiardo!»
«Io non sono un bugiardo, ti ho detto che non è mai stata in quell'appartamento! Ma tu.. tu sei disperatamente gelosa.»
Non riuscì a non increspare le labbra e a nascondere un sorriso di soddisfazione, a quella consapevolezza.

«Io non sono gelosa. Ma avresti dovuto dirmelo. Avresti davvero dovuto farlo.»

Lo sguardo di Harry si intensificò.
«Come tu mi avevi fatto sapere che ti eri messa con Channing Reder? Mh?»

Scosse la testa stizzita, come se volesse rimuovere dalla testa quel nome.
«Penso di averla scontata abbastanza quella relazione, non credi? Non c'è bisogno di ricordarmela.»

«Quello che voglio dire, Elle, è che...»
Rimase in silenzio, e si bloccò ad osservarla. Ma ci rimase sul serio, come se avesse avuto una folgorazione, un lampo dal cielo improvviso che strappava l'azzurro del sereno.

Lei si irrigidì, di fronte a quello sguardo davanti al quale si sentì improvvisamente nuda. E quel nomignolo, era un colpo al cuore troppo potente da poter passare inosservato.
«Non chiamarmi Elle.»

«Quello, che voglio dire, stella..»
«Nemmeno stella!»

«Harlow?»

Incrociò le braccia sotto il petto come se potesse difendere il cuore, perché era l'unica persona che riusciva a far suonare sexy il suo cognome, quando lo pronunciava con le sue labbra di ciliegia arrossate dallo sforzo fisico e le corde vocali arrochite dall'intensità di ciò che stava per dire.
«Che c'è?»

E lui doveva star pensando la stessa cosa, perché gliele fissava come se fosse Ulisse legato al palo della sua nave, mentre il richiamo letale delle sirene era una tentazione tale da spingerlo fino a morire pur di cedervi.
«Cazzo, sei bellissima.»

Estelle cercò di acciuffare un respiro che però non riuscì a placare la sua sete di ossigeno.
«Non ci provare proprio. Lo so, cosa stai cercando di fare.»

Harry indossava quel maledetto dannatissimo sguardo. Non era uno sguardo fra tanti, quello era lo sguardo.
Quello che ti riduceva le ginocchia in fiocchi di burro e ti faceva dimenticare persino di essere al mondo. Ti faceva toccare il cielo con un dito, se ti degnava della sua attenzione, ti sentivi immortale ed onnipotente. Se ti planava addosso con quegli occhi a metà tra l'intensità e la malizia.
Lo conosceva troppo bene, quello sguardo, per non riconoscerlo.
Nessuno resisteva a quello sguardo quando lui si metteva d'impegno, era semplicemente impossibile, e lui lo sapeva fare fin troppo bene come se fosse nato con quell'arma impropria.

Lei rimase immobile, perché la scintilla che gli leggeva negli occhi presagiva qualcosa di estremamente pericoloso, il verde lussureggiante nei suoi occhi dipingeva tele di impressionisti che catturavano la luce e la restituivano più brillante e viva di colore.

Gli rispose con un'espressione confusa e un cipiglio interrogativo, ma l'istante dopo, Harry l'aveva già assalita e la stava trascinando all'interno di una doccia dello spogliatoio, facendola indietreggiare, mentre le ante della porta a saloon si richiudevano dietro di loro.

«Harry, ma cosa diavolo..»
Lui le piazzò un dito sulla bocca, sperando di assicurarsi il suo silenzio.

«Ascoltami.»
Erano soli, in quello spogliatoio miracolosamente deserto vista l'ora tarda in cui erano già andati quasi tutti via, ma lui aveva bisogno di più intimità. Di dirle qualcosa che necessitava uno spazio vitale ristretto, pareti che si accerchiavano attorno a loro due.

«Sai qual è, la cosa più ingiusta di tutte? Gli anni che passano, Elle. Gli anni che tu hai impiegato per diventare indipendente, in cui hai imparato ad essere felice stando da solo.»
Un breve sospiro si affacciò sulle sue labbra.

«E poi, arriva una persona, una sola cazzo di persona che entra nella tua vita senza un motivo, e ti rende completamente dipendente. E improvvisamente, la tua felicità dipende da lei. E poi un giorno, lei se ne va. E non è colpa di nessuno, se ne va e basta, senza che tu lo volessi. E tu rimani solo, completamente perduto.»

La voce tremava, gli occhi parlavano e gridavano e scavavano cunicoli come torrenti sotterranei, molto più di quanto riuscissero a fare le singole parole.
Era esattamente quello che lei aveva provato, parola per parola, e gli occhi le si riempirono di uno strato acquoso d'infelicità corrotta.

«Tu non sei solo. In questo momento appartieni a qualcun altro.»

Lui scosse la testa come per farle capire che si stava sbagliando.
«Ma che vuol dire, appartenere a qualcuno? Tu sei di chi pensi quando ti svegli al mattino chiedendoti cosa stia facendo. Sei di chi sogni, sei di chi immagini dormire mentre tu rimani sveglio a fissare il soffitto, mentre immagini di fissare lei.»

Non le fu più lecito mentire, né a se stessa né a lui.
«Credo.. credo di aver capito quello di cui stai parlando.»

«Non lo so se mi capisci.
Non so se capisci che cosa vuol dire svegliarsi la mattina sperando di vedere un viso, e vederne un altro.»

Certo che lo capiva, lo capiva perfettamente.
C'era passata anche lei, molto tempo prima. Non si può combattere quella sensazione di appartenenza che ti fa sentire sempre nel posto sbagliato, un estraneo persino dentro casa tua.

«Io non sono più riuscito a guardarla in faccia da quando ti ho rivista.»
Un altro sguardo gli costellò le ciglia di un firmamento di colori.
«E adesso siamo tu ed io.»

«Harry.. ti prego, non fare cazzate.»
Il respiro le si era accorciato ma le punte delle dita sottili erano andate a sfiorare l'ombreggiatura di barba sottile sulla sua mandibola. Perché Harry era incredibilmente vicino e sebbene volesse fermarlo, in realtà non avrebbe potuto negarsi quel lieve tocco.

Lui sospirò, perché aveva davvero sperato di vederla felice, serena, indifferente.
E invece nel suo sguardo non stillava nemmeno una singola goccia di indifferenza, neanche il minimo indizio che potesse suggerire che lei avesse superato i suoi tormenti.
Si era davvero illuso che fingendo di andare avanti lui, avrebbe spinto anche lei a fare lo stesso.

«Ne ho fatte talmente tante, che una in più non cambierà nulla.» La guardò, mentre lei indietreggiava contro il muro, e le si poggiò addosso, sfiorandole gli avambracci con le dita. «E comunque..»

I suoi occhi la inchiodavano, erano demoni di meraviglie, avrebbe potuto farsi spogliare con un solo sguardo.
«Io non posso morire senza averti baciata ancora una volta.»

Fu quello il momento in cui realizzò realmente che sarebbe morta per lui.
Esistono storie che ti si incidono dentro, come una canzone scritta su vinile, e su quell'immenso giradischi possono graffiarsi, si possono inceppare, possono restare bloccati a ripetere sempre le stesse quattro note, ma per quanto danneggiate possano essere, resteranno sempre la tua canzone preferita.

Le labbra di Harry andarono a precipitare su quelle di Estelle, mentre le mani si aggrapparono al suo viso, e il cuore di lei si agganciò all'affiorare della sua lingua che brulicava lenta nella sua bocca.
Non fu affatto un bacio casto, ma più che altro disperato, frutto di risentimento accumulati durante un anno passato lontani ad anelarsi. Le labbra dischiuse e unite in ogni singolo anfratto, mentre le lingue si accarezzavano come colte da un raptus di frenesia.
Se ci fosse stato spazio per i pensieri, lei avrebbe pensato che le sue labbra erano ricamate con lo stesso tessuto delle stelle.

La spinse per farle aderire la schiena contro il muro senza tenere conto del rubinetto della doccia, e lei inavvertitamente premette contro di esso.
Quest'ultimo si aprì, e l'istante dopo si ritrovarono inzuppati di una scrosciata d'acqua che li fradiciò entrambi da testa a piedi.

Quel fiotto piovasco sopra le loro teste si era aperto in un getto gelido che li investì completamente, ed entrambi i volti furono colti da un sussulto di sbigottimento.
Harry mollò la presa per un istante, come per realizzare ciò che stava accadendo, dopodiché chiuse il rubinetto che continuava a gocciolare sulle loro teste.

«Oddio!» Lei emise un gridolino soffocato mentre si asciugava il volto completamente zuppo, e non riuscì a trattenere una risatina nell'osservare l'espressione frastornata di lui, che reclinò la testa verso la sua spalla.
La sua mano gli andò a lambire la parte posteriore del collo.

Harry non aveva più i suoi capelli lunghi, ma la ciocca scura davanti agli occhi gli bagnava uno sguardo acceso, e il sorriso più bello dell'universo la imbambolò di meraviglia. Quel contatto fresco e inaspettato e quel bacio interrotto risvegliarono qualcosa di mai sopito, in un misero istante.

«La tua maglietta bagnata. Mi ricorda terribilmente qualcosa.»
Probabilmente fu il tono di malizia con cui lo disse. Oppure quella risata complice che continuava ad accenderla di tante scintille di ricordi, a ondate di meraviglia, di tutto ciò che loro erano stati.
Improvvisamente, qualcosa accadde e divampò istantaneamente tra le loro corde in tensione.

Lei affilò lo sguardo e schiuse le labbra in un riflesso incondizionato, e lui lo vide. Se ne accorse perché deglutì, a quello scambio di occhiate, e il pomo d'Adamo fece una sorta di capriola sul suo collo immacolato e perfettamente sbarbato.

Lei allungò entrambe le mani sulle sue spalle imponenti e fece in modo che si trovasse schiena al muro. E fu allora che fece aderire il corpo al suo e con la mano scese al di sotto del cavallo, mentre tornava a tormentargli le labbra con le proprie.

Le labbra di lei lambirono le sue, dischiuse, e la punta della lingua gli sfiorò il labbro superiore.
Lui inspirò il suo profumo e rimase bloccato perché semplicemente non ci vide più a quel contatto, mentre lei cominciò a smettere di chiedersi cosa diamine stesse facendo. Perché il suo autocontrollo era totalmente andato.
«Elle, cosa stai facendo? Ti prego.»

La sconfitta della carne: questo erano quando si trovavano vicini e i loro corpi sfrizionavano di scintille.
«Harry, fermami. Perché io non ci riesco.»

Riprese a baciarlo, mentre con la mano cominciava a strusciare contro un'erezione ignobile e smisurata di cui Harry si vergognava quasi, dal momento che non avrebbe dovuto essere provocata da lei.
Ma al diavolo tutto, lei era Estelle, e nemmeno in qualche altra vita lui sarebbe potuto restare impassibile, perché lo accendeva esattamente come il primo istante in cui l'aveva vista e desiderata.

Quando gli sentì sfuggire più di un gemito contro le sue labbra, si accorse che lui aveva chiuso gli occhi, perché cominciava a sentire la mano umida di lei intrufolarsi sotto il pantaloncino e aveva bisogno di assaporare il contatto.

Si divincolò con una certa facilità, quando lui provò a bloccarle i polsi per evitare che facesse quello che le si leggeva chiaramente nelle pupille.

Solo lei. Voleva solo lei. E quell'eccitazione inconfondibile che non provava dall'ultima volta che l'aveva vista ed era affondato con il viso tra le sue cosce, quel tremito selvaggio e perverso e quel bisogno carnale, pensava di averlo ormai quasi superato e invece era tornato più prepotente di prima.

«Non lo so proprio, perché lo sto facendo.»
Sussurrò lei, e lo vide reclinare un po' la testa di lato, mentre continuava a tenere gli occhi chiusi per godere a pieno della sensazione della sua mano stretta attorno al suo sesso eretto, e un sorrisetto gli sfuggì di bocca nel fare un certo pensiero. E poi quel pensiero lo condivise.
«Perché ti piace il mio cazzo.»

Lei soffocò una risata contro la manica fradicia della sua spalla, e vide ridere divertito anche lui.
Per confermare la sua tesi, l'attimo dopo, gli aveva tirato giù l'elastico dei pantaloncini, e osservò quella lunghezza impressionante che svettava e spingeva rigida contro il suo bacino.

«E perché è talmente sbagliato che non riesco a farne a meno.»
Era probabilmente l'ultima cosa che avrebbe dovuto fare, l'ultima che le suggeriva il raziocinio. Era tutto sbagliato, ed era talmente evidente che fosse un errore da attrarla per il semplice fatto che si era comportata sempre seguendo la ragione, la logica, sempre seguendo ciò che la sua coscienza le suggeriva ciò che fosse giusto.
E non ci aveva guadagnato un bel niente, se non un mare di solitudine, un lido intero di indipendenza in cui inciampare sui suoi rimpianti.

Non aveva avuto più nessun altro uomo. L'ultimo era stato lui, l'ultimo su cui aveva posato le sue labbra.
Nessun altro era stato capace di smuoverle nulla, nemmeno fisicamente, tanto da averle fatto persino sospettare di aver perso il suo desiderio.
E invece gli era bastato rivederlo una manciata di volte, per essere investita da un bisogno disperato di essere presa solo e unicamente da lui.

La vide scendere lentamente in una scia di baci, prima lungo le scapole, poi sotto la maglietta sollevata sull'addome contratto. Si sentì tremendamente in colpa, a vederla immolarsi davanti al suo sesso nudo che stava letteralmente gridando di lei, disperatamente, con tutto il vigore che possedeva. Ma in realtà la sua eccitazione lo avrebbe divorato intero se lei non l'avesse lenita al più presto, e vederla così gli regalava una sensazione estrema e adrenalinica al pensiero che l'avrebbe trascinato in quel limbo tra dolore e piacere dove solo lei sapeva portarlo.

Lei osservò le goccioline d'acqua che imperlavano la peluria dell'inguine e le venature che scalpitavano e si diramavano lungo la parte bassa dei suoi addominali obliqui.
Cominciò a torturarlo con un bacio più profondo dell'altro, e la bocca era un bagnasciuga dove lui approdava a ondate di benessere.

Harry fece un ultimo tentativo disperato, solo perché non voleva che avessero altro di cui pentirsi.
«Elle, potrebbe arrivare qualcuno.»
«Questa cosa non ti ha mai fermato.»

Silenzio.
«No. Infatti scherzavo.»
Continua.

Con le labbra gli lambì lentamente i due tatuaggi di felci sugli addominali obliqui, e poi scese lentamente verso il basso, percorrendo la linea dell'inguine.
La sua bocca in quel punto sensibile era una vertigine d'ebbrezza e il fragore di una notte senza sonno. Lo slancio di un sogno interminabile e sfrenato che non si era mai del tutto interrotto.

Gli calò i pantaloncini a metà coscia e rimase qualche istante a osservare la tigre tatuata che ricambiava fieramente lo sguardo.
Sensualità e potere.
Forza e passione.
Ferocia e bellezza.
Quello era Harry.

Poi si concentrò sulla sua lunghezza e cominciò a massaggiarla lentamente, mentre Harry reclinava la testa all'indietro e cominciava i suoi mugugni notturni e gutturali.

Dapprima sentì la lingua che andava a carezzargli la punta, e un pugno allo stomaco lo attecchì contro il muro.
Entrò molto lentamente, ad assaporare ogni singolo anfratto di quella cavità vellutata, il palato che lo accoglieva bollente, la bocca avida che lo abbandonava sublime per poi approfondire il contatto con il petalo della sua lingua, e fu una valanga di perversioni violente quelle che Harry stava cercando di contenere a quel contatto.
Rimase completamente immobilizzato di fronte al mescolìo scarlatto delle sua labbra che si schiudevano attorno a lui, mentre si aiutava con la mano alla base.

Quando lo inglobò nella sua bocca fino alla gola, a quel punto furono solo venti e maree di piacere puro, dove le correnti spazzavano via i sensi di colpa e gli occhi di Estelle che lo guardavano lo inabissavano come un cubetto di ghiaccio in una bevanda bollente.

A quel punto il suo bisogno di lupo affamato della sua bocca divenne indecente, impudico, le afferrò dalla nuca con una presa salda dietro i capelli e la trascinò verso di sé, ma si mosse ancora lentamente cercando di farla abituare a quella grandezza.
Una stilettata di piacere gli risalì lungo la colonna come una frustata netta, e lui si lasciò scappare un ansimo strozzato mentre reclinava indietro la testa.

Non riusciva a guardarla. Se avesse continuato a guardarla sarebbe venuto immediatamente, perché gli sembrava incredibile che fosse davvero lei. Eppure al tempo stesso gli occhi bruciavano di un bisogno disperato di realizzare che fosse davvero Estelle.

Lei sentiva ogni singola venatura della sua erezione scivolarle nella bocca e scolpirle il palato con le loro pulsazioni, il sangue coagularsi tutto sulla punta del suo piacere, e la sua lunghezza vorace farsi spazio tra la lingua e la gola.

Prese a muovere la lingua, fin quando non si spinse più in fondo per sentirlo fino all'ugola. I movimenti erano ancora di abitudine, lenti e costanti, ma Harry aveva già perso completamente la testa e continuò a focalizzarsi sul fatto che le sarebbe esploso in bocca nel giro di qualche istante, se non si fosse trattenuto.

Fin quando il ritmo non divenne costante: lei seguiva quello che lui gli dettava muovendo il bacino e tenendola dalla testa. Aveva il capo reclinato all'indietro, perché quando abbassava lo sguardo e vedeva Estelle, non riusciva a credere ai suoi occhi, e quel sogno lucido sarebbe durato veramente pochissimo.

«Cazzo Estelle. Porca puttana.»
Estelle non lo ascoltò, e lo portò sul limite, a fargli vacillare le ginocchia su un paio di gambe estenuate che non reggevano più il peso del corpo.
Ogni volta che sentiva il sangue coagularsi sulla lunghezza, sotto la sua pelle vellutata, lei indietreggiava con la testa.
Sapeva perfettamente quali tasti premere per farlo impazzire, e lui strizzava gli occhi come se stesse cercando di trovare un po' di buio in tutta quella luce.

Un altro grugnito, seguito da un ansimo più lungo.
«Mi mandi fuori di testa.»

Si spinse dentro di lei, più in fondo, perché non riusciva a tenere il bacino fermo.
E poi c'era quella cosa che faceva con la lingua, che lo mandava completamente su un altro pianeta.
Era pericolosa, quando faceva così, e giocava come se non avesse mai fatto altro nella vita.

Riusciva a sentire con la punta la gola bollente di lei restringersi attorno al suo gonfiore, ed era come una medicina. Un antidoto e al tempo stesso il veleno che lo intossicava.

E palpitava e le ingombrava la bocca prendendosi spazio con sempre maggiore prepotenza, fino a quando la luce attorno a sé non si colmò del suo piacere dissennato e il suo liquido gli attraversò la lunghezza come lava ustionante, ed Estelle esplorò i suoi gorghi di delizia e ne accolse i getti, perché quello era semplicemente il suo sapore e lui era tutto ciò che per lei contava.

Harry non riuscì a evitare di spalancare le labbra per lasciarsi uscire un gemito disperato, perché era talmente tutto teso da fargli male, e le ginocchia stavano per cedere, e infatti crollò non appena lei distolse le labbra, scivolando la schiena contro il muro fino a sedersi sul piatto della doccia, rannicchiato.

La vista appannata da una quantità indescrivibile di puntini argentati gli sussurrò che persino la morte sarebbe stata un sogno, dentro la sua bocca.

La guardò sfinito, stroncato da quell'acme mentre si sedeva a terra accanto a lui. Passarono qualche istante in silenzio, accucciati in un box doccia completamente fradici, uno a fianco all'altra, chiedendosi per quale benedetto motivo quella non avrebbe potuto essere la loro quotidianità.
«Perché io e te finiamo sempre così?»

Estelle piegò le labbra in un sorriso dolce su cui vagava un po' di amarezza e un pizzico di provocazione.
«Magari hai ragione tu, sono io che non riesco a resistergli. Ma almeno non gli ho lasciato un segno sopra per far capire alla tua ragazza che ci sono passata io con la bocca.»

Harry strizzò gli occhi. Quando parlava in quel modo, avrebbe potuto legarla da qualche parte e non l'avrebbe più fatta uscire per giorni.
«Non parlare così. Non parlare così, cristo santo, o finisce che faccio un casino qui dentro.»

Il richiamo del sesso con lei era talmente animalesco e primitivo che sarebbe stato sempre e comunque più forte di qualsiasi altra cosa.

Harry comunque rabbrividì a quel ricordo.
Non si sentiva un traditore, ma proprio per niente. Non avrebbe mai, lontanamente pensato a Lemon mentre stava con Estelle, ma in effetti, ciò lo rendeva esattamente un traditore.
Non avrebbe mai sentito di star tradendo Lemon con Estelle. Semmai, era decisamente accaduto il contrario.
Estelle era sua, e lui era suo.
Sarebbero potuti passare altri dieci anni, ma loro due si appartenevano.

C'era qualcosa di tremendamente sbagliato, come se fosse tutto al contrario e lui vivesse in un mondo sottosopra.
«Stai tranquillo, è stato solo un momento. Non significa assolutamente nulla. La tua fidanzata non saprà mai niente.»

«Puoi anche aver ragione, su quello
Senza dubbio era stato il migliore della sua vita, e ne aveva ricevuti parecchi. Aveva ancora il corpo percosso da scosse e la forza di reagire lo aveva abbandonato.
«Ma il bacio, che cos'era?»

Lei fece spallucce, e avrebbe voluto rispondere che era acqua quando sei assetato e ossigeno quando stai soffocando, fuoco quando stai ibernando e un oceano di pace dopo un temporale. Ma ovviamente non lo fece.
«Ci siamo lasciati andare alla nostalgia.»

Harry si alzò e l'aiuto ad alzarsi tendendole una mano. Voleva toccarla, stringerla, inglobarla a sé, ma aveva bisogno del suo permesso.
«Vieni da me, domani. A casa mia.»

«A casa vostra, vuoi dire.»

«A casa mia. E Lemon é a Berlino, all'inaugurazione di una galleria d'arte.»

«A fare cosa? Sei impazzito per caso?»

Lo disse tra il serio e il faceto, perché semplicemente lui era fatto così. Era provocatorio, lanciava l'amo solo per il gusto di vedere se lei avrebbe abboccato.
«Te lo ricordi, quello che posso farti io se ricambiassi?»

«E ricordi cosa mi hai detto tu due anni fa, sul discorso di farti da amante?»
Quando lei si irrigidiva, o si innervosiva, sapeva che aveva colto nel segno. Sapeva che stava tremando, e che era lui la causa del suo tremore, ormai aveva imparato a conoscerla.

E in quel momento Harry semplicemente non stava capendo più nulla, desiderava solamente prenderla e rinchiuderla nella sua stanza da letto. Confondere respiri e sudore e affondare in lei fino a farle scordare il suo nome.

La porta dello spogliatoio si spalancò con un rumore secco, e sul volto del personal trainer che comparve sull'uscio si palesò un evidente sconvolgimento inaspettato, nel vederli insieme, l'uno di fronte all'altra. Vestiti e completamente zuppi di acqua dalla testa ai piedi.
Rimasero qualche istante in silenzio, a osservarsi l'un l'altro mentre l'aria si impregnava di un estremo imbarazzo.

«Ragazzi, ma siete ancora qui? Io devo chiudere.»

Harry aprì la bocca per dire qualcosa, ma il proposito rimase incagliato in mezzo alla gola visto che non riuscì a trovare niente di intelligente.
Per cui fu Estelle a parlare.
«Noi.. stavamo andando via.»

Li squadrò da testa a piedi come se avesse trovato due ragazzini con le mani intinte nella marmellata.
«Ma perché siete completamente zuppi?»

«È stato un incidente.»
Bofonchiò Harry senza meglio specificare la questione.

«Già, un incidente.» Estelle lanciò un'occhiata abbastanza decisa ad Harry. «Non succederà più.»

Tyron sospirò con aria rassegnata, fortunatamente era abbastanza abituato alle stramberie delle celebrità per non chiedersi come mai quei due avessero deciso di farsi la doccia vestiti.
«Vi lascio una decina di minuti per asciugarvi, dopodiché devo chiudere sul serio, altrimenti il tipo delle pulizie mi ammazza.»

«Non serve Tyron, tranquillo, fuori fa caldo, mi asciugo meglio a casa.»
Estelle afferrò la sua borsa e si precipitò verso la porta, mentre Harry borbottava rapido qualcosa sul fatto che avrebbe fatto una doccia al volo e poi sarebbe andato via, mentre anche lui si incamminava verso l'uscita dello spogliatoio femminile.

La afferrò per il braccio nel momento in cui erano soli nel corridoio e le si avvicinò all'orecchio con le labbra, sussurrandole piano come per non farsi sentire nemmeno dalle mura che li circondavano.
«È inutile che fai la vittima. Sei tu che hai questo vizio di violentarmi nei bagni.»

Era evidente a entrambi, che l'attrazione fisica tra loro era cresciuta sempre di pari passo al loro sentimento, e non era possibile arginare nessuno dei due. Le mani di Harry fremevano per stringerla a sé e in quel momento non esisteva nessun altro.
Estelle lo guardò come se fosse il più bello di tutti i suoi sbagli, e imprecò contro se stessa per qualcosa che avrebbe rifatto ancora un altro centinaio di volte.

Non dire che è stato un errore, perché gli errori si pagano e tu vorresti che il dazio da pagare fosse proprio l'errore che hai già commesso.
E mai potrebbe esistere punizione più divina.

«Non è stato un errore. L'ho fatto perché lo volevo.»
Pronunciò ad alta voce i suoi pensieri.
Aveva imparato a ferirsi, aveva imparato a cadere e a sanguinare, e parlò senza alcun tipo di rancore, quanto piuttosto con una sorda rassegnazione.
«Ma non deve più ripetersi.»






                                      ⭐️
Se la frase che ha pronunciato Harry sotto la doccia vi ricorda qualcosa, tornate alla fine del primissimo capitolo. Stiamo tornando indietro per arrivare alla fine, sembra assurdo ma è proprio così.

Vi chiedo cortesemente di tenere sempre a mente il contesto che ha portato a questa situazione, nel senso che se perdete di vista tutto ciò che è successo con Charlie, i Reder e la gravidanza, potreste non comprendere ciò che li spinge a comportarsi in questo modo. Ma la verità è che a volte in certe situazioni i sentimenti non bastano, e si innescano degli strani meccanismi di attrazione-repulsione.
Purtroppo non siamo dotati di una gomma che cancella tutto ciò che abbiamo vissuto come se non fosse mai accaduto.

Vi lascio una gif di Harry che si allena shirtless il bastardo, sperando che non vi scordiate della stellina djskssksks

Il prossimo capitolo è uno dei miei preferiti in assoluto. Buon weekend bellezze ♥️

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