I'm not o-fucking-kay.

By cctvjh

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Eravamo riusciti a raggiungere le 66.6K visualizzazioni ma é durato tipo solo un'ora, poi é diventato subito... More

La mia camicia sa di tonno.
Questa va su Facebook.
Ricordi.
Liquidi Arancio.
Infortuni.
Non sei la mia ragazza, Way.
Presunto bulletto.
Pallidino.
Predatori.
Stai attento.
A domani, Gee.
Pansy.
Ci vendicheremo.
Non puoi scappare.
Pasticche.
Tremiti.
Principessa.
Approvazioni.
Lui mi rende felice.
Nuoto.
Farai il bravo?
Canta per me.
La gara.
Ricatto.
Non parla.
Non mi conosci.
Richiamami.
Fischio.
Ritardo.
||NON É UN CAPITOLO||
Occasioni sprecate.
Come il vetro.
||Avviso||
Solo un egoista.
Tu, Frank, cosa provi?
||Nuova storia!||
Mikey, l'ho distrutto, non è così?
La cena.
La fotografia.
Piccolo avviso.
Non sarà un addio, vero? (pt. 1)
Non sarà un addio, vero? (pt.2)
||PICCOLA CONSOLAZIONE||
Epilogo - To the end.
Nota autore.
Just another chapter in the end.

Vattene.

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By cctvjh

Lo sentì sbattere la porta.

Lo sentì salire le scale.

Entrava in casa sua come se nulla fosse, nemmeno bussava.

Arrivò alla sua camera.

Non entrò, si limitò ad appoggiarsi allo stipite della porta.

«Ehi, Frankie.» Salutò, sorridendo.

Frank prese un respiro profondo.

Era seduto sul bordo del letto, gli occhi chiusi.

Li aprì, puntandoli in quelli dell'amico.

«Vaffanculo Gerard, dobbiamo parlare.»

-

Dopo una settimana, le cose andavano avanti allo stesso modo.

I primi giorni poteva capire.

Magari doveva studiare, anche Mikey sosteneva quest'ipotesi, e dello stesso parere era Ray.

Quei due sembravano sempre d'accordo su tutto, e nella maggior parte dei casi erano talmente imparziali che era impossibile non credergli.

Ma più il tempo passava più i dubbi l'assalivano.

A scuola, ogni ricreazione, ogni volta che veniva evitato, si infuriava come non mai.

Ma quando Gerard si presentava a casa sua, lo sguardo basso mentre gli chiedeva di scusarlo per non avergli parlato, ecco che il risentimento evaporava, puf, sparito.

E quando sorrideva era un'altra emozione a sopraffarlo, molto più piacevole della rabbia, che lo portava a fare pensieri molto meno casti ma decisamente più dolci dello strangolare il più alto.

O in alternativa urlargli contro.

Si diceva sempre "oggi esigo spiegazioni", ma puntualmente tutto il suo buon senso veniva messo a tacere dalle labbra dell'amico che si adagiavano in modo quasi impercettibile sulle sue, lasciandogli correre un brivido per tutta la schiena.

Non capiva, cosa lo tratteneva?

Probabilmente la paura di un'eventuale lite che avrebbe di nuovo allontanato Gerard.

Il punto era che lui però quella lite la voleva, non gli andava di essere considerato un passatempo pomeridiano, dannazione, erano molto più di questo.

Forse gli aveva mentito dicendogli di piacergli, però, tralasciando quella storia, erano pur sempre amici da anni, e non poteva gettarlo via come se nulla fosse e rispolverarlo solo quando erano indisturbati nella sua camera da letto.

Non poteva, no, non poteva.

Eppure sembrava non gli importasse.

Anzi.

La maggior parte delle volte sembrava dispiaciuto, mentre porgeva a Frank le sue scuse. Ma comunque non faceva nulla per rimediare.

Dopo una settimana e quattro giorni precisi, Frank si fece coraggio.

Quando l'amico venne a bussare alla sua porta lo raggiunse subito, rischiando di cadere dalle scale.

Gerard teneva le mani in tasca, un sorriso tirato in viso.

«Ciao Frank.»

«Oh, ehi, entra.»

Si fece da parte, permettendogli di passare.

«Andiamo in camera tua?» Chiese. Sembrava impacciato. Era abituato ad entrare da solo, tanto la porta era sempre aperta, e raggiungere il più basso al piano superiore.

«Possiamo anche stare qua. Vuoi qualcosa da bere, da mangiare?»

«Un caffè.»

Lo trattava come se fosse un ospite che metteva piede in camera sua per la prima volta, cosa che invece era successa milioni e milioni di volte.

Era agitato al pensiero di discutere.

Sgattaiolò in cucina, accendendo la macchina del caffè, cercando in giro le cialde.

Ebbe il tempo di pensare a come formulare al meglio la domanda.

Gee, senti, capisco se hai degli impegni, ma non sono un idiota, perchè mi stai ignorando?

Che alla fine rimaneva sempre la stessa banale domanda. Poco male.

Quando i caffè furono pronti, tornò in soggiorno.

Gerard si era tolto le scarpe, aveva già acceso la televisione.

Prima che quella strana storia ebbe inizio, i pomeriggi si ritrovavano tutti e quattro, loro, Mikey e Ray, a casa di Frank per guardare un film Horror, o per giocare a qualche videogame.

Gli porse la sua tazza, mentre lo osservava bere il liquido nero.

«Tu mi ignori.» Esordì. E a farsi fottere la domanda.

Il più alto quasi sputò.

«Non è vero.» Rispose, con poca convinzione.

Non era bravo nemmeno a mentire.

«Dai Gee, capisco che tu abbia degli impegni, ma è più di una settimana che quando provo ad avvicinarmi scappi. Un giorno sono pure stato a guardarti da lontano e, indovina un po'? Non sei dovuto andare da nessuna parte.»

«Frank.» Sospirò. «Non ti ignorerei mai.» Quelle parole gli lasciavano l'amaro in bocca. Era vero, di suo non l'avrebbe mai ignorato. Ma le circostanze erano quelle che erano, non poteva fare altro.

«Non mi prendere per il culo!» Sbottò.

Gerard si voltò verso di lui, accigliato, posando la tazza sul tavolino davanti a loro. Gli prese una mano, esitante.

«Non ti sto prendendo per il culo. Credimi. Appena avrò risolto i miei impegni avrai tutta la mia attenzione.» E questa volta sorrise sincero.

L'altro, tuttavia, non pareva sicuro di quelle parole.

Stava per ribattere, ma venne interrotto dalla mano libera del più alto che si appoggiò sulla sua guancia.

Lo stava supplicando con lo sguardo di non continuare la conversazione, era evidente.

Annuì, insoddisfatto.

Fanculo la sua debolezza, anche questa volta l'aveva vinta Gerard.

Quest'ultimo si avvicinò, baciandogli la punta del naso, e Frank alzò appena la testa, facendo incontrare le loro labbra. Le mani del maggiore si sportarono, facendole aderire alle sue guance, portandole tra i suoi capelli, scendendo fino al petto, lentamente, laciandolo senza fiato

E fanculo a tutti i buoni propositi.

Quello era, ancora una volta, uno dei loro pomeriggi clandestini.

«Mi piaci davvero tanto, Frank.» Mormorò.

Il minore sospirò flebilmente, guardando le loro mani, che ora erano entrambe intrecciate.

«Lo so. Per me è lo stesso.»

Gerard sorrise, baciandolo di nuovo, sistemandogli la frangia dietro l'orecchio.

«Lo so.»

-

Dopo quella volta non aveva più tirato fuori l'argomento, non ne valeva la pena, la risposta sarebbe sempre stata la stessa, che senso aveva insistere?

Nonostante la situazione fosse frustrante, si era arreso al silenzio di Gerard.

Ma un giorno, un giorno in particolare, i suoi nervi cedettero.

A ricreazione, lo aveva sentito parlare con Mikey.

«Devi smetterla.» Aveva detto lui a bassa voce, per non farsi sentire.

«Non ci riesco.» Il più alto si era passato una mano tra i capelli, in agitazione.

«Devi riuscirci! Non gli fa bene. Non ti fa bene!»

«Mikey, io...»

«Gee, ti sosterrò sempre, ma ora basta con questa cosa. O la pianti e gli parli anche qua, o risolvi la situazione, o smetti di vederlo, per il vostro bene.»

«Non posso parlargli qua.»

A quel punto si accorsero della sua presenza, e il biondo tentò di evitare il suo sguardo in tutti i modi.

«Ehi, Frank.» L'aria si fece carica di tensione.

Cos'aveva sentito?

Ray arrivò subito, alleggerendo l'atmosfera.

«Che succede ragazzi?»

«Niente, vado a studiare.» Disse Gerard, spostando il peso da un piede all'altro prima di incamminarsi veso l'entrata della scuola.

Frank era allibito, bloccato.

Non poteva parlargli a scuola.

Perchè non poteva?

Cosa diavolo gli stava nascondendo?

Perchè aveva qualcosa da nascondergli?

Un'idea si fece largo con la forza nella sua testa.

Non voleva farsi vedere a parlare con lui.

Certo.

Ovvio.

Già la loro reputazione faceva schifo. Se poi passava il suo tempo con la femminuccia sfigata, era ancora peggio. Fino a quel momento non ci aveva fatto caso perchè non pensava quello che dicessero fosse vero. Ma ora che sapeva che Frank Iero era una checca, iniziava ad evitarlo.

Logico. Come dargli torto?

Ma anche Gerard era una checca. E aveva bisogno di sfogarsi. Ovvio. E allora i pomeriggi usava Frank. Naturalmente.

Sono la sua puttana.

-

Il giorno dopo, era entrato in classe come un uragano.

La notte l'aveva passata ripensando a quell'illuminazione. Sono la sua puttana.

Aveva voglia di urlare, ed era quello che aveva fatto.

Urli scomposti, parole disarticolare, e, ogni tanto, qualche -Vaffanculo!- rivolto al ragazzo che lo stava prendendo in giro.

Cosa credeva, che fosse un giocattolo? Frank non era il giocattolo di nessuno.

Il pomeriggio aveva chiuso a chiave la porta, in modo che Gerard non potesse entrare di sua iniziativa. E lui di certo non gli avrebbe aperto. Dopo dieci miuti passati a bussare e chiamarlo senza successo, se ne era andato. Dalle tendine della cucina l'aveva visto allontanarsi a testa bassa, prendendo a calci un sassolino.

Si sedette al suo posto, accanto a Marceline, che lo guardava confusa, mentre nascondeva la testa tra le braccia sul banco.

«Frank? Frank stai bene?»

«Mhpf.» La stoffa che gli premeva contro la bocca attutì la sua risposta.

«Eh?»

«No.»

Lui stesso si sorprese di non starle rispondendo con il classico "sì" pur di non iniziare una conversazione poco gradevole.

Da quando Gerard era tornato a paralrgli, non si apriva con lei, non gli aveva raccontato nulla, erano cose sue ee del suo...amico?

«Oh, tesoro, che è successo?»

Gli accarezzò i capelli sulla nuca, cercando di utilizzare un tono amorevole.

Non chiamarmi tesoro.

«Niente di che.»

«Dai Frankie. Dimmi tutto.»

Negli ultimi giorno l'aveva visto sempre più giù di morale. Si era stupita non poco. Si, insomma, prima era euforico, sembrava aver dimenticato quell'altro, e la loro amicizia andava forte, poi piano piano era diminuita, senza che lei facesse nulla di sbagliato. Perchè non aveva fatto nulla di sbagliato, giusto?

Il ragazzo sospirò rumorosamente.

«Hai presente Gerard?» Continuava a tenere la testa nascosta.

Le labbra di Marceline si trasformarono in una linea dura.

Ah, ecco, pensava ancora a lui.

Piccolo bastard...

«Non mi parla più.»

«Frank, guarda che da è da un po' che non ti parla.»

Lui fece segno di "no".

No? Come no?

«Tre settimane fa è tornato a parlarmi. Era venuto a casa mia. Avevamo risolto. Aveva detto che non mi avrebbe più ignorato. Che era tornato da me. E invece continua ad evitarmi. Mi usa solo il pomeriggio, nemmeno fossi la sua bambola.»

La ragazza strinse i pugni, facendosi sbiancare le nocche, infilzandosi le unghie nella carne.

Così gli aveva parlato. Quell'idiota gli aveva parlato. Beh, almeno stava facendo soffrire Frank, e in questo modo allontanando ulteriormente, ma restava il fatto che gli aveva parlato, non aveva seguito i suoi ordini, e Dio solo sa cosa facevano da soli a casa del più basso.

Non voleva pensarci.

Ora Way si meritava una lezione.

Non l'avrebbe passata liscia.

Grazie dell'informazione, Frank.

«Ehi, ignoralo. Lascialo perdere. Ti sta usando, hai ragione. Non farci più caso, no?»

«Oh, Marceline, se fosse così facile...» Sospirò, di nuovo.

«Vedrai.» Gli disse, alzandogli la testa e sorridendogli. «Si risolverà tutto. E lui avrà quel che si merita.»

Frank annuì, sussurrandole un grazie.

Si, Gerard avrebbe avuto quello che meritava. Le dispiaceva solo che il suo piccolo ne avrebbe risentito.

-

Uscì da scuola camminando svelto, con l'intento di non incontrare Frank.

Ray l'aveva bloccato all'ingresso.

«Gerard, che hai detto a Frank? Non è messo bene.» Si era grattato la nuca, non capendo.

«Uh, io non gli ho detto niente.»

«Sei sicuro?»

Si guardò intorno, ed intravide il ciuffo nero dell'amico in mezzo all'ammasso di studenti.

«Sicurissimo. Scusa, devo andare.»

«Ehi, Gerard!» Lo sentì urlare. Si voltò. «Vedi di non fare cazzate.»

Sembrava quasi un ultimatum. Lo ignorò, proseguendo per la sua strada. Ormai di cazzate ne stava facendo fin troppe.

Quindi Frank stava male. E a ricreazione molto probabilmente lo aveva sentito parlare con Mikey.

Merda.

Cos'avrà pensato? Dio, doveva andare da lui. Doveva.

Riuscì a fare solo pochi passi, però, prima di venire violentemente strattonato per una manica e trascinato dietro un albero.

«Ray, cazzo, ho capito, non farò caz...»

La voce gli morì in gola quando vide quegli strani occhi verdi puntati nei suoi.

«Ecco di nuovo il frocetto.» Disse quella voce irritante, con tono acido.

«Marceline, levati.»

«Oggi Frank stava una merda.»

Gerard si riavviò i capelli con la mano.

«Lo so. Me lo hanno già fatto notare.»

«Ah, sì? Beh, mi ha anche raccontato il motivo.»

Si sentì raggelare all'istante.

No, no, no, le aveva detto che si erano parlati.

Dannazione.

Dannazione.

Dannzione.

Sentì il suo indice percorrergli la guancia, fino ad arrivare all gola.

«Il suo amichetto non gli parla, però i pomeriggi va a trovarlo e lo usa come preferisce.»

«Io non lo uso, e lo sai, è tutto colpa tua.»

Lei ghignò.

«Sai Gerard, penso che la vostra dolce foto farà un bel giretto della scuola.»

«No...»

«Io ti avevo avvisato.»

La rabbia la accecò. Gli afferrò la mano, levandosela di dosso. Lei si accigliò, ma si riprese subito.

«Vaffanculo Marceline! Cazzo, lo hai visto anche tu che sta male!»

«Ed è opera tua, idiota.» Sibilò.

«No! Non ho deciso io tutto questo!»

«Ti sarebbe bastato continuare a non parlargli e lasciarlo a me come ti ho ordinato! Ma tu no, devi fare la dodicenne innamorata! Lui poteva essere mio, poteva stare bene!»

Sapeva che la ragazza aveva ragione, ma non poteva dargliela vinta.

«Tu non sei meglio di me! Sei una cazzo di maniaca!»

«No! Io lo amo. Tutto qua. Non lo farei mai soffrire. Sei tu l'egoista che lo illude.» Gli ringhiò addosso.

Gli veniva da piangere.

Voleva piangere.

Aveva ragione.

«Tu non lo ami, o non mi avresti ricattato così! E' lui che ne risente più di tutti!»

«Se ti ho ricattato è perchè lo amo! Non deve diventare come te! Non lo meriti!»

Spalancò gli occhi.

Non deve diventare come te.

Non lo meriti.

Era così fottutamente vero.

Non sapeva come rispondere, e lei se ne accorse, se ne approfittò.

«Io ti ho dato delle condizioni, Gerard Way, tu non le hai rispettate. Sei un debole, un egoista, una checca, sei sbagliato, e hai perso. Tu hai perso e io ho vinto. tu hai perso e ne risentirete entrambi. Per colpa tua.»

Una lacrima gli rigò la guancia, scatenando immediatamente nella ragazza una risata fragorosa.

«Il povero cucciolo piange.» Lo schernì.

Lui prese dei respiri profondi.

«Marceline, per favore. Per favore.»

«Hai combinato tu il casino, Hai perso tu.»

«Io non ho perso! Questo non è un cazzo di gioco! E' la vita mia e di Frank! Non ci sono vincitori o perdenti, però c'è chi si diverte e chi piange. E cosa pensi che stia facendo ora Frank? Che si stia divertendo? Beh, io penso proprio che ora lui stia piangendo, perchè vuole me, e io voglio lui, ma per colpa tua niente può andare per il verso giusto! Tu non lo ami, tu sei solo pazza.»

Marceline corrugò le sopracciglia, allontanandosi di poco. Faceva giuzzare gli occhi spalancati da una parte all'altra.

«Io non sono pazza, io lo amo.»

«Lo sei.»

«Io non sono pazza, io lo amo.» Ripetè.

«No, no. Se lo amassi, non faresti vedere a tutti la foto, non lo rovineresti.»

Stava prendendo lui il controllo della situazione, ora.

«Io...Io non...»

Le afferrò le spalle, obbligandola a guardarlo negli occhi.

«Senti. Se non sei pazza come dici, dammi un'altra occasione. Allontanerò Frank da me. Ma lascia perdere quella foto. Non per me. Ma per lui. Fallo per lui.»

Lei si riprese dal precedente stato si shock.

«E va bene.» Sputò. «Ma sappi che terrò la foto pronta. Un solo passo falso, Way, uno solo e...»

«Non farò passi falsi. Chiuderò la storia.»

E quelle parole erano così vere che facevano male.

-

Quando arrivò a casa, decise che avrebbe aspettato Gerard. L'avrebbe fatto entrare. Questa volta, quesat volta gli avrebbe detto tutto, come già doveva fare da giorni.

Ma ora era più urgente.

Doveva dirglielo.

Non era la sua puttana.

Doveva dirglielo.

Sentiva l'urgenza premergli nel petto, lo stomaco attorcigliarsi, i muscoli della gola contrarsi mentre tentava di deglutire.

Passò un'ora, quelche minuto più, qualche minuto meno.

Lo sentì sbattere la porta.

Lo sentì salire le scale.

Entrava in casa sua come se nulla fosse, nemmeno bussava.

Arrivò alla sua camera.

Non entrò, si limitò ad appoggiarsi allo stipite della porta.

«Ehi, Frankie.» Salutò, sorridendo.

Frank prese un respiro profondo.

Era seduto sul bordo del letto, gli occhi chiusi.

Li aprì, puntandoli in quelli dell'amico.

«Vaffanculo Gerard, dobbiamo parlare.»

Il più alto corrugò le sopracciglia, fingendosi confuso. Se lo aspettava, sapeva che Frank avrebbe voluto parlare.

D'altronde, anche lui doveva parlare. Doveva chiudere la faccenda. Doveva chiudere tutto. Per il loro bene.

E poi, considerando i pro e i contro, senza di lui quel tappetto sarebbe stato meglio. Suo padre non sarebbe rimasto deluso della sua quasi-relazione con un ragazzo, Marceline non li avrebbe più provocati, i sensi di colpa si sarebbero alleviati, ma lui sarebbe stato solo. Solo, senza Frank. Senza il loro gruppo unito.

Solo Gerard e Mikey e dall'altra parte Frank e Ray e magari Marceline.

Pensarci era la cosa peggiore.

Lui amava Frank.

Era stato così avventato, nel dirlo, quella volta dopo lo gara. Ma era così. Era stata la foga del momento, ma lo pensava davvero. Ne era innamorato. E non importava, non contavano nulla i giorni; sarebbe potuto passare anche un anno e le sue emozioni sarebbero state le stesse, quindi perchè aspettare a confessargliele?

E Frank ricambiava, anche questo era da considerare. In un modo meno sicuro, più confuso e indeciso, ma ricambiava.

Perchè stava succedendo a loro? Probabilmente non era abbastanza essere sbagliati. Doveva anche essergli negato qualcosa che stava per nascere. Qualcosa di bello.

«Di cosa?» Domandò, giocaherellando con la stoffa nera dei suoi jeans, la voce che già tremava.

«Lo sai. Ti ho sentito a ricreazione. Ti ho sentito.»

«Mi hai sentito? Di che parli?» Frank lo guardava con occhi penetranti, quasi volesse leggergli dentro, e dentro faceva tutto così schifo che si sentiva in imbarazzo al solo pensiero. Con occhi penetranti e delusi.

«Non puoi parlarmi. Perchè non puoi parlarmi, Gerard?»

«Io...»

Alzò una mano, bloccandolo.

«Ora ti dico cosa penso. Io penso che tu non voglia avere nulla a che fare con me, che tu non voglia farti vedere con me, perchè ormai anche tu sai che tutti quegli insulti erano fondati. E ti vergogni.»

Avrebbe voluto dirgli che non era affatto vero, che non si vergognava di nulla, ma in quel modo cioè che stava per succedere sarebbe stato ancora più sofferto.

Si limitò a guardarlo, aspettando che proseguisse.

«Però tu sei come me, non è vero? E poi io ti piaccio, non è così? Beh, fose no. Però ti piace usarmi, vero Gee?»

«Cosa...» Si lasciò sfuggire. Frank non si muoveva di un millimetro. Era terribilmente serio.

«Ti fa schifo farti vedere con me, ma il pomeriggio vieni qua lo stesso, quando non c'è nessuno che possa assistere? Eh? Perchè hai bisogno di sfogarti. E su chi lo fai? Su di me. Perchè sai di piacermi.»

La sua voce si incrinò, e si alzò in piedi, camminando a grandi falcate verso di lui, che era ancora appoggiato allo stipite della porta, gli occhi sbarrati.

Gli puntò l'indice contro al petto.

«Tu mi usi e basta. Hai detto di amarmi, quel giorno, ma era tutta una scusa. Tu mi usi.»

Respirò a fondo.

«Tu mi usi come la tua personale puttana.»

Emise un verso strozzato. Davvero lo pensava? Pensava che gli avesse mentito? Che fosse tutto finto?

Il suo istinto gli diceva di abbracciarlo, di stringerlo, spiegargli tutto mentre gli accarezzava i capelli, e dirgli che non lo usava, non l'avrebbe mai fatto.

«Non è vero, Frank...»

«Ammettilo, almeno!» Sbottò, premendo ancora di più il dito contro la sua carne.

«Io non ti uso...» Si era messo in testa di presentarsi freddo e troncare i rapporti, ma davanti a un Frank sull'orlo della rottura, come poteva farlo?

«Allora perchè per due settimane mi hai ignorato? Allora perchè a scuola mi ignori? Allora perchè vieni da me solo il pomeriggio, come di nascosto?»

Sospirò, scuotendo la testa.

Non posso, non posso.

Allungò la mano, in cerca della guancia del più basso, che si scostò.

«Smettila!» Strillò. «Non sono la tua puttana! Io ti amo, e tu non puoi usarmi! E anche tu l''hai detto, si, tu l'hai detto, ma era una bugia, non lo era?»

Lo guardò, sperando in una negazione.

Ci volle tutto il suo auto controllo per trattenersi.

«L-lo era? Era...Tu non mi hai mai...Gerard?»

Attese un istante.

Il più alto rimase impassibile, mentre dentro sentiva il suo cuore venir trascinato verso il basso. Voleva sprofondare, voleva sparire.

Cosa gli sto facendo?

«Oh, Dio, era un...Era una bugia. Tu-Tu mi hai illuso. Tu...Tu mi hai usato.» I suoi occhi si fecero lucidi. Era sull'orlo di un burrone. Mancava solo la spinta finale. E purtroppo, nonostante ogni millimetro del suo essere lo pregasse di rifiutarsi, quella spinta stava per dargliela proprio Gerard.

Deglutì, guardando in basso, senza rispondere.

Quelle di Frank erano solo supposizioni. Non pensava che il suo amico, uno dei suoi amici più cari, il ragazzo di cui era innamorato, potesse prenderlo per il culo così.

Era stato fottutamente bravo a mentire.

«Non ti è mai importato...Forse-Forse non sei mai...mai nemmeno stato mio amico...e-e io ti ho creduto, e...Dimmi che non è così. Ti prego.»

Non ce la faceva a vederlo così, a vederlo supplicare. Sapeva che non era la scelta giusta, ma doveva dargli almeno una consolazione. Doveva. La persona a cui teneva di più, quasi più che a suo fratello, stava soffrendo per colpa sua e di una psicopatica.

«Non ti ho illuso, io ti...»

«Tu cosa?»

«Io ti amo davvero.»

Le labbra di Frank si schiusero.

«Allora perchè ti comporti in questo modo!» Chiese, quasi ne andasse della sua vita, la voce rotta.

«Perchè io...»

«Se tu mi ami, perchè fai così! Perchè non possiamo stare bene e basta!» Urlò gesticolando freneticamente.

Strinse i pugni, chiudendo gli occhi.

«Perchè non ti amo come ti amavo ieri. Come ti amavo giorni fa. Settimane fa. Io ti amavo. E forse sì, ora ti sto usando, ora sei solo qualcosa su cui scaricare le mie tensioni, perchè so che tu lo vuoi.»

Disse, tutto d'un colpo. Questa volta, mentire faceva più male del solito.

E l'espressione distrutta dell'altro non aiutava, no, per niente.

Le braccia del più basso gli ricaddero lungo i fianchi.

Questa volta, non riuscì a trattenere le lacrime.

«Mi hai usato. Mi stai usando.» Sussurrò.

«Sì.»

Ahi.

«Non...Non mi ami. Non ti importa nulla.»

Deglutì. «Esatto.»

Ahia.

Frank abbasso la testa, le spalle che iniziarono ad essere scosse dai singhiozzi.

Perchè faceva così male? Perchè ora che ne aveva la conferma faceva così male?

Gerard si passò le mani sugli occhi, cercando di darsi un contegno.

«No, no, é fottutamente sbagliato, no, non può essere.»

Non rispose.

«Non ci credo, non ci credo, io...» Si portò le mani tra i capelli. «Gerard...»

Un fremito lo percorse.

«Gerard, vattene da casa mia.»

Strinse ancora di più i pugni, sentiva le unghie ferirgli la carne, gli occhi farsi acquosi. Li chiuse con forza, fino a vedere dei puntini bianchi.

«Vattene da casa mia, cazzo.» Ripetè con voce rotta. Si lasciò andare, sedendosi a terra sulle ginocchia, la testa ancora bassa, la frangia che gli copriva il viso.

«Ora.»

Si abbassò di poco, per lasciargli un bacio leggero e disperato sui capelli, non sapeva cos'altro fare, Frank era talmente vicino, ma non era mai stato più lontano, e scappò via, le guance che iniziavano a bagnarsi.

***

Boy Division

TEIC MI TU CIURRRRCCCC

Ochei.

Bene bene bene.

Sapete, questa storia non mi piace più.

Per niente. Mi sembra, non so, dozzinale? Scontata? Monotona?

Non lo so nemmeno io. Ma non mi piace più.

Questo capitolo invece mi piace, a differenza degli altri, lol.

Non so perchè.

Woah.

E l'ho scritto in due giorni.

3851 parole.

Wo-Woah.

Ochei, basta direi.

FRERARRRRDDDD.

Ehm, la smetto.

||A||

(ora 3856 parole!)

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