𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒚𝒐𝒖 𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚...

By bluelliestories

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"Se potessi rivivere un solo giorno della mia vita, sarebbe sempre lo stesso, in loop, senza interruzioni, e... More

Introduzione
❦ Trailer & Cast ❦
1. Now you're just somebody that I used to know
2. I wonder if I'll ever see you again
3. Before our innocence was lost
4. Even my phone misses your call
5. We were silenced by the night
6. We're not who we used to be
7. Somewhere only we know
8. Where are you now when I need you most?
9. Just nineteen, a sucker's dream - quattro anni prima
10. I'm Mr. Brightside
11. I'm coming out of my cage
ANNUNCIO IMPORTANTE
12. When I run out of road, you bring me home
13. She's walking on fire
14. Hey there Delilah
15. Taffy stuck and tongue tied
16. Big lights will inspire you
17. Just let me know, I'll be at the door
18. I'm gonna pay for this
❦ Playlist ❦
19. Crawling back to you
20. Your lips, my lips, apocalypse
21. Here to take my medicine
22. Another star, you fade away
23. Half of me has disappeared
24. Palm trees are candles
25. Kiss in the kitchen like it's a dance floor
26. Strawberry fields forever
27. I call my baby Pussycat
28. Well, are you mine?
29. Remember when you used to be a rascal?
30. The blood in my veins is made up of mistakes
31. Jealousy, turning saints into the sea
32. Remember me, special needs
33. It's New York baby, always jacked up
34. Times Square can't shine as bright as you
35. It'd be so sweet if things just stayed the same
36. Everyone knows she's on your mind
37. I'm better off on my own
38. We met with a goodbye kiss
39. When we made love you used to cry
40. With your hands between your thighs
41. Leave me hypnotized, love
42. Does he take care of you?
43. Lamb to the slaughter
44. The things I'm fighting to protect
45. With everything, I won't let this go
46. Don't turn away, dry your eyes
47. I will save you from all of the unclean
48. Head in the clouds but my gravity's centered
49. I see the truth in your lies
50. It was a perverted thing to say
51. I almost died in my dreams again
52. The bed was left in ruins
53. Won't stop til it's over
54. And the sex and the drugs and the complications
55. Meet me in the hallway
57. Every little lie gives me butterflies
58. Tell them the fairytale gone bad
59. You can drag me through hell
60. Your knee socks
61. Type of sex you could never put a price on
62. Should've done something but I've done it enough
63. Birds fly in different directions
64. Baby, can you see through the tears?
65. In the end, it doesn't even matter
EPILOGO - if it wasn't for you
BONUS - You can even fly up here
❦ Trailer e Ringraziamenti ❦
-DEVIANT-
❄️GIVEAWAY Natalizio❄️

56. This is your last warning, a courtesy call

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By bluelliestories


"Siamo fatti di precarietà io e lei.
Siamo due anime che volteggiano nel vuoto, senza lasciare tracce al nostro passaggio.
Siamo fatti di scelte sbagliate e legami al passato.
Ed entrambi viviamo nell'ombra, di quello che ci piacerebbe avere e di chi ci piacerebbe essere."
thevanishingwriter






Camminava lungo il Tamigi, una lunga linea scura di grafite e mercurio liquido, nera e argentata, con l'udito ovattato in cui risuonava solo l'eco del tacco dei suoi stivaletti, nella zona di Whitechapel.
'L'altra parte di Londra' la chiamavano, il famoso East End dove lui non si recava praticamente mai, se non per intrufolarsi ogni tanto in uno dei suoi negozi preferiti di dischi d'epoca da collezione che si trovava in un seminterrato a Brick Lane.

Quella zona periferica dove un centinaio di anni prima svicolava nel buio la parte peggiore di tutta Londra, la parte reietta, quella che doveva essere tenuta nascosta, era stata un fertile teatro per attività illecite di ogni genere.
Quel quartiere era ormai tranquillo e turistico e i prezzi delle case si erano rincarati anno dopo anno, vista la sua vicinanza con il centro della città, ma di notte sembrava conservare ancora un po' del lerciume e della degradazione che aveva respirato per centinaia di anni, nel periodo in cui era la vera pattumiera della capitale.

Ed è proprio nella spazzatura, in tutto ciò che viene buttato via, che si celano i migliori segreti della gente.
E anche Harry aveva un segreto, qualcosa che non era riuscito a confessarle, per cui si sentiva stranamente a suo agio, tra quei vicoli umidi. Si nascondeva nell'oscurità e si sentiva al sicuro, perché se nessuno avrebbe potuto vederlo, era quasi come non esistere affatto.

Aveva pagato per evitare che venisse mandato in rete un video dal contenuto esplicito, poteva biasimarla del fatto di non avere avuto il coraggio di dirgli subito di una gravidanza?
Sospirò amaramente, mentre portava le mani in tasca e realizzava che non poteva avercela con lei, per non avergli fatto vivere quello sfarfallìo di momento, e quella sera aveva voglia solamente di andarsene in giro per ascoltare il rumore dei propri passi e realizzare di non essere fermo.

Perché era quasi mezzanotte, eppure il tempo sembrava essersi immobilizzato a quel giorno.
Quel giorno in cui era ricominciato tutto una volta ancora, quando aveva cercato di farla capitolare con tutto il potere di persuasione che possedeva.
L'aveva trovata nel suo giardino e l'aveva portata a Dover in moto e poi avevano fatto l'amore fino a disorientarsi e a eternarsi, finché non avevano compreso che tutto ciò che possedevano era solamente l'altro. Neanche il tempo di riuscire ad afferrarsi del tutto che la sua vita era stata completamente stravolta.

Aveva cercato di evitare che venisse sconvolta anche quella di Estelle, ma non c'era stato niente da fare: quella concatenazione di circostanze li aveva risucchiati come i flutti gorgoglianti che si celavano al di sotto della superficie apparentemente placida di quell'immenso fiume notturno.
Anche i suoi occhi erano notturni, e planavano su di esso come due spicchi bui di eclissi lunari.

Il suo animo era inquieto, e altrettanto agitato Harry vagava con le mani in tasca in direzione di Eleanor Cross.
A Londra faceva molto freddo, e lo avrebbe fatto ancora per molto.
Rimase in attesa, ad osservare l'acqua scivolare all'interno degli argini del fiume. Sembrava scorrere talmente lento da essere praticamente fermo, ma era un effetto ottico: in realtà fluiva veloce, esattamente come la sua vita e come il tempo che stava sprecando lontano da lei.

Sapeva perfettamente che era una valanga di tempo buttato, e che sarebbe tornato disciolto, a ondate di rimpianto. Ma avevano entrambi delle questioni da sistemare e le circostanze gli imponevano di farlo da soli.

Ad un tratto, il telefono vibrò. Una telefonata urbana illuminò lo schermo del suo cellulare e lui lo osservò come se già sapesse chi fosse il mittente della chiamata.

«Ciao Jeff. Com'è andata?»
Tentò di mascherare la sua agitazione e di fingersi sereno e amichevole, ma il fatto che Jeff lo chiamasse a quell'ora e lo immaginasse sveglio gli fece supporre che non avrebbe avuto bisogno di sforzarsi più di tanto.
Perché il suo migliore amico sapeva bene che non riusciva più a dormire come prima.

«Tutto a posto.»
Non lo disse con un tono generico, ma più con quello deciso di qualcuno che si riferiva a qualcosa di specifico.

«Cosa ti hanno detto?»
Jeff sembrava euforico, come se non vedesse l'ora di ricevere quella domanda.
«Che lo incastriamo.» Lo annunciò con un gusto sottile, come se assaporasse quelle parole e se ne stesse sfamando.

«È praticamente certo, Harry, lo abbiamo in pugno.»
Jeffrey buttò fuori dell'aria dalla bocca, e quel rumore fece comprendere ad Harry che stava fumando una sigaretta, perché nonostante l'evidente entusiasmo doveva essere agitato anche lui.

«Spero tu abbia fatto la cosa giusta, ad andare alla polizia.»
«Ho fatto quello che andava fatto. Non possono certo passarla liscia.»
«E Jayden?»
«Ti ho già detto dove si trova. Non vuole assolutamente che si sappia.»

Harry si trovò totalmente d'accordo.
«È meglio che resti nascosto, per un po'.»

Un'altra boccata di sigaretta glielo fece sembrare molto più vicino di quanto non fosse, come se lo avesse lì accanto, a osservare il fiume che abbracciava inevitabilmente il suo corso.
«Non avevi promesso di consegnarglielo?»
«Io non scendo a patti con i criminali, e nemmeno tradisco gli amici.»

Jeffrey non rispose, ma Harry sapeva che la pensava esattamente come lui.
Fu una telefonata breve, ma divenne ardua da sostenere quando Jeff decise di spostare l'argomento su di lei.
«Estelle?»
«Mi ha detto Ivonne che sta bene.»

«E tu come stai?»
«Come uno che cerca di respirare e continua a imbarcare acqua nei polmoni.»

Jeffrey sospirò ancora, perché quella descrizione rendeva bene l'idea.
Ma ci sarebbero riusciti, lui ne era certo, aveva lavorato tanto per convincerlo, sapeva che sarebbe andato tutto bene. Glielo avevano garantito anche gli agenti, quando era andato a consegnare l'audio alla polizia di Los Angeles, e il caso era stato trasferito alla giurisdizione inglese.
Non sapeva se quello avrebbe potuto davvero sistemare le cose tra loro due, ma sicuramente gli avrebbe permesso di scrollarsi quell'ombra invisibile dalle spalle.

Eppure, una sensazione angosciosa correva nell'etere, lungo la linea invisibile che collegava le loro voci.
Una qualche tensione si percepiva nell'aria e loro non avrebbero saputo meglio definirla.
«Devo rinforzare la sicurezza.»
Annunciò Harry, come se riflettesse ad alta voce.
«Ancora?»
«Sì. Domani farò venire qualcuno.»

«Ma loro non sanno cosa abbiamo in mano.»
«No, ma è meglio non rischiare, con certi personaggi.»
Un altro scambio di battute rapido, quasi fulmineo, e poi si diedero la buonanotte.
Harry pensò che Grethel stava già probabilmente dormendo, oppure stava aspettando che Jeffrey la raggiungesse nel loro letto.

Il suo sarebbe rimasto vuoto, e per il momento non aveva nemmeno la minima voglia di riempirlo con qualche ora del suo vecchio passatempo preferito. L'idea di mettere le mani su un corpo che non fosse quello di lei lo sfiorava, e poi lo disgustava, a ricordargli di quanto fosse ormai inesorabilmente mutato il suo modo di approcciare alle relazioni.
Come si cambia, pensò.

Proprio per quel motivo, probabilmente per non incrociare il suo letto vuoto, quella notte Harry non rientrò a casa.
E probabilmente fino a qualche tempo prima sarebbe finito a farsi leccare le ferite da qualche amica fidata a cui faceva qualche rapida visita sporadica, solamente per sentirsi meno solo. Per godere di qualche momento di svago immerso in un calore corporeo qualsiasi.
E si dannò quasi nel realizzare che trovava la sola idea quasi repellente.
Allora succedeva anche a lui, pensò, quello che gli avevano detto in tanti e a cui lui non aveva mai creduto, e si sentì improvvisamente umano.

Perciò continuò a vagare come un vagabondo per ore infinite, fino a quando non aprì il suo fornaio preferito dove andò a comprare le cinnamon rolls. E poi con un caffè finto ristretto tra le dita, perché solo lui era convinto che lo fosse, ed Estelle lo prendeva continuamente in giro per quella sua falsa convinzione, parcheggiò la sua auto nel garage e rientrò infine dentro casa.

Fuori albeggiava appena, erano le cinque meno un quarto. Non sapeva nemmeno lui esattamente dire dove fosse andato per tutta la notte, sapeva solo che aveva vagabondato a vuoto, da solo, senza nemmeno aver bisogno di bere, perché era già stordito di suo e aveva camminato talmente tanto da aver cominciato a percepire il cemento come una distesa soffice di gommapiuma, in cui i suoi piedi faticosamente affondavano.

Si tolse il cappello di lana e una nube di oscurità lo avvolse, guardandosi intorno gli occhi andarono a scandagliare le parti più in ombra del suo salone come se dovesse scovarci dei movimenti anomali.
Si sentiva esposto, e un brivido gelido gli percorse la colonna vertebrale mentre appendeva il suo cappotto all'ingresso.

Era l'alba e lui non aveva la minima voglia di dormire. La tensione di un qualcosa che non avrebbe saputo definire lo teneva estremamente sveglio e decise che non ci sarebbe stato nulla di più inglese al mondo di cominciare una lunga giornata, o forse di terminare una lunghissima notte, con una lattina di birra.

Abitudini malsane e orari scoordinati, esisteva forse qualcosa di meglio per farsi venire l'ispirazione per scrivere un nuovo disco?
A parte ovviamente il sesso.
Ma a quello ci aveva messo una croce sopra, almeno fino a quando sarebbe riuscito a resistere.
Sapeva di avere una sorta di dipendenza: era il risultato di anni passati a soddisfare anche il minimo impulso.

Il silenzio ingoiava la sua casa e l'unico rumore che lo interruppe fu quello dell'anidride carbonica della birra che sfrigolava attraverso l'apertura della lattina.
Forse una leggera gradazione alcolica avrebbe fatto in modo che riuscisse a superare il jet leg, vincendo la sua insopportabile insonnia che lo costringeva a vagare in un limbo acquitrinoso e in stato semicomatoso per le strade decadenti della città.

Doveva avere un aspetto veramente disastroso, e quel sospetto venne confermato quando si mise davanti ad uno specchio, che gli restituì il riflesso di un ragazzo malconcio allo stremo delle forze.
Fu in quel momento, mentre si osservava le occhiaie, che lo percepì.

Un respiro.
Era un respiro.
Non poteva essere impazzito, non poteva essere arrivato alle allucinazioni uditive: aveva sentito un respiro e ne era totalmente convinto.

Un guizzo di puro terrore penetrò attraverso i vestiti e gli stritolò le ossa rendendole quasi plasmabili.
Non era solo, c'era qualcuno in casa.

Si voltò di scatto sondando il buio e tastando lo spazio con gli occhi sbarrati che scattavano da una parte all'altra come fossero mani.
Una sagoma buia, alta e mascolina sbucò dalla stanza che affacciava sulla sala.

«Buongiorno, Styles.»
Un paio d'occhi neri senza pupille si affacciarono nella penombra della stanza e lo raggiunsero da dietro le spalle, colto alla sprovvista.
«Ma che cazzo..??»

Trasecolò alla vista di quelle spalle imponenti, pregando che non si trattasse di un incubo in carne ed ossa. L'odore di colonia costosa che mascherava quella del tabacco di qualità era inconfondibile.
Una figura si stagliava nel gioco di chiaroscuri che la penombra creava, in bilico tra il buio notturno e la timida luce del giorno che affacciava insicura attraverso le tapparelle quasi del tutto abbassate.
Elias Reder si trovava proprio nel suo salone. Una presenza ingombrante come uno spettro troppo concreto per essere il frutto della sua immaginazione.

Si guardò intorno, perché avrebbe potuto essere in compagnia: se era entrato lui, quanti altri dei suoi scagnozzi avrebbero potuto essere nascosti in ogni stanza della casa? Oltretutto, la sua villa vantava una quantità innumerevole di camere. Eppure, per un qualche motivo, ad Harry sembrò che Reder fosse da solo, nel suo sguardo tuonava la necessità di un regolamento di conti, e qualcosa gli suggerì che volesse parlare da uomo a uomo.
O da uomo a bestia, perché era così che Harry lo classificava.

Si squadrarono da testa ai piedi come due lupi che si annusano prima di cominciare a sbranarsi.
Se si era scomodato a venire da solo, lui in persona, e ad entrare persino in casa sua per fargli quella poco gradita sorpresa, doveva essere una questione decisamente importante.
E Harry aveva già il sospetto di cosa si trattasse.

«Come diavolo sei entrato??»
«Che domande. Con le chiavi.» Scrollò le spalle l'uomo, scintillandogli sotto il naso un mazzo assolutamente familiare e restituendogli un tono prevaricatore.

Harry scosse la testa, perché comprese perfettamente da dove proveniva quel mazzo di chiavi, e poi rilanciò con un'occhiata velenosa che sapeva di vendetta.
Non era più una questione di mero orgoglio: a quel punto doveva riscattare le lacrime di Estelle, quantomeno. In realtà aveva tantissime cose per cui avrebbe dovuto punirlo, perché in quei pochi mesi da quel giorno in cui aveva incontrato per la prima volta quella faccia demoniaca, aveva perso molto più di quanto non avesse perso in una vita intera.

E ormai si era reso conto che aveva avuto ragione a pensare di non essere più al sicuro nemmeno dentro casa sua.
«Abbiamo una lunga chiacchierata da fare, io e te. Ma se farai come ti dico, ti prometto che sarà più breve di quanto pensi.» Il tono egemonico non lasciava spazio a null'altro al di fuori della prevaricazione.

Harry lo osservò da capo a piedi.
Lui aveva l'aria di un vagabondo sfatto che aveva passato la nottata a bere vino in cartone davanti la serranda chiusa di qualche drugstore di periferia.
Elias Reder era perfettamente impomatato, sbarbato a pelle, dritto come un fuso nel suo completo Armani, addirittura un tre pezzi con il gilet tono su tono.

«Ti vedo in forma, per uno che ha perso sua figlia qualche settimana fa.»
Per nulla intimidito da quella presenza spettrale, Harry imboccò dritto la strada della provocazione.
«Ti offrirei una birra, se non fosse per quel piccolo problema, beh.. della violazione di domicilio.»

Elias si sedette sulla bordo del divano, sollevandosi leggermente i pantaloni sartoriali dal taglio abbastanza aderente, cuciti su misura.
Uno sguardo da 'Tienitela, la tua birra, io bevo solo Macallan del 1940', lo schernì palesemente.
«Sei diventato improvvisamente fiscale, Styles? Non mi sembra che ti sia fatto grandi problemi, quando hai quasi spaccato la testa al mio assistente.»

Harry alzò il sopracciglio e ricambiò l'occhiata sarcastica.
«Deve essere stata una svista, mi spiace! Sicuramente lo avrò scambiato per qualcun altro. Tipo qualcuno che stava cercando di far sbronzare la mia donna.»

Elias roteò gli occhi al cielo.
«Sei veramente noioso, quando fai il ragazzino innamorato.»

A quel punto, Harry schioccò la mascella e tirò i lineamenti più di quanto già non lo fossero.
«Cosa cazzo vuoi Reder? La stai tirando troppo per le lunghe, per essere uno che non ama i preamboli.»

L'uomo si schiarì la voce, e poi si allacciò un bottone della giacca. C'erano piccole cose, nel suo linguaggio del corpo, che erano tutte mirate all'intimidazione, a far salire una sensazione ansiogena di inferiorità all'interlocutore.
«Sappiamo che siete andati alla polizia.»

Il telefono. Doveva immaginarlo, ovviamente: era quasi scontato. Li avevano ascoltati, probabilmente avevano ascoltato tutte le sue telefonate, erano mesi che doveva essere sotto controllo. Era altamente probabile che tramite le telefonate fossero riusciti persino a rintracciare Estelle a San Francisco.

«Ah ecco.» Harry portò la birra alla bocca e ne buttò giù un sorso per rinfrescarsi la gola, senza perdere tempo più di tanto a negare. Era un grande osservatore e aveva sempre imparato molto in fretta: lo aveva fatto nel campo discografico, e adesso stava imparando quale fosse il modo migliore per relazionarsi con certi tipi di squali, indubbiamente i predatori più letali. «Quindi sei venuto per farmi fuori?»

Elias sollevò il sopracciglio.
Harry sospettò che fosse colpito dalla sua audacia, anche se non lo avrebbe mai mostrato apertamente. E in effetti cominciava a sentirsi quasi ammirato da quel ragazzo, perché aveva qualcosa di diverso e più tagliente nello sguardo, rispetto a quello che aveva visto qualche tempo prima nel suo ufficio.
«Potrebbe essere.»

Harry si lasciò sfuggire una risatina di scherno. Quel nodo alla cravatta era troppo perfetto perché potesse spingersi fino a quel punto.
Reder non era il tipo che si sporcava le mani, quel genere di lavoro non sarebbe mai stato messo in atto da lui in persona. Era venuto ad intimidirlo, e lui avrebbe dovuto mostrarsi risoluto.
Gli bastava pensare a tutto quello che era accaduto a lui e ad Estelle, per trovarne la forza.

«Hai appena seppellito tua figlia, non hai niente di più importante a cui pensare?»
I suoi occhi si fecero pugnali affilati.
Harry si sarebbe giocato il tutto per tutto: stava per aprire con un all-in, la mossa di chi non aveva niente da perdere, e allo stesso tempo aveva tutto da gettare alle ortiche.
Adorava il poker e sapeva bene che l'elemento fondamentale per giocare un poker vincente era quello di costringere gli avversari a prendere decisioni complesse, per metterli in difficoltà.
Per questo motivo puntare era sempre meglio che limitarsi a vedere.
«O forse dovrei dire.. che l'hai ammazzata?»

Reder si alzò in piedi e avanzò verso di lui a passo lento ma deciso. Era poco più alto di Harry, ma la sua presenza era talmente imponente da colmare tutta la stanza.
Gli occhi erano ciechi, ma allo stesso tempo ardevano delle fiamme infernali come se potessero agguantarti e stritolarti senza bisogno di sfiorarti nemmeno. Era un personaggio micidiale, eppure in quelle sclere iniettate di plasma luciferino per la prima volta Harry notò che aveva incassato un colpo.
«Tu non sai quello che dici.»

Un sorrisetto sghembo si affacciò su un volto prostrato, ma rinvigorito dall'espressione audace.
Stava rischiando probabilmente la vita ad ammettere di sapere la verità, ma non se ne preoccupò più di tanto.
«Lo so benissimo, invece. Meglio di quanto pensi.»

A quel punto, Reder vacillò. Gli aveva fatto perdere le staffe, che era ciò che voleva ottenere, e se ne accorse quando lo afferrò per il collo della maglia e lo stritolò tra le nocche dalle venature bluastre.
«Mi stai nascondendo dove si trova quello stronzo di Jayden Adams, dopo che avevamo un accordo. E siete pure andati alla polizia. Dimmi Styles, cosa devo fare con te?»

Era un gioco di aggressione calcolata: se le carte che Harry aveva in mano erano sufficientemente buone per chiamare una puntata, allora erano abbastanza buone anche per rilanciarla.
E adesso sarebbe stato lui, e doverlo ricattare.
Nonostante Elias si fosse intrufolato dentro casa sua, ed era probabile che fosse anche armato.
«Devi darmi quel cazzo di video, tanto per cominciare, e assicurarmi che tu l'abbia distrutto.»

Reder lo scrollò, spingendolo e facendolo arretrare.
«Vedi, il punto é che te lo darei volentieri. Chi non vorrebbe un video ricordo della propria fidanzata mentre fa sesso.. oppure dovrei dire ex

Harry scosse la testa incrociando le braccia sotto il petto, perché stava cercando di stuzzicarlo con provocazioni davvero becere, e lui non ci sarebbe cascato. «Per essere il capo di una holding come la tua sei un po' troppo interessato al gossip.»

Una risata si levò diabolica, facendo eco fino a sopra le scale. Sembrava che lo avesse trovato realmente divertente, se non fosse che in quella situazione non c'era assolutamente nulla da ridere.
«Comunque Styles, sono sincero. Non sono più in possesso di quel video. Pur volendo, non potrei dartelo.»

Quella era un'informazione inaspettata che prese Harry in contropiede, perché non seppe se prenderla come una buona o una cattiva notizia, e soprattutto non seppe se crederci.
Non poteva fidarsi di nessuna parola che usciva dalla bocca di qualcuno che apparteneva a quella famiglia.
«Cosa cazzo vuol dire?»

Reder incrociò le braccia al petto, e continuò a guardarlo dritto negli occhi, studiando accuratamente le sue reazioni come un pitone che aspettava il momento giusto per stritolare la sua preda.
«Che adesso quel video è in mano ad un'altra persona, che non sono io.»

Harry avanzò ad ampie falcate e gli si mise di fronte, guardandolo a pochi centimetri dal viso. Per assurdo, da lontano sembrava più alto di quando non fosse da vicino.
«Chi? Chi ha quel maledetto video?»

«Mi dispiace Styles, non penso di potertelo dire. Sei un piccolo vigliacco che fugge dalla polizia ogni volta è in possesso di qualche informazione.»

Cominciò a sbraitare, vistosamente spazientito.
«È Channing, vero? È lui? Ha finto di non saperne nulla, quel pezzente. Il vigliacco qui è solamente tuo figlio.»

L'uomo continuava a sembrare molto divertito, da quella situazione, soprattutto quando vedeva il panico di Harry che si metteva a trottare a briglia sciolta.
«Il problema è che, purtroppo per te.. non lo saprai mai.»

Harry stava per scombussolare le carte in tavola e sapeva perfettamente ciò che aveva in testa: avrebbe azzardato un raise. Era una mossa che complicava e risolveva allo stesso tempo.
«È per questo che odi così tanto tuo figlio? Perché è un vigliacco? Lo vedi troppo diverso da te, troppo poco alla tua altezza?»

Posò la mattina di birra su un tavolino d'appoggio e si avvicinò ancora, sibillino.
Rilanciare equivaleva ad affermare sostanzialmente che il proprio punto era più forte di quello dell'avversario, e il fatto che fosse vero o meno poco importava, a quel punto della partita.
«Mi è bastato spingerlo contro un muro, per vederlo piegarsi e soccombermi.»

Ed infatti qualcosa cambiò, nella composta immobilità della figura di quell'uomo, il cui massimo dell'empatia si esplicitava in qualche risata di derisione.
Il desiderio di colpire quel ragazzo e di punirgli i lineamenti impertinenti fu più forte di qualsiasi tentativo di mantenere un distacco.

Reder abbandonò completamente il suo aplomb e le sue finte buone maniere per gettarglisi addosso con tutto il peso del corpo. Gli fece perdere l'equilibrio e lo costrinse a dover indietreggiare fin quando Harry non rimase con il corpo schiacciato tra la spalliera del divano e quello muscoloso e prestante di quell'uomo, che improvvisamente mostrava tutta la sua follia criminale.
«Styles, vedi di stare zitto o dovrò azzittirti io con le mie mani.»

In generale, l'aggressività del rilancio e della provocazione vinceva sempre rispetto alla passività del fare call o del fare check. Le strategie cambiavano a seconda dell'avversario, ma Harry era un giocatore tight aggressive, da poche mani ma solide e concentrate, e il rischio era che aggredire in quel modo poteva diventare un boomerang e colpirlo più forte di quanto stesse facendo lui.
Ma alla fine dei conti, in quella partita vinceva chi faceva meno errori. O chi aveva meno da perdere.
«Che succede, Reder, per caso hai paura? Sei qui per questo?»

Non poteva dire di non essere segretamente terrorizzato da quello sguardo di puro omicidio. Si immaginò che fosse esattamente quello, l'occhio di chi ha deciso di farti fuori, pochi istanti prima di prendere la decisione di ucciderti sul serio. La smorfia di chi vuole eliminarti dalla faccia della terra perché per lui non meriti di vivere.

Era strano, perché riusciva a scorgerlo solamente negli occhi: il volto rimaneva impassibile senza la minima traccia di espressione, e sembrava che non facesse la benché minima fatica, a stringere le mani attorno al suo collo.
Aveva una forza spropositata rispetto alla compostezza che mostrava esternamente.
Vide la morte che gli sussurrava lentamente nell'orecchio.
E quindi pensò ancora una volta a lei.

«Non ti è bastato quello che hai fatto a tua figlia? Vuoi fare fuori anche me?»

Reder sibilò diabolico mentre l'ipotesi di rendere concreta quell'idea suggerita da Harry cominciava ad affascinarlo in maniera particolare.
«Vedi Styles, la vita é come una partita a scacchi, il tuo peggior avversario è il tempo e la vittoria dipende dalle mosse che decidi di fare. La mia mossa era corretta, è stato il tempismo ad essere sbagliato.»

Gli scacchi.
Elias era uno stratega, uno abituato ad attaccare: aveva sempre giocato d'anticipo e Harry non aveva potuto far altro che essere costretto a rilanciare.

Stavano giocando a due partite differenti.
«Ti sei messo a parlare per metafore? Perché non dici ad alta voce che hai ammazzato tua figlia con del veleno per topi? Ha un suono più potente la verità, non credi?»

«Sta' zitto!»
Gli fece sbattere la testa contro la spalliera del divano, che fortunatamente per lui era imbottita.
Aveva quelle mani possenti attorno al collo, eppure Harry non si azzittì affatto.
Reder stringeva come se fosse semplicemente nato per farlo, con la naturalezza di chi navigava nell'esperienza.

Ma il trucco per vincere a poker alla texana era spingere l'avversario a scommettere tutto quello che aveva davanti, e Harry lo sapeva bene. Perché lui era un vincente.
«Hai finito per sacrificarla, pur di far fuori Jayden. Hai fallito entrambi gli obiettivi. Non devi essere un grande giocatore.»

Un'altra stretta: e questa volta fece male sulla trachea, tesa in uno sforzo disumano.
«Il piano era far fuori solo quella testa di cazzo del tuo amico che le girava attorno.»

Harry agguantò il suo polso con entrambe le mani, per cercare di fare resistenza.
«Così hai pensato bene di tagliare la cocaina con la stricnina e farla arrivare a lui?»

Gli occhi di Reder divennero realmente insanguinati.
«Quel bastardo le ha rovinato la vita! Mia figlia era troppo debole per stargli lontano.»

Avrebbe potuto sferrargli una ginocchiata sul cavallo e togliergli il respiro. Ma per qualche assurdo motivo, Harry preferì continuare a fargli pensare di essere stato fisicamente domato.
«E non ti è saltato in mente, che avresti messo in pericolo anche lei?»

«Charlene è sempre stata incosciente. Doveva restare dove io le avevo detto di restare. A quest'ora non le sarebbe successo nulla. Ha continuato a drogarsi come una stupida, con quel figlio di puttana del tuo amico!»

Harry lo guardò con un sorrisetto schifato.
Era un assassino. E quelle mani che gli si stringevano attorno al collo erano macchiate del sangue di Charlie.

Gioca sull'avversario, Harry.
Non sulle sue carte, ma sui suoi punti deboli.
Sul suo orgoglio, sulla sua superbia, sulla sua vanagloria.
«Per quale motivo, Reder? Per cosa? Tutto questo?»

Allentò leggermente la presa, perché Harry in fondo gli serviva vivo.
«Se mi troverai Adams, il sacrificio di Charlie non sarà stato vano.»

«Hai ucciso tua figlia per salvarla da lui, di quale sacrificio stai parlando??»
Erano i discorsi di un folle, un squilibrato paranoico che era pronto a tutto pur di portare avanti i suoi piani di scelleratezza.

«È stato un incidente. Quella droga non era destinata a lei.» Digrignò i denti, mostrandogli il brilluccichio nel buio, e Harry si chiese se si stesse in qualche modo giustificando. Non a lui, ovviamente, ma più che altro a se stesso e alla propria coscienza, da perfetto narcisista egocentrico con evidenti manie di onnipotenza, a cui non interessava affatto il giudizio altrui, probabilmente nemmeno quello divino.

Harry cominciava ad arrancare, a mancargli seriamente l'ossigeno. Il suo corpo cominciava a fare fatica di fronte a quella morsa letale, e la sua vista si offuscò come se in casa fosse calata la nebbia.
Eppure realizzò che lo aveva appena definito un incidente, quando era un vero e proprio omicidio.
«Sei completamente pazzo.»

La sua stanchezza si fece vivida quando la voce gli giunse lontana, quasi un sibilo ovattato dai timpani sottoposti a dura prova.
«Per conservare il potere bisogna sacrificare tante cose, Styles, prima o poi te ne renderai conto.»

Si chiese come facesse un personaggio così ripugnante ad essere anche talmente lucido da portare avanti un impero come il suo.
Era un folle che non conosceva alcun senso di colpa, e forse era stata proprio questa, la sua forza.
Ma era anche completamente fottuto.

«Per conservare il potere...» Harry lo guardò, e un lieve sorriso luccicante per la prima volta gli fece paura. Lo strinse ancora più forte.
«Oppure per perderlo per sempre.»

L'uomo aggrottò le sue folte sopracciglia, e le sue mani si ammorbidirono leggermente, solo per permettergli di far passare quel filo di respiro nei polmoni che gli consentisse di parlare ancora.
«Di cosa cazzo stai parlando, ragazzino?»

Era arrivato il momento dello showdown. Doveva mostrare le sue carte, oppure sarebbe probabilmente morto soffocato.
«Non dovresti fidarti di tutto quello che ascolti. Non ho la più pallida idea di dove si trovi Jayden, in realtà.»
Reder digrignò i denti e lo sguardo del demonio si mostrò nelle sue iridi in fiamme.

Un altro trucco era dire la verità, perché gli altri avversari avrebbero pensato che si stava bluffando, ed é così che spesso era riuscito a vincere: con la pura verità schiaffata in faccia.
Poker contro scacchi: la psicologia del bluff contro la strategia della guerra.

E proprio a proposito di quest'ultimi, Harry decise di sferrare il suo ultimo, definitivo colpo di baionetta.
«E un'altra cosa: nel gioco degli scacchi, il peggiore nemico non è il tempo, ma l'avversario stesso. E non dovresti mai sottovalutarlo.»

Elias Reder arrancò con un grugnito concitato e stritolò la camicia di Harry, mentre notò che il verde dei suoi occhi scintillava nel buio: stava ridendo, e l'uomo affilò l'espressione indignata pensando che quel ragazzo fosse completamente impazzito. Un sospetto terrificante si fece largo nel suo costato.

«Cosa cazzo stai blaterando?»

Harry arricciò le labbra stretto tra i pugni di Reder, e un lampo maligno gli avvampò i lineamenti accesi di soddisfazione. Non avrebbe distolto lo sguardo, lo sosteneva con fierezza e un ghigno leggermente fiero e derisorio si affacciò sulle sue labbra.
Lo disse piano, quasi sussurrando.
«Scacco al Re

A quelle parole, l'espressione gli si congelò in un reticolo di rughe rattrappite.
L'avvertimento. La minaccia. L'ultima mossa.
Harry non parlava tanto per dire, glielo stava leggendo negli occhi.
Sollevò lo sguardo e mentre sentiva come unico suono sinistro quello delle tapparelle che scricchiolavano, come un leone braccato cercò quale via di fuga fosse la più rapida.

L'istante dopo, fu tutto confuso.
Un botto che parve quasi un'esplosione sfondò quel silenzio e un vociare chiassoso sovrastò quell'atmosfera rarefatta e lo immobilizzò sul posto.
Era il portone d'ingresso di casa di Harry che si spalancava. Delle figure scure in controluce comparvero sul ciglio della porta e avanzarono rapidamente all'interno della sala.
Lo spazio precedentemente vuoto si colmò in una manciata di istanti di persone, i fari sul soffitto di Harry si accesero e saturarono lo spazio di fasci di luci artificiali, al punto che ne vennero entrambi accecati per qualche istante.

Harry rimase immobile sotto il suo corpo, ma quel lampo di soddisfatta vendetta fu la conferma di ciò che stava accadendo.

Era una trappola. Un tranello. E lui ci era caduto con tutte le scarpe.
Lo avevano spinto dentro casa di Harry per farlo confessare, e lui si era appena reso conto di averlo fatto.
Stupidamente, mosso a provocazione e ingannato da chi aveva bluffato per tutto quel tempo come un pokerista senza limiti di puntata.

Un uomo con un cappotto scuro si presentò alle sue spalle, circondato da tre agenti del Metropolitan Police Service .
«Mister Elias Reder, lei è in arresto. Ha diritto di rimanere in silenzio. Non penso che abbia bisogno di un avvocato d'ufficio, per cui le consiglio di contattare il suo al più presto.»

Il detective a cui era stato passato il caso era completamente diverso rispetto ai colleghi che aveva conosciuto Harry della polizia di Los Angeles, ma probabilmente il suo aspetto algido del nord era ancora più intimidatorio.

Elias Reder seguì il consiglio del detective, e uno sguardo d'odio che rabbrividiva un ambiente che andava in fumo trafilò lo spazio che ormai lo divideva dal corpo di Harry.
Non proferì alcuna parola, ma i suoi occhi divennero bituminosi di brace, e lo sguardo fu il più cupo e infernale che Harry avesse mai visto su un essere umano.
Evidentemente non gli era bastato ridurre in cenere il suo stesso sangue. Quando si innesca in certi personaggi la sete di vendetta, non ne escono fin quando non vengono fermati da qualcuno. Harry sperò vivamente che non sarebbe mai successo a lui, perché quella fame ti scava dentro come un fiume di detriti tossici, consumandoti fino all'ultima briciola di umanità.

Ma l'ultima soddisfazione volle prendersela sollevandosi in piedi e stagliandosi davanti la figura di Reder che restava dritto con le spalle fiere mentre un poliziotto dietro di lui gli faceva indossare le manette.
Harry scostò leggermente lo scollo della camicia e gli mostrò un piccolo chip color acciaio che scintillava appena al di sotto di una delle sue rondini, appiccicato al petto nudo con un nastro adesivo bianco.
Era una cimice.

Nel garage sotterraneo di Harry, mentre la casa appariva deserta come quando l'aveva lasciata la notte precedente, degli agenti avevano ascoltato e registrato tutta la loro conversazione. E avevano ottenuto una confessione indiretta.

In fondo Reder non era così disumano come aveva pensato, tutto stava nello scoprire quale sentimento avrebbe potuto far cadere l'avversario: nel caso del padre di Charlie, era stata decisamente la rabbia.
«Bella partita, Elias. Ma per giocare come si deve avresti dovuto lasciare le emozioni fuori dalla porta.»

Elias Reder divenne una maschera di cera. Indubbiamente sapeva perdere con dignità, anche se i suoi occhi raccontavano di una furia indemoniata che gli stava centrifugando le viscere.

Lo portarono via in manette mentre lui bisbigliava tra i denti che non ce ne fosse bisogno, ma lo avevano colto in flagranza di reato, con l'aggiunta dell'aggressione e della violazione di domicilio, e l'arresto in manette era ciò che richiedeva la procedura in quei casi.

«Sei stato coraggioso, Styles.»
Una pacca sulla spalla gli spezzò il respiro, e Harry quasi non perse l'equilibrio, preso completamente alla sprovvista.
Il detective Kingsley con cui avevano studiato quell'imboscata accennò una sorta di sorriso solo con gli occhi, perché per il resto era totalmente inespressivo, mentre gli restituiva il mazzo di chiavi sottratto a Reder che apparteneva ad Estelle.
E la mente in fermento adrenalinico si spostò immediatamente sul fermo immagine di lei, nuda, i capelli raccolti, raggomitolata sotto la doccia e la pelle imperlata di una rapida discesa d'acqua scrosciante.

Era stata proprio lei a chiamarlo per metterlo all'erta, il giorno dopo la sua partenza da San Francisco, e lui aveva compreso che dovesse essere qualcosa di urgente, dal suo tono concitato.
Gli aveva detto che la sera in cui aveva incontrato Crumb al Raven aveva in borsa il suo mazzo di chiavi magnetiche, e che temeva gliele avessero sottratte perché non le trovava più.
Le chiavi di casa di Harry: quelle di Londra, Los Angeles e New York.

Il panico di Estelle lo aveva messo in allarme su quali fossero le loro intenzioni. Ad Harry era stato chiaro fin da subito: volevano introdursi dentro casa sua per sottrargli qualcosa o per intimorirlo, ed era quello il momento che lui avrebbe sfruttato per farli capitolare una volta per tutte.
«Harry, per favore, stai attento.»
Gli aveva detto lei prima di riagganciare, senza fare ulteriori domande.

E lui avrebbe dovuto rinforzare la sicurezza e cambiare tutte le serrature, e invece aveva giocato d'astuzia monitorato dalla polizia e aveva teso una trappola a Reder, con la telefonata a Jeffrey che loro avrebbero chiaramente ascoltato.
L'idea di dire che avrebbe dovuto rafforzare la sicurezza era stata di Jeffrey, secondo il quale questo fatto li avrebbe spinti a recarsi immediatamente sul posto senza attendere oltre.
Aveva continuato a vagare tutta la notte senza addormentarsi proprio per non farsi trovare impreparato, troppo assonato e poco reattivo.

L'audio sottratto illegalmente non era una prova sufficiente per collegare l'omicidio di Charlie a suo padre, e loro avevano dovuto prestarsi al gioco per tendergli un'imboscata organizzata nei singoli dettagli.
Era pericoloso, Reder sarebbe stato probabilmente armato, ma era l'unico modo. In più per qualche illogico motivo, Harry aveva realizzato mentre Reder era entrato illegalmente dentro casa sua passando per l'ingresso principale, che lo rispettasse troppo per ucciderlo in quel modo, a sangue freddo, dentro casa sua.
Probabilmente era stato un azzardo, un gioco d'azzardo.

Riconsegnò la cimice all'agente Kingsley e realizzò che ce l'aveva realmente fatta: era riuscito a farlo crollare.
A quel punto, ad Harry restava solo un'ultima cosa da fare: trovare quel maledetto video.

*


L'occhio girovagava sul profilo della città come se avesse voluto afferrare l'orizzonte e carpirne i segreti, e annebbiarsi l'iride con i suoi colori fumosi. Era stanca, eppure aveva ancora la forza di fremere d'aspettativa.

Percepì quattro passi alle sue spalle, mentre era seduta su una panchina in marmo: rumore di foglie secche, qualche ramoscello spezzato sotto un paio di suole che conosceva bene.
Un incantesimo, riconoscere ovunque quei passi, quelle mani, quelle labbra: non avrebbe saputo definirlo in modo migliore.
Il passo si arrestò a poco più di un metro dalla sua schiena.

La forza gravitazionale che modificava la sua costante e mutava il suo centro di massa, come altro avrebbe potuto descrivere quella sensazione di sentirsi perennemente attratta dal suo infinito mistero?

Harry le sussurrò da dietro la nuca, tra i capelli leggermente sollevati dal vento, una carezza analgesica a mitigare il suo respiro bollente.
«Ho una cosa che deve essere tua. Penso che te l'abbiano rubata.»

Il tintinnare di un mazzo di chiavi magnetiche le si agitò dietro i capelli, e lei si voltò.
Harry era stretto nella sua giacca e indossava il beanie sotto il cappuccio di una felpa verde prato.
Lei, come al solito, era uscita senza coprirsi abbastanza, e appariva semplicemente abbattuta.
Non aveva più voglia nemmeno di provare rabbia, eppure uno sguardo di stizza le sfuggì furtivo.

«Come hai fatto a recuperarle?»
«Forse è meglio che tu non lo sappia.»

Estelle sbuffò, a quella frase, perché per l'ennesima volta la stava tenendo all'oscuro, e sperò che non si stesse cacciando in guai troppo seri, ma un velo amaro le si dispiegò davanti agli occhi.
«Sono le chiavi di casa tua. Non c'era bisogno di restituirmele.»

Le si sgabbiò un tono vagamente piccato, ma in realtà comprendeva che non aveva il diritto nemmeno di prendersela più di tanto con lui. C'erano in gioco talmente tante sensazioni contrastanti che non poteva biasimarlo, se aveva deciso di allontanarsi. Se aveva scelto di non essere in grado di sostenerla.
Eppure quella sensazione di abbandono conviveva nel suo costato assieme ai suoi battiti.

Faceva quel tipo di pensieri, e poi l'attimo dopo si ritrovava avviluppata in ragionamenti che erano totalmente opposti con l'idea di partenza.
Un vortice di rancore che cercava disperatamente di tenere sopito divenne materia solida all'interno del petto, e le ammazzò la respirazione.

Se n'era andato senza nemmeno salutarla, e aveva fatto non poca fatica a chiamarlo il giorno successivo, solo per avvertirlo che quella sera che aveva passato al Raven qualcuno le aveva rubato il mazzo di chiavi delle sue case, che lei si era stupidamente portata dietro da Los Angeles.
E aveva cominciato a comprendere che Harry avesse più che qualche ragione, su Joseph Crumb, sui Reder e su tutta quella strana famiglia, anche se non poteva immaginare in che modo.

«Potresti averne ancora bisogno.»
Parlava lentamente, Harry, la voce era arricchita dal sonno o dalla totale mancanza di esso. Era bassa, calda, graffiata, semplicemente le si attecchì addosso per destrutturarne l'identità, e ne intaccava le poche certezze. Come ad esempio il fatto che ce l'avesse a morte con lui, per essere andato via di nascosto.

Per poi, poco tempo dopo, mandarle un messaggio per chiederle di vedersi su quella panchina a qualche centinaio di metri da casa sua: e lei ovviamente aveva risposto a se stessa che non si sarebbe mai presentata, nemmeno in un'altra vita, che lo avrebbe fatto aspettare invano.
E infatti eccola lì, completamente in disaccordo con le sue stesse azioni.

Aveva preso una pasticca di tranquillante quella notte, per smaltire anche lei un'insonnia che non riusciva proprio a vincere completamente, e il risultato era che se n'era andata in giro per quel piccolo angolo di Regent's Park come se fosse dentro un sogno ad occhi aperti. Ma Harry le era sempre apparso così, anche quando era perfettamente lucida.

Ma quella sensazione di trovarsi in uno spazio onirico, una dimensione tutta sua a cavallo tra sogno e realtà le diede modo di parlare più liberamente, mentre un sorrisetto sarcastico faceva capolino in direzione dell'orizzonte.
«Ti ho insegnato a scappare? Sono stata io?»

Mai come quella mattina Harry le appariva come un guerriero di false battaglie, mai come quella volta comprese a pieno la sensazione di osservare qualcuno mentre decide coscientemente di sfuggirti dalle mani e di separare la sua strada dalla tua.

«Non sto scappando. Ti sto lasciando solo il tuo tempo.»
Peccato che lei non glielo avesse mai chiesto.

Era sempre stato bello come un sogno, con le prime luci della mattina, ma quel giorno uno strano bagliore illuminava il suo volto. Forse era la bellezza delle cose che non possediamo più, a influenzarla e a dipingerlo di magnificenza, quella strana frustrazione che fiorisce quando ammiri qualcosa che non é tuo.

E quando aveva quello sguardo cerchiato, quell'aria assonnata sotto i capelli scapigliati e nascosti dal cappuccio, sentiva il suo stesso cuore schernirla e sgroppare senza pietà tra una costola e l'altra, scalpitando sul profilo marcato delle sue labbra purpuree sul limitare delle quali fioriva il suo piccolo neo derisore.

«Adesso che farai?»
Gli chiese per distrarsi, e lui sorrise di un sorriso salato. Desiderò stringerlo a sé ma le apparve così immenso, come se avesse dovuto abbracciare il mare.

«L'unica cosa che so fare. Torno a incidere canzoni.»
Senza di te.
Senza di voi.

La guardò piccola in una giacca troppo ampia, teneva le mani nelle tasche di un bomber verde militare dal quale sbucavano due gambe spaziali avvolte in un paio di calze nere. Qualunque cosa portasse al di sopra di esse non era visibile perché come sempre era troppo corto, ma le Converse color crema scavavano nel terreno ai suoi piedi in un gesto di nervosismo che trovava estremamente tenero.
Bella come una mattinata di maggio dopo un anno d'inverno.

C'era solo un'altra cosa ancora, un altro discorso che avrebbe dovuto seriamente affrontare, e riguardava la sua amica.
Lo disse rapido in un sospiro lieve, sperando che con quella consapevolezza scolpita nel suo cuore, lei avrebbe potuto cominciare a rimettere insieme i pezzi e a ricostruirsi.
«Charlie è morta per mano di suo padre, che ha cercato di avvelenare Jayden e invece ha colpito lei.»

Lei annuì con la testa, perché ormai la notizia era di dominio pubblico e lei era ancora sconvolta all'idea di quello che era realmente accaduto alla sua amica.
«Ho sentito al telegiornale che lo hanno arrestato e che ci sarà il processo. Quello che mi chiedo, è come diamine facessi tu a saperlo.»

Lui scosse la testa, perché non aveva alcuna intenzione di dirle nulla fino a quando non fosse riuscito a sbrogliare tutto l'impiccio. Qualcuno era ancora in possesso di quel famoso video che aveva Estelle come protagonista e da quel qualcuno sarebbe potuta arrivare una nuova minaccia, ed un probabile nuovo ricatto.
Doveva tenersi pronto, nel terrore che prima o poi avrebbero potuto decidere di rilasciarlo senza nemmeno interpellarlo.

Estelle parlò interrompendo il flusso dei suoi timori.
«Channing mi aveva fatto capire di quanto fosse sadico suo padre, ma non me ne aveva mai parlato apertamente. Era come se entrambi i figli lo temessero.»

Harry irrigidì i muscoli della schiena, a quel punto.
«Sì, ma ricordati che la mela non cade mai troppo lontano dall'albero.»

Le piaceva perdere del tempo insieme a lui, stare immobili l'uno accanto all'altra senza fare assolutamente nulla, e si ritrovò quasi a ringraziare l'assistente di Channing per averle sottratto il suo mazzo di chiavi, per quel poco di tempo in più che le aveva concesso assieme a lui, e preferì non chiedersi a cosa gli servissero.
Harry profumava di cose buone, di baci sospirati e bisbigli di stelle sotto le coperte, di lucciole di zucchero che le deliziavano l'olfatto quando entrava nel suo stesso abitacolo.

E lo sprezzo che aveva negli occhi si ammansiva come un infimo traditore semplicemente per una questione chimica che non poteva combattere.
Il tempo che passava con Harry non era mai tempo perduto, e per quanto potesse avercela con lui le sue labbra fremevano ogni volta come in attesa del loro primissimo bacio, come se quella bocca fosse stata vergine e non ne avesse mai ricevuto alcuno. E forse avrebbe potuto appoggiare la testa sulla sua spalla e addormentarsi per poi dare la colpa al narcotico ancora in circolo, ma probabilmente quella volta si sarebbe svegliata e non l'avrebbe trovato più al suo fianco, e avrebbe fatto male ancora una volta.

E bruciava di folle umiliazione all'idea che se si fosse spinto in avanti e l'avesse baciata, lei avrebbe ricambiato quel bacio pur con tutto il rancore che nutriva nei suoi confronti, come nel passato, come nel presente, come sarebbe accaduto sempre. E il sole che sorgeva di fronte ai loro occhi li spregiava invidioso con la sua eternità solitaria.

Harry approfittò di quell'attimo di distrazione per macinare ogni centimetro che lo separava da lei con estrema naturalezza. Virò verso il collo, e le spostò i capelli dietro le spalle, e lei percepì una scarica tempestata di brividi, distinguendoli uno ad uno. Avrebbe potuto avvicinarsi in qualunque modo e in qualunque momento, ogni singolo passo che avrebbe fatto verso di lei sarebbe stato un passo in più verso il suo peccato originale.

Lei socchiuse gli occhi e percepì le labbra scivolarle qualche promessa infranta sul collo di un pallore diafano. Risalì verso l'orecchio sfiorandola appena e istantaneamente la fece bruciare tra le fiamme della concupiscenza.

Quelle stesse fiamme che l'avevano intaccata mentre lui si raccontava che sarebbe stato solo sesso, che sarebbe bastata una notte soltanto a sfogare i suoi impulsi bestiali sul suo corpo maliardo e fatale, le avrebbe inflitto scudisciate di piacere e se ne sarebbe saziato, per poi non rivederla mai più. E lei sarebbe stata sottomessa, docile, cedevole e implorante, le avrebbe fatto del male e alla fine lei se ne sarebbe fatta una ragione, come se la facevano tutte.
Non aveva azzeccato nemmeno una previsione.

Chi li avesse visti dall'esterno, avrebbe pensato a una coppietta felice. E invece erano due folli disperati che non riuscivano a trovare la quadratura di un cerchio che li riportava sempre al punto di partenza.
Su quella panchina.

«Dovrei proprio andarmene..»
Solo che non voglio, Estelle.
Voglio sentirti in ogni angolo di pelle.

La mano di Harry le afferrò il polso, e strinse forte come se ci volesse affondare i polpastrelli, perché era quello che lui faceva sempre, stringerle i polsi mentre si spingeva dentro di lei.
Si rese conto di essere in quel momento il ritratto di quando le decisioni prese con la ragione vanno a farsi benedire e ti trasformi in puro fuoco d'istinto.

Dimmi di restare.
Portami dentro casa come hai fatto quella volta.

Lei inizialmente non parlò, soggiogata da quei puntelli disperati di brividi e miseria che solo lui avrebbe potuto disseminare. Lo voleva ancora disperatamente, anche mentre cercava di bendarsi le ferite, voleva indossare la sua pelle senza alcuna barriera e curarsi coi suoi graffi depravati e balsamici.
Solo lui riusciva a prendersi il permesso sfacciato di vezzeggiarle il collo e di farle tremare le gambe poco dopo essersene andato. E poco prima di andarsene via di nuovo.

«Mi manchi, Harry.»
Mi manchi anche ora che sei qui.

Lui sdrucciolò un polpastrello sotto il suo mento e le carezzò le labbra schiuse e frementi.
Era talmente rasente a sé che poteva respirare il profumo invadente dei suoi capelli, la ricerca spasmodica del suo odore mascolino non seguiva altre vie al di fuori di quella dell'ossessione, perché le infondeva il suo soffio vitale.

Si erano trovati talmente vicini da confondersi, quando si era voltata verso di lui con le palpebre socchiuse, le ciglia una corolla di rugiada e le labbra due petali in fiamme, e sarebbe annaspato sulla sua lingua di seta fino a morirci dentro fregandosene di annegare.
L'adrenalina che ancora smaltiva per l'incontro con il padre di Charlie gli pompava sotto l'inguine sotto forma di eccitazione assassina, perché Estelle aveva sempre rappresentato per lui il dualismo tra candida purezza e perversione estrema.

E poi incrociò lo sguardo velato di languida tristezza, e realizzò ancora che il lutto era troppo fresco, troppo presente in entrambi, e il ricordo troppo vivido, che non avrebbe mai potuto far finta di nulla.
E lo schiaffeggiò la realizzazione che quando lo guardava, ancora vedeva il sangue del loro sangue abbandonarla mestamente in una notte crudele e assassina.

Harry la guardò ancora una volta con gli occhi sognanti di chi ascolta a ripetizione la sua traccia preferita, ancora e ancora, e infine si alzò per andarsene.
Perché le canzoni prima o poi finiscono e per quanto tu possa ripeterle in loop, per quanto tu voglia disperatamente coglierne l'essenza, per quanto possano rimanerti incise dentro perché ti fanno sognare forte, hai bisogno a volte di ascoltare la voce del tuo raziocinio. Di tornare nella realtà.

E aveva ancora una cosa che avrebbe dovuto affrontare, e poi chissà, se davvero avrebbe potuto mettere un punto a quella storia e iniziarne ancora una volta una nuova.
Perché se nella vita non esiste un finale, la parte incantevole è che si può sempre ricominciare.

«Devo andare a registrare.»
Le disse con naturalezza, come se fossero ancora nella loro casa e si fossero svegliati nello stesso letto.
Come se si sarebbero rivisti qualche ora dopo, anche se sapevano che così non sarebbe stato.

La guardò ancora nella sua perfezione di rosa bianca chiedendosi chi diamine fosse in possesso di qualcosa che avrebbe potuto ferirla e farla appassire per sempre. Di nuovo, ancora una volta.
Avrebbe dovuto trovare la lama che minacciava di recidere il suo stelo.

Ovviamente, in quel momento desiderava solamente poterla riavere tra le braccia, lei, quella ragazza che aveva conosciuto senza il sangue negli occhi, ma non poteva immaginare quale minaccia avesse appena innescato e quale notte stava per sorgere sui loro lividi ammaccati.









⭐️
Vi prego di non scordare la stellina quantomeno perché faccio di tutto per garantire l'aggiornamento costante nonostante i miei continui mbd e una vita che vi assicuro è un vero casino. Probabilmente gli ultimi capitoli sono stati tosti da leggere, ma ricordatevi che per me è ancora più tosto scriverli.

Un ringraziamento speciale per questo capitolo va al mio ignaro ragazzo a cui ho chiesto delucidazioni su una mossa di poker e lui gasatissimo mi ha istruito talmente bene che sono pronta per i tavoli di Las Vegas. Ovviamente non saprà mai a cosa mi servissero quelle informazioni LOL.

Comunque, che sia finalmente arrivato il momento di scoprire la verità sul famoso video? E questa verità avrà delle ripercussioni? Fossi in voi mi tremerebbero le mutande, just saying ♥️ (in realtà tremano più a me perché mi verrete a cercare coi forconi senza dubbio)

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