10.Quando Dio Distribuiva La Fortuna Io Ero In Pizzeria A Mangiare

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Katherine's pov

Freddo.

Scatto in piedi dal letto in maniera fulminea.

Dai capelli colano delle goccioline. Passo una mano fra di essi alla ricerca di una spiegazione plausibile, perché la mia mente, per quanto contorta, ha iniziato anche ad elaborare la teoria secondo la quale potrei essere diventata una sonnambula che ama tuffarsi nell'oceano.

Un solo sguardo di ricognizione basta per capire di non aver fatto ritorno nella camera condivisa con Alexander Khan, anche se il perché non è per nulla chiaro. Ora come ora la mente è troppo confusa.

In piedi a pochi centimetri dal letto della mia vecchia camera del convento, i ricordi di ieri sera si fanno più nitidi nella mente. La gara, la rissa, la chiacchierata con Alison e la sua sbornia tremenda... Tutto assume un contorno più nitido.

-Si arrabbierà per il gavettone d'acqua?- chiede una vocina flebile mai udita prima in vita mia.

Lancio uno sguardo al mio corpo scoprendo di essere rimasta in intimo, oltre che nelle medesimi condizioni di un sopravvissuto ad un naufragio.

-Fantastico, pure mezza nuda oltre che bagnata. I miei abiti dove sono?- borbotto. 

Dentro la mia testa si fa largo l'immagine di Alison Parker che, dopo aver rimesso esattamente sulla mia maglietta e jeans, viene scortata nella sua stanza.

Maledetta suora pinguina! Le avevo detto che non avrebbe retto l'alcol, ma ovviamente non mi ha dato retta, come sempre del resto.

-Sicuramente, ma almeno l'abbiamo svegliata.- risponde un'altra voce altrettanto flebile.

Da sotto la scrivania sbucano le teste di due mocciose. A primo sguardo, sembrano essere nel range anagrafico fra i sette e i dieci anni anche se la loro corporatura esile fa calare l'asticella verso i sei anni. Sono gemelle omozigoti. 

-Britney, ci ha visto.- commenta preoccupata una delle due per lanciare l'allarme.

Le gemelle escono dal ripostiglio e corrono verso la porta. Credono di fuggirmi, ma sono molto più agile io e perciò mi posiziono davanti a loro ostacolando la fuga.

-Buongiorno.- esordisco con le mani disposte sui fianchi e con una certa autorevolezza nella voce. In realtà, si tratta di un pessimo inizio considerando com'è cominciata questa giornata, ovvero con il caos.

Le due sorelline, timorosa della mia persona, si tengono reciprocamente la mano come per infondersi più coraggio e sicurezza. Non è un semplice gesto. È molto di più, un giuramento quasi.

Incredibile a dirsi, ero convinta di averlo levato dalla mente eppure ora, proprio quando meno lo immaginavo, è comparso come un fulmine a cielo sereno. Forse l'ho solo sepolto sotto macerie di ferite, non l'ho cancellato e nemmeno dimenticato. Khloe ed io eravamo esattamente come queste bimbe, innocenti, terrorizzate, troppo piccole per affrontare la situazione che ci pioveva addosso senza alcun preavviso. Le mani unite erano la nostra forza, ciò che ci rimaneva.

Le due non salutano, si limitano a fissarmi con intensità. Timidezza o paura? Chissà, cosa si cela veramente dietro quei candidi e puri occhi.

-Io mi chiamo Katherine... - mi presento per rompere il ghiaccio. -Come vi chiamate?-

Non sembrano intenzionate ad usare la voce dato che le labbra non si muovono. Vogliono mantenere una certa aura di silenzio nella stanza. Indifferente a ciò, alzo le spalle. -Bene, sarete Bimba uno e Bimba due. Se non vi piacciono tali soprannomi, cavoli vostri, dovevate parlare la voce quando vi era richiesto.-

Una delicatezza nel rapportarsi con gli altri esseri umani equiparabile a quella di un  identica a quella di un ippopotamo in una gioielleria, qualcuno commenterebbe. Scuotono la testa in risposta alla scelta dei loro soprannomi, che non sono accolti con l'entusiasmo immaginato.

Just like fire (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora