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Quando apro la porta di casa la prima cosa che noto e  Margherita con in mano un grossa scatola di palline.

- Ma che...-prova dire Jess da dietro di me. Margherita è davvero davanti a noi o è solo un suo fantasma?

-Dobbiamo fare l'albero di Natale!- dice la cosa che potrebbe essere la più normale del mondo se non fosse che ha passato gli ultimi tre anni della sua inutile esistenza facendo l'eremita in camera sua.

-E da quando t'importa farlo?-le chiedo, incrociando le braccia e alzando il mento verso di lei.

-Da quando sono tre anni che non lo faccio- mi risponde, nascondendo il sorriso dietro ad una faccia impassibile e posando la scatola di palline vicino ad altre più piccole ai piedi di un finto pino .

-Potevano passare anche quattro anni-le faccio notare, non arrendendomi .

-Io faccio l'albero adesso: se mi vuoi aiutare bene, sennò sei liberissima di andartene in camera tua e non rivolgermi la parola-mi dice calma, guardandomi con quegli occhi ghiacciati che io stessa ho ereditato è che adesso mi spiazzano. Si volta e incomincia a trafficare con le lucine ed io sto per dirle un sacco di cose, come, ad esempio che non può illuminarsi d'un tratto e cercare di fare la mamma, che non è credibile e che la deve smettere quando una vocina dietro di me mi fa sobbalzare.

 -Mamma non è così che si mettono, aspetta!- Jess si avvicina a lei e mentre io la fisso a bocca aperta le toglie le lucine dalle sue mani pallide e le aiuta a sistemare sull'albero. Dopodichè restano a guardarsi a lungo come se fossero due estranei che sanno di conoscersi ma pensano che l'uno si sia dimenticato dell'altro e restano immobili.

-Grazie, tesoro- Margherita le rivolge un timido sorriso come quelli che una vota incoronavano sempre il suo viso. Jess intanto rovista nelle altre scatole, anche se è vestita bene e potrebbe sporcarsi, a lei non importa.

Guardo la scena con l'aria a metà tra la sconvolta e l'accigliata fino a quando Margherita non mi riporta alla realtà -Vieni anche tu, Samantha- mi dice, con un tono della voce quasi dolce. Jess mi guarda con gli occhi molto lucidi mentre si rigira una pallina argentata tra le mani.Lei è contenta di averla ritrovata, così tanto da perdonarle tutti questi anni spesi a dover crescere più veloce degli altri. Lei ha bisogno di Margherita e per la prima volta mi accorgo di quanto mia sorella sia piccola. Io non sono come lei  però e anche se vorrei davvero raggiungerle, ritornare a  tre anni fa, cercare di riacciuffare la serenità che avevamo quando c'era ancora il papà di Jess e provare a dare a quella signora un'altra possibilità dico -No, grazie- e corro in camera.

Mi butto sul letto e piango. Non so il motivo, non so neanche se ne ho davvero uno. Piango perchè una parte di me vorrebbe andare ad abbracciare Margherita, posarle il viso sul collo, come quando ero piccola e chiamarla mamma ma il resto di me non ci riesce . Vorrebbe riuscirci ma non ce la fa.

Prendo la chitarra e suono fino a quando non vedo i polpastrelli della mano sinistra tutti rossi e rigati che bruciano da matti. Stringerla anche solo in mano mi fa sentire meglio: è come se parte di mio papà fosse dentro la cassa armonica di Rosy che mi guida nella melodia. Come se le canzoni che suono non fossero solo mie ma anche sue. Infondo questa è la sua chitarra, è a lui che è appartenuta per primo. Il solo fatto di avercela anche se non sapessi suonarla mi fa capire che lui c'era, che un tempo le sue dita pallide avevano pizzicato queste corde, toccato questa tastiera scura come io sto facendo adesso.

Ripenso all'opportunità che ci sta dando mamma, di provare a tornare ad essere come una famiglia normale e a come nei libri i protagonisti sprecano questi momenti a causa dell' orgoglio. Poso la chitarra e mi chiedo "vuoi davvero essere anche tu così, Sam? Vuoi davvero rovinare tutto a causa dell'orgoglio?"

Ci penso su poi mi alzo, mi cambio e vado da Jess e Margherita.

Non la sto perdonando, le sto dando solo una seconda possibilità

Per Jess.

Per me.

OUTSIDER: FiregirlWo Geschichten leben. Entdecke jetzt