32. Timothy

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Era già ora di pranzo, per tutta la mattinata erano rimasti a parlare in quel luogo, senza neanche accorgersi di come il tempo fosse passato.

Il pomeriggio trascorse sufficientemente tranquillo per esser quello di due licantropi in attesa della luna piena e John li trattò in maniera del tutto normale, anche se, in fondo, era inquieto.

I problemi cominciarono il giorno seguente.

Harry si svegliò stordito e appesantito. Si sentiva la testa come stretta da un cerchio che partiva dalle tempie, passandogli dietro le orecchie, e gli premeva fino a metà della calotta cranica.

Scese a fare colazione con passo lento. Le ossa sembravano quasi muoversi come sonagli dentro il suo corpo, contro i muscoli duri e cuoiosi che gli gonfiavano la pelle chiara.

Attorno al tavolo non c'era nessuno, ma gli avevano lasciato le uova e il bacon pronti.

Harry si sedette e prese la forchetta. Gli venne improvvisamente una fame terribile, come se non mangiasse da mesi.

L'odore del cibo giunse penetrante alle sue narici, riempiendo del desiderio di mangiare la sua mente e ogni dolorante fibra del suo corpo. Fece colazione con gusto e voracità, godendo del sapore pastoso e incollato dell'uovo e di quello forte e proteico del bacon, affumicato e dolce.

Gli capitò di vedere dalla finestra un grosso cane e quella visione gli suscitò l'assurdo istinto di mangiare più rapidamente per non farsi rubare il cibo.

Quando concluse di nutrirsi avidamente decise di uscire, ma scoprì suo malgrado di mal sopportare il caldo e la luminosità esagerata del Sole. Si rifugiò all'ombra di un pino e rimase immobile con la testa appoggiata contro il legno. Sentiva con chiarezza ogni barlume di vita ed era una sensazione meravigliosa ed inebriante, ma che, al contempo, lo spaventava nella sua immensità.

Udì il battito veloce del cuore degli uccelli e i pigolii dei pulcini nei nidi farsi più forti e gioiosi all'apparizione del genitore con la cena stretta nel becco, una giovane cavalletta. Percepì le contorsioni dell'insetto nei becchi feroci, gli ultimi suoi deboli friniti e le sue gambe che venivano strappate, lacerate dagli artigli dei mostriciattoli dalle rade piume grigie che si contendevano le sue carni coriacee e prelibate. Non era una cosa strana, né una cosa dolorosa: era naturale e dava uno strano brivido.

Harry percepiva la morte.

La sofferenza, la contorsione... la cavalletta si spense.

La stessa cosa accadeva ad un lontano coniglio nelle fauci di cani selvatici e, più lontano ancora, un uomo sparò e uccise, godendo della sua impresa.

Ma non la sola morte dominava in quei campi, bensì frullare d'ali, corse di zampe e brulicare d'insetti. Il profumo intenso delle conifere sotto il sole era inebriante quasi quanto quello del sangue.

Ma dov'erano gli uomini, le prede più ambite?

Harry iniziò a camminare in silenzio, quasi saltellando da un piede all'altro. Si sentiva impaziente, oltre che dolorante e gonfio.

Vide qualcosa muoversi verso di lui con movenze ampie e sinuose e si protesse gli occhi facendosi schermo con una mano. Era un cavallo: un animale alto ed elegante dal manto di un color bronzo scuro, tendente al nero, lucente sotto il sole e bardato con ricchi finimenti dorati.

Nero e oro, sembrava uscito direttamente da un vecchio libro illustrato o staccatosi da una giostra, ed era l'ultima cosa che Harry si sarebbe aspettato di vedere avanzare in quel campo.

Sulla groppa poderosa sedeva fiero un cavaliere con baffi e barbetta cortissimi, rasi, dai contorni indefiniti, le basette quasi rasate, ma visibili come due rettangoli color paprica. Aveva i capelli di un rosso chiarissimo, quasi un arancione carota bollita, che facevano uno strano contrasto con la polo blu. Quando vide il giovane, fece fermare il cavallo e scese senza difficoltà, quasi facendo un salto a piedi uniti

Scontramondi - 1. La pietra delle fontiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora