28. Immortali nelle terre del lupo!

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Il drago spalancò le ali con il rumore di due tele cerate sbattute contro il vento e si librò in aria in un turbine di polvere e foglioline secche, per alzarsi sempre più su, fino a scomparire fra le nuvole grigie e blu, anche lui simile ad una strana nuvola appena più scura delle altre.

Non ci mise molto, solo qualche secondo, ed era straordinario vedere come un corpo così pesante, corazzato di squame impenetrabili, potesse librarsi nell'aria con quella leggerezza apparentemente anormale.

Sfidava le leggi della fisica con disinvoltura, volteggiava con la grazia di chi è molto più piccolo di lui, quasi come un uccello.

La cosa fantastica di un drago era proprio questa: poter sparire facilmente, anche se non si può certo dire che simili bestioni non lascino traccia. Il terreno era disseminato di artigliate e compresso nella forma di orme gigantesche laddove le zampe di Shadow l'avevano calpestato.

Mark avanzò furtivo fino alla sorgente del suono, sotto le chiome dei pini, con tutti i sensi all'erta, poiché a volte le cose non sono ciò che sembrano, e lui lo sapeva bene.

Un ululato, improvviso, squarciò la sera.

Bang! Un altro sparo secco, da fucile.

Mark, si lanciò di corsa, caricando come un toro a testa bassa

«Nero!».

Non fece in tempo a capire quanto accadeva che qualcuno lo urtò lateralmente e gli bloccò le braccia lungo il corpo, stringendolo forte con le proprie. Con uno sforzo irrilevante, il grosso americano si liberò e buttò a terra chi aveva osato tentare di fargli del male, con scarsi esiti, e poi lo osservò incuriosito.

Sul terriccio chiaro, rantolante, c'era un omiciattolo banale, occhi di un bruno banale, capelli di un castano scuro banale, fisico banalmente pieno di grasso: insomma un essere non degno di nota che doveva aver passato la propria vita in un modo non degno di nota. Era nella pappagorgia oscillante, era nelle sue labbra che non riuscivano a stare ferme, la paura nata da una vita troppo agiata e troppo insignificante.

Tremava di fronte all'enorme Mark, evidentemente colto di sorpresa dall'aspetto terrificante del suo avversario

«Pietà, signore! Non ho fatto nulla!» gemette, deglutendo «Non cerchiamo guai, ve lo giuro! Anzi, ce ne andremo appena potremo, subito, appena mi alzo» si mise in ginocchio con difficoltà «Ecco... mi sto alzando! Niente rancore, eh!» si alzò in piedi con la ciccia che traballava destra e a manca, un orrendo budino flaccido «Ora me ne vado»

«Che cosa ci fai nelle mie terre? Dove sono i tuoi compagni?» domandò Mark, cupo, posando lo sguardo con ferocia sul corpo insignificante del bracconiere

«Mio signore, siamo qui perché per sbaglio ci siamo inoltrati troppo e abbiamo perso l'orientamento, non pensavamo di finire qui. Anzi, se può essere così gentile da indicarci la via per uscire, perché sa, noi siamo...»

«Non siete un bel niente, voi...»

«Signore, per favore, potrei parlare? Sul serio, eravamo sulle tracce di un cervo, un maledetto cotton-tail, e gli siamo corsi dietro per dei chilometri, ma lo abbiamo perso, e ci siamo ritrovati qui»

«Non m'incanti» le sopracciglia del gigante divennero minacciosamente oblique «Stai mentendo. Non devi farlo con me» avanzò velocemente, con un solo passo lungo, e afferrò l'omiciattolo per il bavero della giacca da caccia verde militare, sollevandolo da terra «Che sei venuto a fare nelle mie terre, essere patetico?».

Il volto grasso e flaccido del bracconiere s'illuminò di un'improvvisa scintilla

«Vuoi saperlo?» squittì in modo diabolico «Io sono qui per...» guardò in alto e sorrise facendo comparire due file di regolari dentini gialli ed esalò «Ucciderti».

Scontramondi - 1. La pietra delle fontiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora