16. In fuga dal palazzo

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Lucifero fu giù dalla gradinata in un batter d'occhio, quasi materializzandosi. Le labbra gli si arricciarono e contrassero in un ringhio spaventoso e lugubre che sembrava risalirgli dal ventre, scuotergli le costole e sfociare dalle fauci con l'intensità del tuono. Gli occhi gli divennero rossi come braci ardenti, luminosi, le zampe si contrassero sotto il corpo, la coda ritta, rigida, le orecchie rivolte in avanti sul capo ruvido.

Mark buttò la spada: non gli sarebbe servita adesso, c'erano metodi più efficaci dell'agitare una lama. Inoltre, questa volta non gli era permesso di uccidere il cane.

Lucifero avanzò lentamente mantenendo il proprio pesante corpo basso sul pavimento, quasi strisciasse, con i muscoli delle spalle messi inquietantemente in evidenza ad ogni passo condotto con feroce eleganza incredibilmente felina e felpata.

L'uomo lo guardò con gelido distacco, come il padrone di fronte ad un cucciolo riottoso, poi mise lentamente in avanti un braccio.

«Lucifero» Mormorò, con la stessa voce inumana del ringhio del cane nero «Indietro. Osi dunque sfidarmi? Sfidare un Ministro?».

La bestia, intimorita, indietreggiò, poi una nuova scintilla di ira lo percorse e scosse, inducendolo ad attaccare, a lanciarsi, a serrare le temibili zanne sulla tenera carne. Con un ululato lugubre la nera belva balzò, la massa oscura del suo corpo solcò l'aria.

Mark fece un brusco scarto, ma ugualmente le mascelle del cane nero, innaturalmente più veloci di quelle di qualunque canide, si chiusero sul suo avambraccio. Le zanne non riuscirono a lacerare la carne perché in quel momento un energia fredda come se non più del ghiaccio esplose scaraventando Lucifero lontano sul freddo marmo, dove ricadde con un rumore cuoioso di ossa e muscoli.

Sul volto di Mark si era dipinta un'espressione di gelida rabbia, le sue iridi verdi e lievemente iridescenti stavano schiarendosi con la velocità del lampo fino diventare bianche ed opache, perfettamente identiche al resto della sclera su cui sembrava essere caduto una membrana sfocata. I lineamenti gli erano divenuti duri e rigidi, con un che di lupesco ed al contempo solenne, ma di certo non umano.

Lucifero si rimise faticosamente ritto sulle quattro zampe e fece per attaccare, ma già Mark non c'era più, la sua enorme sagome nera era scomparsa nel buio tanto silenziosamente quanto rapidamente. Il cane nero annusò l'aria, spiccò un salto e anche lui parve dissolversi alla velocità del vento.

Fu come se anche il suo odore scomparisse: si sarebbe potuto dire che fosse stato solo un fantasma e non un animale in carne ed ossa.

Mark si avvicinò a Kate ed Harry, che ansimava piegato in due, appoggiato alla portiera della macchina bianca.

La giovane donna gli sorrise

«Andiamo?» chiese con dolcezza

«Presto!» ringhiò Mark, aprendo la portiera posteriore dell'auto, al cui interno erano già comodamente sistemati Zack, Valerie e più in fondo Lita.

John si precipitò al posto di guida dell'auto bianca, mentre quella blu era condotta da Harry.

Partirono sgommando, i piedi premuti sugli acceleratori.

«Ora si che ci siamo!» Ululò John, eccitato «Uscita in grande stile, iuppi!».

Qualcosa rimbalzò sul cofano dell'auto bianca con un rumore metallico.

«Non fermarti!» gridò Kate, guardando dietro.

Mark era immobile a braccia incrociate accanto a Zack e trovava piuttosto snervante che il ragazzino lo continuasse a fissare con tanta intensità.

Scontramondi - 1. La pietra delle fontiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora