Il caos funziona come un vizio

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Il caos funziona come un vizio: può essere sradicato solo dalla venuta di un altro suo simile.

Questa era l'unica spiegazione che Daniel riusciva a dare al diminuire della frequenza dei suoi incubi. Da sempre la calma e la diligenza avevano regnato nella sua vita e quei suoi incubi erano le uniche anomalie che spaccavano il ghiaccio.

Ma da quando aveva conosciuto Dane, col passare del tempo, gli incubi erano passati dal manifestarsi nella sua mente una volta ogni tre mesi ad una o due volte all'anno e questo classificava Dane come nuovo caos. Il caos migliore che a Daniel potesse mai capitare.

Sarah e tutte le altre persone che aveva conosciuto in passato non erano come Dane. Non erano complesse, effimere. Non erano provocanti e costantemente misteriose. Non erano ogni giorno una nuova sfida. Non lo avevano mai fatto soffrire e sentire vivo allo stesso tempo. Avevano una sola faccia e non mille sfaccettature.

Dane sapeva passare dall'essere superbo all'essere infantile. Sapeva comportarsi a volte nel modo saggio di chi tasta la terra di fronte a sé con un bastone prima di attraversarla, a volte nel modo impulsivo del ragazzo che si lancia nel fuoco. Poteva dimostrarsi irremovibilmente crudele durante un litigio e infinitamente dolce in un bacio.

Daniel questo lo sapeva bene. Tutte le volte che gli incubi ritornavano, Dane era lì per lui. Si svegliava quando, nella sua mente, Daniel si ritrovava nella Brughiera e iniziava a tremare nel sonno, e accendeva le abat-jour ai lati del letto. Con un braccio gli cingeva la schiena e appoggiava l'altra mano sul suo petto, facendo leggermente pressione, come per impedire al cuore di Daniel di battere troppo velocemente. Poi, con voce dolce, iniziava a canticchiare Imagine, la canzone che aveva sussurrato al buio la sera in cui lui e Daniel si erano ubriacati nell'appartamento di New York, quando per la prima volta avevano intravisto un luccichio di verità l'uno nell'altro.

E Dane rimaneva così, ad aspettare che l'altro affrontasse il finale dell'incubo. La prima cosa che riconnetteva Daniel alla realtà erano gli occhi di Dane che luccicavano chiari nella leggera oscurità della stanza. Poi vedeva il suo sorriso e le sue labbra che si muovevano a pronunciare delle parole. Infine udiva la melodia e i versi di Imagine, miele per la sua mente.
Dane spostava le sue mani dalla schiena e dal petto di Daniel alle sue guance, incorniciando il suo viso, invitandolo a cantare con lui. Quando i loro sussurri si univano, Dane poggiava la propria fronte su quella di Daniel, chiudeva gli occhi e con un bacio leggero gli dava la Buonanotte.

Fu durante il sesto anno che trascorrevano insieme, che Daniel scorse per la seconda volta nel suo incubo una persona che non fosse lui stesso giacere tra l'erica selvatica al posto del cervo. Vedere il viso di Dane, freddo e immobile, senza alcuna espressione, lo spaventò tanto da svegliarlo subito, nel cuore della notte, senza che Dane si accorgesse di nulla.

Daniel iniziò a fare dei profondi respiri, era sconvolto e quando sentì di essersi calmato abbastanza, si alzò. Con passo lento e incerto raggiunse il salotto, facendosi guidare dai raggi di luna che illuminavano la stanza dalla portafinestra.
Sospirò, mentre si accingeva a prendere un bicchiere dal vassoio dei liquori e a riempirlo di Jack Daniel's.

Con qualche passo raggiunse la portafinestra, poi guardò fuori: la notte era luminosa. Ovunque volgesse lo sguardo era tutto luce e riflessi, tranne il cielo, terso e violaceo. Bevve un sorso di liquore, prima di poggiare il bicchiere sul tavolino da caffè e sedersi sulla poltrona accanto alla portafinestra.
San Francisco avrebbe potuto distogliere la sua attenzione in mille maniere, ma in quel momento lui riusciva a pensare solamente al suo incubo.

Cominciò col chiedersi Perché, perché continuava a portarsi addosso quel ricordo di morte. Era forse qualcosa di importante, così importante da tormentarlo? Un pensiero malvagio, un tratto di cattiveria su cui non poteva esercitare alcun controllo? Oppure era solamente paura? Paura di lasciar andare il passato, paura di perdere il presente?

Daniel abbassò lo sguardo, mentre si domandava se la morte di Dane nel suo incubo avesse qualcosa a che fare con lui. L'autrice di quell'immagine era stata la sua mente, dopotutto. Ma rifiutò questa possibilità quasi subito. Non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere a una persona cara, non avrebbe mai voluto. Non ce n'era motivo e mai ce ne sarebbe stato.

Si diede dello stupido per averci anche solo pensato e, quando si fu alzato, lanciò un ultimo sguardo al bicchiere sul tavolo da caffè per poi afferrarlo senza esitazione e berne tutto il contenuto d'un fiato. Era il suo modo di cancellare ciò che era stato.

Appena tornò in camera da letto si fermò ad osservare Dane che dormiva, le sue spalle strette scoperte e le sue labbra socchiuse, come quelle di un bambino intento a sognare. L'ultima domanda che si pose fu se gli importava veramente conoscere il significato del suo incubo. Sorrise.

Mentre si avvicinava a Dane e si chinava per baciarlo, pensò che sapere il perché dei suoi incubi non avrebbe fatto alcuna differenza. In seguito non ebbe più l'occasione di riflettere sui suoi dubbi a riguardo, perché gli incubi non si ripresentarono più e perché quella notte, mentre aspettava che Dane aprisse gli occhi, decise che quello che già aveva gli sarebbe bastato.

Gioco di Maschere ✨BoyxBoy✨Where stories live. Discover now