La Brughiera

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Era martedì sera quando Dane e Daniel trasferirono nella stanza 168 del Residence.
Daniel si era svegliato presto, mercoledì mattina. Non amava molto dormire e per di più quella notte aveva avuto un altro incubo. Da un po' di anni questo incubo gli si presentava abbastanza raramente. Ed era sempre lo stesso.

Quando chiudeva gli occhi, entrava in un sogno così vivido da sembrargli reale, un sogno in cui viaggiava attraverso i luoghi della sua infanzia e riviveva i suoi ricordi.
Daniel non aveva mai preso seriamente questo suo strano modo di sognare, non lo definiva un problema, anche perché non gli dispiaceva affatto di rivedere la sua infanzia. Il fattore preoccupante era che, spesso verso la fine del sogno, accadeva una cosa che lo turbava molto e che trasformava questi ricordi a intermittenza in incubi.

Quel martedì notte rivide sua madre, di nuovo giovane, che gli posava davanti una tazza di tè fumante, vi lasciava cadere dentro due cubetti di zucchero e gli sorrideva. Rivide suo padre che tornava dal lavoro la sera e gli baciava la fronte affettuosamente. Rivide i suoi amici delle elementari che giocavano a mosca cieca con lui nel giardino di casa sua e tanto altro.

Dopo, come Daniel sperava non succedesse, nel sogno appariva la Brughiera, il luogo lugubre in cui da bambino si avventurava e dove, durante un pomeriggio inoltrato, aveva trovato un cervo morto. Il corpo dell'animale giaceva inerme a terra, ben nascosto e, per un attimo, Daniel lo aveva confuso con le erbacce secche. Ma poi aveva scorto la grande macchia di sangue che aveva imbevuto l'erba circostante e aveva scoperto il grande collo del cervo dilaniato da un morso e i suoi grandi occhi vitrei spalancati. Da quel giorno ricordare la Brughiera diffondeva nella sua mente una parvenza di terrore e morte.

Non c'era mai nessuno a calmarlo, quando si risvegliava. O a stringerlo, ad abbracciarlo, sussurrandogli «Va tutto bene» mentre lui ancora annaspava tra sogno e realtà, accumunati entrambi dalla stessa paura che prendeva il sopravvento nella sua mente.
Con il tempo aveva imparato a calmarsi da solo e a non fare rumore. All'inizio reprimeva il grido in gola, poi cercava di regolarizzare il respiro. Inevitabilmente si alzava e a volte non riusciva neppure a tornare a dormire.

Quel martedì notte, quando si svegliò e andò in cucina per prepararsi un tè con ciò che aveva messo a disposizione il Residence, Dane stava ancora dormendo. Non pareva aver sentito niente o essersi accorto di nulla.

Daniel, mentre sorseggiava il tè nel soggiorno poco illuminato, tornò ad arrovellarsi sul dubbio che lo aveva turbato il giorno prima. Che persona era veramente Dane? Si sarebbe lasciato conoscere? Lo avrebbe voluto conoscere a sua volta?

Daniel finì il tè e sospirò. Andò a poggiare la tazza nel secchiaio, poi ripercorse il salotto, stringendosi nel maglione. Nell'appartamento faceva ancora abbastanza fresco.

Fece i primi passi nella zona notte.
Provò a trattenersi, ma non riuscì a non buttare un occhio all'interno della camera di Dane, attraverso la porta semi aperta. Ancora non l'aveva osservata bene, aveva dato solo una sbirciata.

La stanza era rimasta abbastanza spoglia, nonostante il nuovo ospite. Non c'era ancora alcun oggetto poggiato sui comodini.
Sulla destra vi era un armadio e una delle due ante era aperta. Daniel vide che l'interno era vuoto. I capi necessari fino a quel momento erano stati prelevati direttamente dalla valigia, poggiata su una sedia, vicino all'armadio. Qualche vestito giaceva a terra, ai piedi della sedia. Sulla sinistra c'era il letto, bianco, semplice e asettico, ma pulito.
La stanza era calda. Al centro del letto giaceva qualcosa di molto simile a un bozzolo. Un intreccio di piumone, braccia e gambe.

L'atmosfera era tranquilla, fino a quando il groviglio sul letto non si mosse. Daniel sapeva di non dover essere lì a guardare. Si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, quando avrebbe dovuto dirigersi subito alla propria camera, senza esitazione. Ma qualcosa, forse la curiosità o la velata attesa di un avvenimento inevitabile, lo trattenne.

Dane emerse dal piumone. I suoi capelli erano di un biondo intenso, illuminati dalla luce dei lampioni proveniente dalla finestra in prossimità del letto, sulla parete di fronte a Daniel, che la tenda non era riuscita a oscurare.

Si guardarono. L'espressione di Dane era stupita, innocente. Le sue labbra erano socchiuse, come se fosse sul punto di dire qualcosa, forse una spassionata protesta sulla mancanza di privacy. Ma non disse nulla.
Daniel esitò sulla soglia. Sentiva una forte sensazione in prossimità del petto, come se gli occhi di Dane gli avessero appena cucito una gabbia attorno.

Quando tornò in camera sua, sorse in lui la consapevolezza di aver indugiato troppo con lo sguardo.

Gioco di Maschere ✨BoyxBoy✨Where stories live. Discover now