Capitolo XXXVIII - Risvegli

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L'ultimo colore che le rimase impresso nella memoria fu quello strano, indefinibile, ammaliante grigio azzurro degli occhi di Draco.
Ad essi affidò l'ultimo pensiero, l'ultima frase sillabata, l'ultimo alito di vita, prima che una pressione improvvisa glielo spezzasse.
Non era un dolore vero e proprio; era come se, sottopelle, le stesse scorrendo una sostanza pungente e formicolante, la stessa sensazione di quando si addormenta un piede, accompagnata però da un'irresistibile, invincibile spossatezza, una voglia di dormire a cui sottrarsi era assolutamente impossibile.
C'era un urlo, però, che glielo impediva: una serie di urla strazianti e terribili che le trapanarono i timpani.
Voleva solo dormire, scivolare nel riposo che si meritava... perché glielo impedivano.... perché qualcuno la stava sballottando e strattonando...
"Cazzo, capo, stai sveglia, non mi morire!"
Se non avesse avuto tanto sonno avrebbe riso: solo quella testarda di Beatrix si ostinava a chiamarla capo...
"Driver, al San Mungo! Voi due, con me!"
All'ospedale... perché.... lei voleva solo dormire....
"Lasciala, Malfoy... lasciala...."
Ma lei non voleva essere lasciata... non di nuovo... doveva fermarlo, doveva dirglielo.... doveva dirgli che...
Draco....
"No! No!"
Draco....
"Pupille midriatiche, battito ventuno... coagulazione in corso! Prepara il siero!"
Draco....
"Non c'è tempo per i ricami, intracardiaca al tre!"
Draco....
Ti amo
.
Poi un dolore lancinante arrivò ed Hermione riprese a respirare.

***


Per Hermione, la morte era stata una compagna di viaggio fissa per più di sette anni - precisamente, da quando aveva rischiato di restarci secca in quel bagno alle prese con il troll di montagna. Se allora era troppo piccola per realizzare a pieno la reale portata del rischio che aveva corso, ed anzi proprio quella vicenda aveva portato alla nascita della sua amicizia con Harry e Ron, man mano che le sue avventure diventavano sempre più pericolose, ingestibili e schiaccianti il pensiero di morire le aveva attanagliato le viscere e fatto tremare le ginocchia. La sua morte, quella dei suoi genitori e dei suoi amici, quelle solo previste e quelle realmente accadute, di alleati o avversari... definitiva, totale, irrecuperabile, ineludibile, inarrestabile. Quando l'aveva vista e ne aveva provato il dolore sulla propria pelle, l'aveva appellata nei modi più offensivi ed arrabbiati.
Le aveva sempre assegnato tanti aggettivi, ma mai l'avrebbe potuta definire desiderata.
Quando invece si rese conto di essere sveglia, con tutto quello che ne conseguiva - era un mostro, un mostro, un mostro, un mostro... -, le esplose nel petto una disperazione cocente e lacerante che la portò, senza neanche accorgersene, ad urlare e a dimenarsi, proteggendosi la testa con le braccia.
Qualcosa la afferrò per le spalle con fermezza ed Hermione urlò più forte, terrorizzata e singhiozzante, ma le due mani la inchiodarono di schiena alla superficie sottostante mentre lei continuò a tenere gli occhi serrati per non sapere, per non vedere, per non...
- Signorina Granger! La prego, si calmi, è tutto a posto! Va tutto bene!
Signorina Granger?
Era ancora Hermione Granger?
Era ancora la banale, insignificante, noiosa, studiosa, piatta, petulante, priva di attrattive Hermione Granger?
Mai come in quel momento amò se stessa e la sua normale, comune esistenza da persona, una come tante, una a caso nel mondo, con ancora la sua anima e solo poche decine di anni davanti.
Più rilassata ma ancora spaventata si impose di fermarsi e prendere un respiro profondo, mentre l'ultimo singhiozzo le scuoteva il petto. Le mani si fecero meno salde e la voce di prima si ingentilì.
- Signorina Granger, sono il dottor Adam Foster, primario del San Mungo. Le posso garantire che sta bene.
Socchiuse appena l'occhio destro e la figura imponente ed autorevole di un grosso medico barbuto annuì comprensivo.
- Ce la fa a mettersi seduta?
Hermione prese un respiro profondo e si concentrò sulle sue percezioni sensoriali, la testa ancora troppo confusa e spaventata per concedersi il lusso affidarsi ciecamente alle parole dell'uomo. Il materasso sotto di lei era morbido e caldo, le lenzuola rigide ma fresche, e la sua pelle era innegabilmente tiepida. Aveva ancora un cuore pulsante che stava rischiando di fracassarle le costole tanto batteva forte, due guance umide e un respiro corto e pesante. Tutte caratteristiche tipiche di un essere umano.
Con cautela puntò le mani aperte e si trascinò all'indietro, poggiando la schiena alla testiera metallica. Niente dolore. Totale controllo degli arti.
Quando fu certa di riuscire ad affrontare la realtà aprì con lentezza le palpebre e mise a fuoco una piccola, asettica e vuota stanza d'ospedale.
L'ospedale. Bene. In ospedale non ci portano i morti, men che meno i vampiri.
- Signorina Granger... mi sente?
- Sì - rispose, forte e chiaro, con ancora la sua voce seppur roca e impastata.
- Benissimo. La prego, stia tranquilla, è tutto a posto.
- Tutto... a posto? - ripetè un po' stupidamente.
- Certo, mi creda. Se mi garantisce di stare calma le spiego ogni cosa.
Hermione annuì in silenzio, concentrandosi sui piedi che la salutavano allegramente al di sotto del cotone bianco, il cervello spento.
- È arrivata qui due notti fa, con un principio di trasformazione in atto. Fortunatamente erano trascorsi solo pochi minuti dal morso, perciò siamo stati perfettamente in grado di estirpare il veleno e rigenerare il sangue. Non c'è stata nessuna conseguenza a livello permanente.
Nessuna. Conseguenza.
Finalmente ebbe il coraggio di alzare lo sguardo per guardare in faccia il medico, un po' spaventato ma tranquillo e sorridente.
- Si era già svegliata ieri pomeriggio, ma ha avuto una crisi isterica e abbiamo dovuto sedarla. Se vuole, può firmare già adesso per tornare a casa. È perfettamente in salute, glielo garantisco.
- Ma.... - rispose, ancora restia a cedere al sollievo - davvero non... non ho niente?
- Con le moderne tecnologie possiamo intervenire entro un quarto d'ora, e lei è arrivata dopo nemmeno cinque minuti. Inoltre il morso non è stato nemmeno così profondo, forse non ce n'è stato il tempo... dovrà chiederlo agli Auror. Certo, qualche gocciolina potrebbe essere rimasta in circolo, magari da oggi in poi avrà il sonno più leggero o le piacerà la carne più al sangue, ma niente oltre questo.
- Oh.... va... va bene... - mormorò, ricominciando a piangere silenziosamente, questa volta di gioia. Era assolutamente scioccata dall'aver avuto così tanta fortuna... era stato tutto troppo, troppo facile. Doveva per forza esserci sotto qualche magagna. - Harry? - domandò poi, sovvenendole improvvisamente alla mente.
Il medico le sorrise comprensivo e le fece un occhiolino scherzoso, dando un paio di colpetti sulla sponda del letto.
- Il signor Potter? E chi lo scalfisce, quello lì? È fresco come una rosa ed è già a casa. Era stato solo pietrificato.
- E.... e... gli altri....
- Nessuno si è fatto niente. Il signor Malfoy era in leggero stato di shock, l'abbiamo spedito a casa con un buon sonnifero.
- Oh... - mormorò, ancora intontita.
- Io... io la lascio adesso, devo completare il mio giro... ero venuto solo per darle questa - aggiunse, porgendole una fialetta rossa che lei ingurgitò di malavoglia - l'ultima dose di Rimpolpasangue. C'è... c'è l'Auror Weasley qua fuori, sta aspettando da due giorni. Ha voglia di vederlo?
Non era stato lui, la prima persona a cui aveva pensato, ma immediatamente si accorse di avere molto più da chiarire con il suo caro vecchio amico.
- Certo, certo. Lo faccia entrare. Grazie, dottore.
L'uomo le sorrise brevemente e, dopo aver scarabocchiato qualcosa su di una cartella, uscì e scambiò qualche parola fuori. Immediatamente dopo la testa infuocata di Ron si affacciò nella stanza, due occhi dolcissimi e preoccupati.
Ron. Il suo adorato, dolce, buffo, complicato e sempre presente amico di una vita. Gli aveva fatto male, lo aveva messo da parte, lo aveva sempre trattato con una sorta di condiscendenza seppur non voluta, eppure lui era sempre lì, per lei, per lei si era preoccupato, adoperato, per lei era rimasto sveglio fuori da quella stanza per due giorni.
Per lei. Per il significato che lui attribuiva alla parola amicizia, un'amicizia alla Weasley che lei ammirava e rispettava più di qualsiasi cosa al mondo.
Le lacrime scesero più impetuose che mai e, per la prima volta in vita sua, non se ne vergognò. Gli aprì le braccia e lui le corse incontro, stringendola con accortezza.
- Ron... - mormorò, bagnandogli la spalla - mi dispiace, Ron, mi dispiace tanto....
Non gli aveva mai chiesto scusa. E solo in quel momento si rendeva conto di quanto lui se le meritasse e di quanto lei fosse stata una bambinetta altezzosa.
- Hermione... - si limitò a risponderle, accarezzandole goffamente i capelli, dondolando insieme a lei. - Come ti senti?
La ragazza non riuscì ad articolare qualche parola, limitandosi ad aggrapparsi alle sue braccia lunghe e grosse. Ron era evidentemente in imbarazzo, ma la strinse con delicatezza e continuò a sussurrarle di stare serena, che tutto era passato e che ogni cosa si sarebbe sistemata. Quando davvero lei smise di piangere si scostò piano per guardarla negli occhi.
- Ti senti bene? - ripetè.
- Sì, sì.... non mi fa male niente.... il... il dottore ha detto che posso... posso tornare a casa, se voglio...Senti, ma... come è successo?
- Siamo arrivati proprio... in quel momento, io, l'AmmazzaSpettri e un paio dei nostri che sono scappati da Edimburgo. Abbiamo sfondato la finestra, volevamo giocare l'effetto sorpresa. È stata Beatrix a portarti qui immediatamente, ha avuto più sangue fred... cioè, più prontezza di tutti.
- Un AmmazzaSpettri? Ma.... ma allora Patrick è morto! - sospirò, molto più serena, chiudendo gli occhi e poggiandosi sui cuscini. Nemmeno registrò la risposta di Ron, talmente tanta era la contentezza di sapere la minaccia debellata. Certo, un po' le dispiaceva: in fondo era stato solo un pover'uomo che dalla vita non aveva avuto niente, se non dolore, rancore e sofferenza. Ma certamente sapere che non avrebbe più dovuto guardarsi le spalle era un enorme sollievo.
Quando riaprì gli occhi e si vide il dolce viso buono dell'amico, appena un po' più rosso ed agitato, una strana emozione le risalì su per la gola: nessuno era stato immune dal concatenarsi degli eventi, nessuno ne era uscito completamente indenne e nemmeno lei era priva di colpe, dato che aveva causato sofferenza ad una delle persone che le avevano voluto il bene più sincero e puro di sempre. Ma nonostante tutto Ron era ancora lì, a mettere a soqquadro il mondo per lei, per il bene che le voleva e che le aveva sempre voluto e che, a dispetto del suo comportamento, non sarebbe mai scemato.
- Ron... è finita, vero?
- Beh....
Tutte le membra di Hermione si tesero fino ai crampi, il bisogno di sentire una risposta affermativa più forte persino dell'istinto di respirare. Ron tirò fuori uno strano sorriso indeciso e si mordicchiò il labbro inferiore, quasi a disagio, poi le sfiorò una guancia ed annuì con grande vigore.
- Ma certo, certo che è finita.
- Ron...
- Te lo giuro, Hermione, lo giuro. È finita.
La morsa che le stritolava le viscere si restrinse, finalmente, un forte sospiro si tuffò fuori dalla sua trachea e un ringraziamento solenne per aver avuto così tanta fortuna la scosse dal profondo.
- Se vuoi tornare a casa... beh, fai come credi più giusto - continuò l'amico - ovviamente, se vuoi puoi andare da mia madre, non sai quanto è in pena....
- Oh, mi dispiace, non volevo farla preoccupare... più tardi la chiamo.... ma...
Non voleva dirglielo nè farglielo capire, ma la sola cosa che voleva era andare a casa. Da Draco.
Ron, però, lo intuì lo stesso, perchè le indirizzò una smorfia furbesca che la fece sorridere.
- Ma tu forse vuoi andare a casa da... beh, da... da lui. Ormai, se ho ben capito, qualsiasi cosa tu abbia da dirmi riguarda entrambi voi, giusto?
Lei abbassò lo sguardo, sentendosi immensamente in difetto, ma l'uomo le accarezzò con gentilezza un braccio.
- Non c'era nessun intento recriminatorio sotto, stai tranquilla.
- Oh, Ron... - sussurrò, tremolante. - Mi dispiace.
Non era così difficile da dire, dopotutto. Bastavano un po' di sincerità e di umiltà e un pizzico di consapevolezza. Cose che male non facevano di certo.
- Ron, mi dispiace tanto - continuò, tirando su col naso. - Non ti ho mai mentito nè tradito, ma ti ho fatto soffrire e mi... mi dispiace. Avrei dovuto dirlo quattro anni fa ma ero... ero troppo stupida. Scusami, Ron, scus...
Il ragazzo l'abbracciò forte e lei si rifugiò beata in quella stretta che le era mancata più di quanto fosse disposta ad ammettere.
- Scusa - ripetè, di nuovo singhiozzante - scusami, sono stata superficiale....
- Ehi, ehi, smettila! - le sussurrò tra i capelli. - Eravamo due ragazzini, non sapevamo gestire certe cose, probabilmente io non so farlo neanche ora. E comunque anche io ho sbagliato. Ti ho tenuto il muso per puntiglio, come un marmocchio viziato. Devi perdonarmi.
- Ma sì, testone - gli assicurò, scompigliandogli i capelli con una mano mentre con l'altra si asciugava le guance. Ron le sorrise e le fece l'occhiolino, sistemandole il lenzuolo.
- Certo - puntualizzò lui, a metà tra il serio e il faceto - per una prossima volta, quando una persona ti scrive e ti dice che è venuta a trovarti, sarebbe gentile non lasciarla al freddo e al gelo...
- Di che stai parlando? - gli chiese, corrucciata.
- Beh... e guarda che non sono arrabbiato eh! Ma durante quell'anno sarò venuto ad Hogsmeade almeno una ventina di volte e tu mi hai raggiunto sì e no una mezza dozzina....
- Ma che stai dicendo? - rispose, infervorandosi. - Io sono sempre venuta quando tu mi hai scritto!
- Dai, Hermione, non c'è bisogno che ti scusi... però molte volte non mi hai proprio risposto e io ti ho aspettata lo stesso....
- Le ho conservate, le tue lettere, e sono sette! Sette volte mi hai scritto che venivi ad Hogsmeade e sette volt....
Hermione si bloccò istantaneamente, fulminata da un lampo di comprensione, e un familiare ghigno compiaciuto le svolazzò nella memoria.
- Quell'idiota! - urlò, scandalizzata. - Come si è permesso? Era la mia posta!
Ron rise di vero cuore a lungo, ascoltando divertito i suoi improperi sempre più violenti contro Draco.
- Beh... di Malfoy si può dire tutto, ma non che non sa ottenere ciò che vuole - commentò col sorriso nella voce. - Dai, Hermione, guarda il lato positivo. Significa che ti voleva tutta per sè.
- Ma non si sarebbe dovuto azzardare a prendere le mie lettere! C'è una cosa che si chiama privacy e lui....
- ... e lui ha bellamente ignorato ogni tipo di moralità. Oh, ma che novità! Chi se lo sarebbe mai aspettato da Malfoy! Sono davvero, davvero sorpreso - le rispose, palesemente ironico.
Hermione rise e gli accarezzò il viso, stringendogli poi una mano con forza.
- Ron... mi dispiace davvero di averti ferito. Non era mia intenzione. Ma io ti voglio un bene immenso e mi manchi davvero tanto.
Le sarebbe piaciuto udire una risposta che le avrebbe facilitato il compito, ma invece il silenzio che calò fu lungo ed abbastanza teso. Ron non sembrava offeso o indispettito, quanto piuttosto cauto e quasi spaventato. Lei prese un respiro profondo e si impose di pronunciare quella frase fastidiosa ma sincera.
- Lo so che è una cosa orribile da chiedere, veramente da manuale della perfetta stronza, ma....
- ... ma non è che potremmo riprovare ad essere amici? - completò lui, facendola arrossire. Il ragazzo sorrise con una certa mestizia, ma ricoprì la piccola mano dell'amica con la propria, enorme e ruvida, e le fece una smorfia buffa.
- D'accordo, Hermione, mettiamo un bel punto e voltiamo pagina. Ma scordati che farò amicizia con Furetto. Te lo sei scelta e adesso te lo sorbisci tu, tutto intero.
La ragazza sorrise, preferendo non polemizzare in quel frangente tanto delicato. Annuì compunta e si asciugò le guance bagnate.
- Sono felice, Ron. Grazie.
Si sorrisero per un breve istante, poi l'amico si portò una mano sulla nuca e si sollevò, un po' impacciato.
- Adesso torno al Ministero e avviso Harry e Ginny che stai bene. Oggi riposati... poi magari domattina passi per... le formalità, ok?
- Certo che lo farò. Grazie ancora.
Ron si fiondò fuori dalla porta, forse per non farsi scappare qualche parola di troppo, ed Hermione provò con cautela ad alzarsi in piedi. Non riusciva ancora a capacitarsi di star bene e di non avere assolutamente nulla che non andasse... aveva ancora molta paura, come se fosse andato tutto troppo liscio per non ritrovarsi tra i piedi una qualche fregatura. Si diresse verso il bagno e si fissò attentamente allo specchio: era la stessa normalissima ragazza di sempre. Quella che tante volte aveva giudicato duramente per i capelli assurdi, le imperfezioni, i denti grandi, i fianchi pronunciati... quella che si ritrovò ad amare proprio così com'era.
Nel frattempo arrivò un'infermiera che l'aiutò a lavarsi, le fece firmare un paio di fogli e le consegnò una tuta per tornare a casa. Appena risolta ogni formalità, l'unica cosa che Hermione chiese fu un po' di Polvere Volante.
Seppe immediatamente in quale luogo dirigersi, sperando che non ci fossero barriere che le impedissero l'accesso.
Da Draco.

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