Capitolo XIX - Decisioni

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Daphne era inquieta, agitata da parecchi giorni ormai. Non riusciva a togliersi di dosso quella sensazione di nervosismo e ingiustizia avuta dal suo ultimo colloquio con la sorella. Ci aveva rimuginato su, ferita più in profondità di quanto le piacesse ammettere, non solo dalle parole che le aveva rivolto ma anche dal clima di nervosismo che aveva contribuito a stabilire, sia tra loro due che con suo marito. La donna era diventata acida e scostante con Theo, irritata da tutto ciò che lo riguardava, persino dallo sguardo confuso e ferito di quanto rifiutava un suo bacio o una mano a vestirsi; il tarlo del dubbio, già presente in lei ma fino ad allora volutamente ignorato, aveva ormai preso il sopravvento e la corrodeva dall'interno facendole apparire ogni gesto una finzione, ogni parola una recita, ogni mossa un'azione teatrale. Nelle notti era stata divorata dai pensieri più rabbiosi, dalle visioni più cupe, mentre un orrendo sapore acido le invadeva la gola e la costringeva a passeggiare, incapace di rimanere stesa. Tutta quella tensione, quella rabbia repressa non facevano bene al bambino, lo sapeva, ma non gli avrebbe fatto bene nemmeno nascere in una famiglia fondata sulle menzogne e sulla convenienza, con un padre che non le aveva mai parlato chiaro. Tanto valeva che si abituasse.
Quella sera Daphne si stava spazzolando i lunghi capelli biondi di fronte alla specchiera, ormai pronta per andare a dormire, estirpando ogni nodo che incontrava con insolita ferocia, quasi per punirsi di ogni parola non detta, ogni dubbio taciuto, ogni domanda sotterrata, ogni pretesa uccisa tra i denti.
Theodore entrò poco dopo, in punta di piedi, oramai timoroso delle reazioni imprevedibili e subitanee della moglie; non capiva cosa le era accaduto, così tutto d'un tratto, ma aveva intuito che doveva per forza avere a che fare con la scomparsa di Astoria che, tra parentesi, non si era nemmeno presa la briga di ringraziarlo. Che avessero litigato? Probabile, ma Daphne generalmente non era tipo da sfogare la propria rabbia su soggetti innocenti. Perchè lo guardava con quell'astio e lo teneva lontano, perchè con una scusa o con l'altra abbandonava la stanza dove lui entrava, perchè non gli concedeva più la sua compagnia, la sua risata, il suo parere, le sue labbra? Avevano sempre conversato amabilmente dei più disparati argomenti e all'uomo mancava la sua opinione acuta e diretta, le sue battutine sarcastiche, il suo punto di vista spesso originale e del tutto inaspettato.
Le si avvicinò con cautela alle spalle, fissandola attraverso lo specchio. Generalmente non aveva bisogno di chiederglielo, dato che era ormai una piacevole abitudine, ma quella sera dovette a malincuore tendere la mano e porre la domanda ad alta voce.
- Posso? - sussurrò, indicando la spazzola. Daphne diede un ultimo violento strattone sulle punte raccolte in una mano e poi la rimise a posto, veloce.
- Ho finito, non preoccuparti - gli rispose pacata ma lapidaria, dirigendosi verso il letto.
- Aspetta - disse fermo, prendendole un braccio. Lo sguardo che la donna rivolse alla sua mano fu così pieno di disprezzo che Theo fu costretto a ritrarla, ferito.
- Ho sonno, scusami - fece per chiudere il discorso, ma lui riprese coraggio.
- Daphne - cominciò, senza sapere bene cosa dire - vorrei che tu mi spiegassi qual è il problema.
- Non c'è nessun problema - gli rispose, infilandosi sotto le coperte e spegnendo la luce.
- Daphne - ripartì sempre più nervoso, entrando anche lui nel letto - se hai qualcosa da dirmi, dimmelo in faccia e ne discutiamo. Non mi piace il fatto che tu mi porti questo rancore, che mi eviti e che non ti lasci nemmeno sfiorare da me....
- Se hai istinti da soddisfare ti suggerisco di riprendere i contatti con la tua amica babbana, chissà che non ti conceda udienza, in ricordo dei bei vecchi tempi.
Theodore si immobilizzò completamente, con una gamba nel letto e le coperte a mezz'aria, congelato sul posto. La moglie girò appena la testa indietro e lo fissò truce, un sorriso sprezzante sul volto.
- Ops! Abbiamo scovato uno scheletro nell'armadio, a quanto pare. No, mio caro, non sono stupida come pensi, è solo che, devo ammetterlo, mi ha sempre fatto comodo fare l'indiano. Ma ci ho riflettuto a lungo, di recente. Sto per avere un figlio e dovrò insegnargli ad essere un uomo, un uomo onesto, sincero, tutto d'un pezzo, che sappia davvero cosa significano le parole dignità e lealtà. E non posso farlo se per prima non sono sincera con me stessa. Perciò buonanotte, Theodore Nott, e risparmiami la tua pantomima del consorte solerte e preoccupato.
A quel punto Daphne si accomodò meglio sui cuscini e chiuse le palpebre, lasciando Theodore spiazzato e senza fiato, con le lacrime agli occhi.
Bene, uno era messo a posto. Adesso doveva fare quattro chiacchiere con Astoria.

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