Capitolo XXIII - Ricordi (parte seconda)

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Ti hanno insegnato tante cose, Draco Malfoy, e tu le hai imparate tutte, perché sei tu.
Perché sei Purosangue, intelligente, brillante, perché, se la tua condizione di nascita è un primeggiare automatico, ciò non ti esime dal dare il meglio di te stesso in ogni situazione.
La virtù è frutto di appartenenza di ceto più dote naturale opportunamente coltivata.
Tralasciando la sfumatura di significato che si può dare alla parola virtù, questo principio ti è sempre piaciuto. E non ti è stato difficile metterlo in pratica.
Ti hanno insegnato che sei il migliore, e l'hai imparato.
Ti hanno spiegato come e quanto odiare chi è diverso da te, e l'hai appreso.
Ti hanno inculcato la rabbia, il disprezzo, la superiorità, e le hai assimilate.
Ciò che non sai, però, è come fronteggiare l'imprevisto. Su questa strada hai proceduto a tentoni, hai brancolato nel buio alla ricerca di qualcosa di già noto che ti aiutasse.
Non è stato così, quando ti sei ritrovato sul braccio quel mostruoso marchio d'infamia. Perché avresti dovuto essere certo e convinto che il Signore Oscuro era nel
giusto, che tuo padre era nel giusto, che tu non eri sbagliato, e che tutto ciò che facevate era giusto.
Ecco, quello che non sapevi. La giustizia. Cos'è?
Giustizia.
Legittimità.
Ragione o torto.
Bene o male.
Classificazioni concettuali ignote.
Odiosamente, irreparabilmente, inspiegabilmente ignote.
Ti hanno insegnato a fare, non a pensare. Sei stato il giovane burattino dell'ombra.
Hai creduto di avere una tua testa e di usarla a tuo piacimento? Che sciocco, che illuso.
Ma ora, ora ti fissi nudo allo specchio, sei bianco, sei bello, sei quasi perfetto.
Sei un giovane uomo macchiato e per sempre lo sarai.
Il serpente nero sul braccio non si muove più, ma sembra fissarti attraverso la superficie riflettente. Anzi, non fissa te. Guarda in alto. Verso il lato sinistro del tuo petto.
Ti hanno insegnato tanto e tu l'hai applicato meccanicamente, convinto superbamente di non essere manovrato; quando l'hai capito era troppo tardi.
Non ti hanno però insegnato a fronteggiare l'imprevisto.
Cosa fai, quando ti capita qualcosa che non ti aspetti e che nemmeno desideri?
Come fai quando c'è qualcosa che ti mangia il cervello, il torace (non lo sai, se lì c'è un cuore
in quel senso) e i lombi, e tu ti ficcheresti più che volentieri le mani nello sterno per aprirti il due la gabbia toracica ed estirparti quella cosa che vi si annida, se fossi certo che lì si trovi?
Non lo sai. Perché l'imprevisto è ignoto già di per sé, ma per te è un abisso inaffrontabile.
Allora attui il meccanismo più antico del mondo, quello più istintivo e automatico.
Inserisci il problema in uno schema mentale che già conosci.
Quella cosa che hai dentro è qualcosa a cui non hai intenzione di dare un nome.
La sbatti con violenza nella scatola dell'odio e spingi con forza il coperchio, cercando di farcela stare dentro con tutta la violenza della tua disperazione.
Ecco, compiuto il miracolo.
Ecco che sai come fare.
Inglobi l'ignoto nel noto.
L'odio ti pervade di nuovo. Ora sai come affrontare il mostro.

Ma l'unica cosa evidente è che il mostro ha paura.*

Draco Malfoy non era uno che si fosse mai posto il problema su cosa fosse giusto o meno.
La giustizia è roba da Grifondoro.
La giustizia era roba da Mezzosangue, votata alla salvezza del globo terrestre, così fintamente corretta da valutare persino se fosse corretto mangiare o meno una mela a colazione, per non intaccare l'equilibrio vegetale dell'ecosistema inglese. È chiaro, quando hai tutta la popolazione magica dalla tua parte, che ti osanna e stende i tappeti rossi dovunque i tuoi delicati piedini si posino, hai tempo e voglia di metterti a questionare su amenità così ridicole che persino il temibile Barone Sanguinario si sarebbe messo a ridacchiare. Odiosa, ancora così perfettina e secchiona da essere ritornata a scuola, ancora così falsamente integerrima da voler completare il suo percorso di studi, nonostante ci fosse già un ufficio grande e luminoso pronto per lei al Ministero. Lei che, da grande ipocrita, si scherniva dalle lodi, sbuffava quando le altre ragazzine la inseguivano per i corridoi, studiava più di tutti perchè riteneva ingiusto essere favorita solo per il ruolo che aveva ricoperto nella guerra.
Chissà se avrebbe ritenuto altrettanto ingiusto, essere la sua schiava, pulirgli le scarpe, lavargli i vestiti, adorarlo, inchinarsi ai suoi piedi. Se Voldemort avesse vinto – anche se, col senno di poi, Draco si rendeva perfettamente conto di quanto mostruosa sarebbe stata quella possibilità – l'avrebbe pretesa come sua proprietà e le avrebbe fatto pagare tutto, tutta l'arroganza, tutta la giustizia che palesava e sbandierava, tutta la sua luminescenza da santarellina.
Per lui il dilemma era inesistente. Gli piaceva una cosa? Se la prendeva. Voleva fare qualcosa? La faceva. Dall'ultimo anno trascorso aveva imparato che la vita è troppo breve - e in ogni caso la sua condizione sociale troppo elevata - per perdere tempo a soffermarsi su una simile quisquilia. Se Draco Malfoy compiva un'azione era perfettamente ovvio e normale che fosse andata così. E fine della storia.
Ma non avrebbe saputo spiegare altrimenti la sensazione che gli avvolgeva le membra e il sussurro che gli raffreddava le sinapsi, quando Astoria gli parlava o anche semplicemente lo guardava con quelle pupille totalmente appassionate e devote, le pupille di una donna innamorata che non chiedeva nient'altro, se non il privilegio di potergli essere accanto.
Ingiustizia.
Non che Draco ne capisse poi molto, dell'amore; aveva capito di poterlo provare per una ragazza bella e raffinata come lei, la prima volta che l'aveva vista, quantomeno una buona imitazione. Certo, era solo un'amica di famiglia, che andava a trovare lui e sua madre al Manor con la propria di tanto in tanto, ma ormai si stava facendo adulto e doveva iniziare a pensare a quella possibilità; ancora una volta però non era stato un problema che si fosse posto, non aveva mai avuto tempo o voglia sufficiente per mettersi a rifletterci su. Come per moltissime altre cose nel corso della sua esistenza, l'aveva dato per scontato, un qualcosa che prima o poi nella vita di tutti accade, così come era accaduto per i suoi genitori – o almeno lo credeva, o almeno lo sperava, ma era, di nuovo, una questione secondaria: aveva avuto tutto ciò che un bambino purosangue poteva avere e non c'era null'altro che gli interessasse.
In quei mesi in cui tutto sarebbe dovuto tornare ad una quasi normalità, però, inspiegabilmente, inaspettatamente, il problema aveva iniziato a porsi, nella sua testa. Era quasi ridicolo che proprio lui si facesse certe domande, e ancora più ridicola trovava la risposta.
È ingiusto che Astoria non mi ispiri niente, in quel senso.
Non sarebbe dovuto essere automaticamente così? A lei lui piaceva, si vedeva lontano un miglio.
Non avrebbe, quindi, dovuto esserne attratto di rimando? Se non altro per una sottospecie di obbligo, o gratitudine.
Ma la gratitudine è roba da Grifondoro.
La gratitudine era roba da Mezzosangue, che diceva sempre grazie, prego e per favore, che sorrideva ai quattro mocciosi che si picchiavano per raccoglierle un libro caduto, che una volta aveva avuto la sfacciataggine di dirgli grazie quando lui, per puro caso, si era scostato nell'entrare nell'aula e lei l'aveva preso come un gesto di cavalleria. Grazie? Gli aveva detto grazie?
Se non ci fosse stata la McGranitt a pochi passi di distanza l'avrebbe presa a schiaffi, l'avrebbe pestata sul serio, poco importava che fosse una donna, poco importava che il suo sangue putrido gli avrebbe macchiato mani e vestiti: l'avrebbe percossa fino a farla svenire, e poi voleva proprio vedere se fosse stata capace di dirgli ancora grazie.
Draco sapeva riconoscere la bellezza, quando la vedeva, ne era stato sempre circondato – sua madre, i suoi giochi, i suoi vestiti, la sua casa – e quindi si rendeva perfettamente conto di quanto fosse bello essere amati. E gli piaceva, gli piaceva parecchio. La consapevolezza che c'era una donna che sorrideva per lui, che lo spiava di sottecchi, che lo andava a trovare anche nel pieno della tormenta di neve e si lambiccava il cervello per trovare argomenti di conversazione gli riempiva l'animo di orgoglio e soddisfazione.
Ma non di amore.
Non avrebbe dovuto essere una questione meccanica? Non funzionava così? Non era quello l'amore? Come una pozione: mischi gli ingredienti giusti ed esce fuori la perfezione.
Dove stava sbagliando? Perchè questa pozione non gli riusciva? Eppure lui era stato sempre perfetto, in Pozioni.
La perfezione è roba da Grifondoro.
La perfezione era roba da Mezzosangue, che si consumava gli occhi e si piegava la schiena a furia di stare in biblioteca, che mangiava i libri e dava le definizioni uguali parola per parola, che prendeva tutti voti alti e non ne aveva mai abbastanza, voleva essere ancora migliore, ancora più inarrivabile, ancora più irraggiungibile, per poi, Draco ne era certo, poterlo guardare dall'alto in basso e rivolgergli uno di quei suoi sorrisetti da iena e un'occhiata sprezzante, per potersi vendicare di tutti gli insulti subiti, per potergli sbattere in faccia la sua superiorità.
Draco ghignava con una brutta espressione sul viso che gli deformava i lineamenti e lo faceva apparire spaventoso, ogniqualvolta immaginava di riuscire a strapparle quella smorfia arrogante dal volto e sostituirla con una terrorizzata e supplicante, prendendola come la povera sgualdrinella che era, mentre le spalancava le gambe a forza e la possedeva con spinte secche e rozze, con una mano sul suo collo come a strozzarla. No, ne era sicuro, non avrebbe avuto tutta quella boria a infiammarle le iridi, ma solo supplica e tormento, mentre le faceva male, mentre la poneva sotto di sé, come da sempre era e come sempre sarebbe stato, perchè la sua era una superiorità acquisita, non innata, e quindi fasulla, artefatta, costruita, finta come lei era finta tutta, finta nei modi e nelle parole e nei gesti e nella perfezione.
Draco si fissava allo specchio appena uscito dalla doccia.
Il serpente nero sul braccio non si muove più, ma sembra fissarti attraverso la superficie riflettente. Anzi, non fissa te.
Guarda in alto. Verso il lato sinistro del tuo petto.

L'ultimo pensiero coerente che riuscì a formulare fu che stava pensando alla Mezzosangue un po' troppo spesso.

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