Capitolo XLV - In famiglia

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Hermione aveva uno strano modo di dormire, pensò per l'ennesima volta Draco mentre la osservava nella penombra; la stanza era orientata verso est ed i raggi di un sole già accecante l'avrebbero svegliata se lui non avesse avuto la premura di alzarsi e chiudere per bene le pesanti tende azzurre. Si metteva o prona con un braccio piegato sotto il petto e la mano sulla gola - forse abitudine o forse istinto di protezione, non avrebbe saputo dirlo - oppure di fianco, raggomitolata con la testa incassata. In quel momento aveva optato per la prima soluzione, i ricci arruffati sparpagliati sul cuscino, il viso nella sua direzione, il piede destro al di fuori delle lenzuola. Buffissima, almeno durante il sonno scomposta. Decise di alzarsi in silenzio e fare tutto piano, per farla dormire di più: in fondo era ancora molto presto, e d'altronde quella notte l'aveva stancata davvero tanto...
Solo il pensiero bastò a farlo vibrare, già con l'acquolina in bocca, e le si accostò strisciando sul materasso, desideroso di godere della sua espressione quando l'avrebbe destata con un bacio, prepotente quasi quanto la mano che le avrebbe spinto in mezzo alle gambe....
Dovette contenersi e costringersi ad alzarsi, prestando attenzione a non scoprirla anche se comunque, a quanto pareva, non si sarebbe svegliata nemmeno con un colpo di cannone. Ed in fondo non ce n'era motivo: era lui, quello che aveva qualcosa da fare.
Le aveva detto una piccola bugia, la sera prima. Aveva parlato con Potter, ma gli aveva chiesto un favore ben diverso.
- Voglio andare ad Azkaban - aveva esordito, lapidario e conciso, appena richiusasi la porta dell'ufficio alle spalle.
- Era ora che ti decidessi, Malfoy! - aveva berciato l'altro, esibendo una stupida e falsa espressione gioiosa. - Non ti preoccupare, ti tratteranno bene e...
- Non ho voglia di scherzare, idiota, tantomeno con te. Voglio andare a trovare mio padre.
Potter era tornato serio e non aveva fatto altre battutacce. Fortunatamente per lui.
- Perchè?
- Non sono cazzi tuoi - aveva ribattuto immediato ed acido.
- È per quello che ha detto la bestia, vero?
- No! - aveva mentito, sempre più pentito di essersi umiliato in quel modo. - Senti, come non detto - aveva troncato poi, voltandosi.
- Aspetta - lo aveva bloccato Potter. - Tuo padre è uno dei prigionieri di massima sicurezza, e in teoria non gli sarebbero concesse visite.
- Cosa? - aveva esclamato Draco, sconvolto. Un conto era non essere mai voluto andare, ma il fatto che comunque non avrebbe potuto era inconcepibile: non era sempre un essere umano, dannazione? Non aveva nemmeno un minimo diritto fondamentale?
- Non sono d'accordo su questo, ma non ci posso fare niente, Azkaban ha una propria regolamentazione su cui ho ben poca voce in capitolo. Posso provare a fare qualcosa, ma ho bisogno di sapere perché dovrei ficcarmi in un pasticcio simile. Tu credi che tuo padre c'entri in tutta questa faccenda?
Il biondo lo aveva fulminato con lo sguardo, sempre più rabbioso e nervoso, ma aveva compreso che l'Auror meritava una risposta. A giudicare dalla sua faccia preoccupata, si stava mettendo davvero in un bel guaio.
- Forse - aveva concesso. - E comunque è mio padre.
Potter aveva sospirato e aveva afferrato un grosso tomo dalla scrivania, scorrendolo velocemente. Dopo qualche minuto aveva scosso la testa, inquieto.
- Dammi un attimo, fammi parlare con una persona.
Draco era rimasto in piedi vicino alla porta leggendo svogliatamente un libro di diritto preso a caso dallo scaffale, senza la minima intenzione di accomodarsi, mentre Potter parlava attraverso il camino con qualcuno. Non ci aveva messo molto ad ottenere una risposta affermativa.
- D'accordo, Malfoy, è fatta. Domattina alle sei fatti trovare nell'Atrium.
- Le sei? Del mattino?
- Stiamo infrangendo una regola molto severa, e se gli altri detenuti dovessero accorgersene scoppierebbe il caos. Quindi vedi di essere puntuale.
- San Potter che infrange le regole? Non mi dire.
Il sorriso malandrino dell'interpellato e la risposta che gli aveva dato lo avevano fatto, suo malgrado, salire nella sua personale scala di stima.
Un gradino sopra un escremento di topo, s'intende.
- Oh, Malfoy, stanne certo: ne ho infrante molte più di te.
Anche lui avrebbe dovuto essere molto stanco, ma la consapevolezza di ciò che stava per succedere lo elettrizzava ed inquietava. Non vedeva suo padre da quattro lunghi anni ormai; si erano scritti abbastanza spesso ed in ogni lettera gli era parso abbastanza lucido e sereno spiegando che, nonostante le stringenti condizioni di sorveglianza, viveva in un ambiente dignitoso, in cui pulizia e vitto erano accettabili. Tuttavia Draco aveva paura di vederlo cambiato, di quello che avrebbe potuto provare o dire o sentirgli dire, del senso di colpa che sempre un po' gli era filtrato sottopelle e che in quel momento stava riemergendo più forte che mai - anche se non era certo lui, quello che doveva sentirsi più colpevole dei due. Senza contare che stava andando a trovarlo per un preciso motivo: avere delle risposte. Risposte che non voleva affatto, risposte sicuramente scomode e dolorose. Ma Hermione aveva ragione: era tempo di far quadrare il cerchio e chiudere la questione una volta per tutte. Quell'accadimento durante la sua infanzia, la Passaporta, la profanazione di cui aveva parlato l'animale: se tre indizi fanno una prova, allora tutto si chiudeva, ancora una volta, intorno al nome dei Malfoy.
Non riuscì nemmeno a prendere una tazza di caffè, tanto aveva lo stomaco contratto: si limitò a un biglietto ad Hermione, sostenendo di essere dovuto correre in banca, e posarle un bacio sulla spalla nuda, prima di smaterializzarsi. Per la prima volta in vita sua gli dispiacque aver mentito, tanto più che non ce n'era motivo ed anzi lei sarebbe stata molto contenta della sua decisione, ma il giorno prima, sul momento, non aveva saputo che altro dire: era una questione molto più intima e privata di quanto fosse disposto ad ammettere e voleva risolverla autonomamente, da persona adulta.

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