QUARANTADUE

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Domani sera 27 luglio in occasione della messa in onda dell'ultima puntata di Castle, su Twitter vorremmo ricordarlo con #ArrivederciCastle dalle 21:50! Partecipate numerosi!


La casa con l'esterno in mattoni rossi era come era sempre stata. Solo l'erba nel piccolo giardino davanti era più alto di quanto avrebbe dovuto essere. Sua madre non l'avrebbe mai permesso, ci avrebbe pensato da sola se nessuno dello stabile lo avesse fatto. I tre scalini alla fine del breve vialetto erano bianchi, come i corrimano ancora più bianchi, segno che erano stati riverniciati da poco.

Kate era salita su un taxi fermato al volo. Quando il tassista le aveva chiesto dove doveva portarla non aveva saputo cosa rispondere. Il primo istinto era stato quello di dargli l'indirizzo di casa sua, che però non era più sua e non aveva nessuna intenzione di farsi vedere da sua cugina quel giorno. Così disse l'indirizzo dell'unico altro posto che poteva chiamare casa.
Quando arrivò lì suonò più volte ma suo padre evidentemente non era a casa. Si sedette sugli scalini ad aspettarlo, passando il tempo a rifiutare le chiamare di Castle e ad evitare di leggere i suoi messaggi. Era ferita. Non lo voleva vedere, sentire, leggere. Niente. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla piangere per lui questa volta.
In quel palazzo ci abitavano 4 famiglie, da che lei ricordava quando erano andati ad abitare lì erano sempre le stesse. Avevano tutte i figli piccoli all'epoca, erano tutti cresciuti giocando insieme, poi le circostanze della vita, come sempre portano uno qua uno là e le strade si separano, si perdono di vista i primi amici d'infanzia. Adesso loro erano tutti cresciuti, ognuno aveva preso la sua strada, ognuno diversa. Ricordava sempre con affetto, però, il calore discreto che quelle famiglie avevano riversato su lei e suo padre dopo la tragedia di sua madre, di come la signora Jones, più volte l'aveva chiamata la sera preoccupata per Jim quando non trovava mai il fondo delle sue bottiglie abbastanza profondo per nasconderci il dolore. E Kate partiva ovunque si trovasse, appena poteva per raggiungere il padre e condividere il dolore ed ogni volta per lei era solo aggiungerne altro su quello già esistente che non l'avrebbe mai lasciata. Ma non poteva abbandonarlo e non lo aveva fatto. Era la cosa della quale era stata più orgogliosa.
La signora Jones rincasò proprio mentre lei era lì fuori e la invitò più volte ad entrare e ad attendere dentro da lei suo padre, Kate rifiutò sempre molto educatamente e con estremo imbarazzo accettò gli auguri per la sua gravidanza che ormai era chiaramente visibile ma non aveva nessuna intenzione di nasconderla più in nessun modo.

- Katie! Cosa ci fai qui?
- Avevo bisogno di staccare un po'. - Non aveva voglia di fingere che andasse tutto bene
- Potevi chiamarmi, ero allo studio solamente a leggere delle carte sarei venuto prima! Da quanto sei qui?
- Un po'...

Entrarono nel portone e la porta della loro casa era quella sulla sinistra. La targa fuori "Fam. Beckett" era sempre quella in ceramica che aveva fatto fare Johanna ad una fiera tanti anni prima. Lei era sempre lì, con loro, in ogni cosa. Anche dentro a Kate sembrava tutto come lo era sempre stato e si aspettava in ogni momento di vedere sua madre uscire dalla cucina o scendere le scale che conducevano alle loro camere e venire a salutarla. Ogni volta che entrava lì aveva sempre la stessa sensazione e faceva sempre male allo stesso modo. Si chiedeva come suo padre riuscisse a stare lì, molte volte gli aveva consigliato di trasferirsi altrove, in una casa anche più piccola, adatta a lui, più vicina al suo studio, ma non ne aveva mai voluto sentire parlare.
Si sedette su quella poltrona che era solita occupare, come se in quella casa ci fossero sempre delle posizioni ben stabilite che ancora rispettavano. E così la poltrona in fondo era la sua e nel divano il posto alla sua destra era quello di Johanna e quello più lontano di Jim. E proprio lì si sedette, dopo che aveva portato a Kate un bicchiere d'acqua, lasciando quel posto tra loro vuoto, un'assenza che aveva tutto il sapore di una presenza ancora molto forte tra loro e mai del tutto metabolizzata.
- Cosa è successo Katie?
La domanda di Jim aprì le dighe emotive di Kate che si lasciò andare ad una ricostruzione più o meno fedele di quanto accaduto in quella giornata dalla chiacchierata con Martha all'ultima frase di Rick. Suo padre sapeva bene come lei odiasse le frasi di circostanza ed il pietismo.
- Alexis ti vuole bene Kate e per Rick sei parte della sua famiglia anche da prima.
Non la fece replicare, sapeva che avrebbe cominciato con i "ma" e i "però". Non ne aveva bisogno adesso, quello che invece necessitava era mangiare qualcosa visto che dalla mattina non aveva più toccato cibo. La invitò ad andarsi a fare una doccia e la chiamò quando era pronto. Non si aspettava la visita della figlia e nella sua dispensa da uomo solo che spesso mangiava fuori casa non c'erano poi molte cose. Aveva una zuppa di pollo preparata il giorno prima e mise nel microonde un pasticcio di patate e salsiccia, certo non l'ideale per la dieta di una donna incinta ma almeno era qualcosa di sostanzioso. Apparecchiò la tavola semplicemente, cercando una seconda tovaglietta per lei, erano anni che non mangiavano insieme in quella casa, avevano sempre evitato, per non dover convivere con l'unico posto vuoto, e Jim non era solito ricevere visite, mangiava sempre solo quando era a casa ed i suoi servizi di piatti e posate potevano ridursi anche a "per uno".
Mise sul tavolo quanto preparato e poi la chiamò. Kate entrò titubante in quella stanza, ricordandosi proprio perché erano anni che non mangiava lì con suo padre e preferivano sempre incontrarsi in qualche ristorante o da lei. Quella tavola apparecchiata per due era una cosa che non era mai pronta a vedere e posò lo sguardo a lungo sulla sedia che sarebbe rimasta vuota.
- Devi mangiare Katie. - Jim prevenne ogni sua obiezione per evitare la cena. Consumarono il pasto in silenzio, con l'unico rumore delle posate che tintinnavano sui piatti.
Quando finirono di mangiare, Jim si alzò per sparecchiare, accarezzò la nuca di Kate in un gesto affettuoso di quelli che lui raramente concedeva, era sempre lei la più espansiva tra i due, e piegandosi in avanti per prendere il suo piatto le sussurrò.
- Questa sera siamo in tre, non devi essere triste. Non devi vivere solo e sempre nel passato Kate facendoti del mare, pensa al tuo futuro, pensa a lei.
Rimase qualche istante a metabolizzare le parole di suo padre, poi andò nella sua vecchia camera. Si sentiva stanca, provata più a livello mentale che fisico. Non doveva stare così, sapeva che non faceva bene né a lei né alla sua bambina. A lei, come l'aveva chiamata suo padre, senza usare altri sostantivi che sarebbero stati eccessivamente difficili da essere pronunciati da lui in quel momento. Doveva pensare a lei, solo a lei, ma era così difficile perchè pensare a lei voleva dire pensare subito a suo padre, a Castle.
La sua camera era rimasta uguale. Gli stessi pupazzi sulle mensole ad intervallare pile di libri, le stesse foto tenute con delle puntine sul muro, tanti volti di amici che non sapeva più che fine avessero fatto, che guardava con nostalgia per la spensieratezza di quegli anni, gli anni del prima quel nove gennaio. Aprì i cassetti della scrivania e trovò ancora lì i fogli con i suoi appunti, riconoscendo la sua scrittura più adolescenziale e più tondeggiante, più morbida, anche quella non ancora indurita dalla vita. "Mi piace la tua calligrafia Beckett" l'immagine di Castle davanti alla sua lavagna, al distretto, che esaminava quanto aveva scritto si palesò nella sua mente strappandole un sorriso. Chiuse il cassetto senza voler leggere i suoi ricordi. Cercò nell'armadio una maglietta abbastanza grande per poterci dormire comoda. Ne trovò una un po' deforme di quelle che andavano di moda nei primi anni 90. Quando la indossò il suo profumo l'aveva destabilizzata: sapeva di fresco, di deodorante lavanda, non aveva il profumo intenso e confortevole di Castle.
Anche il letto ora le sembrava terribilmente piccolo e scomodo e la stanza troppo calda rispetto all'ambiente condizionato del loft che solo ora apprezzava particolarmente. Non aveva mai sofferto il caldo, ma con la gravidanza era diventata insofferente. Si girò e rigirò più volte. Afferrò infine il suo elefante di peluche, quello che le aveva regalato sua madre, morbido con le orecchie enormi. Era sempre stato il suo preferito e cercò lì un po' di conforto.

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