TRENTOTTO

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Rick era stato veramente così importante nella sua vita?

Quel dubbio le martellava le tempie da quando si era insinuato in lei. Quale erano stati i suoi reali sentimenti per Castle? Tutti parlavano di loro come di una grande storia d'amore, come due anime gemelle che non potevano essere separate, disposti a dare la vita uno per l'altra. Come si inseriva in tutto questo la sua decisione di andare a lavorare in un'altra città senza dirgli nulla?
Rick, quando l'aveva raggiunta in camera, sembrava quasi aver letto i suoi dubbi e le sue paure.
- Eravamo agli inizi Kate, avevamo entrambi paura di quello che saremmo potuti diventare. Era tutto nuovo per tutti e due. Io non avevo mai provato in vita mia qualcosa di simile, per nessuna. E per te... beh, per quello che mi hai detto era la prima volta che ti sentivi pronta e libera di amare dopo che era caduto il tuo muro.
Lei non gli rispose, si limitò ad annuire. Rick forse capì i suoi turbamenti e non le disse altro. Le diede solo un bacio su una guancia sussurrandole prima di mettersi a dormire che lui non aveva mai dubitato dei suoi sentimenti.
A Kate sarebbe piaciuto veramente tanto avere la sua stessa sicurezza, in lei ed in loro. Ma in quel momento non ce l'aveva. Non sapeva cosa erano stati, non sapeva lei cosa era stata e non riusciva a riconoscere quello che tutti dicevano che fosse nelle sue azioni. Avrebbe voluto parlare con se stessa e chiedersi delle spiegazioni per quel comportamento. Aveva sofferto per colpa di Sorenson, molto. Perché doveva far scontare la stessa cosa all'uomo che amava?
Avrebbe voluto addormentarsi con quelle domande, ma la realtà fu che non dormì per niente. Accese la luce dell'abat-jour regolando l'intensità mettendola al minimo. Castle dormiva, girato verso di lei. Rimase un po' a guardare il suo profilo da bambino cresciuto che dormiva tranquillo. Non pensava mai che si sarebbe potuta innamorare di una persona così, i suoi precedenti fidanzati erano sempre stati molto diversi, sia fisicamente che di carattere, ed anche quel Josh che aveva conosciuto sembrava un tipo completamente diverso da lui. Forse però era proprio per questo che era la persona che aveva deciso di sposare. Non aveva il fisico da sportivo né il volto da modello, però adorava le sue grandi spalle e le sue braccia forti, quel petto dove le piaceva dormire; si sarebbe persa nei suoi occhi blu che diventavano scuri quando il desiderio si impossessava di lui, le sue labbra morbide che adorava mordere tra un bacio e l'altro. Nessuno come lui la sapeva far ridere, sentire amata, coccolata e desiderata come aveva fatto lui. Era questo essere innamorati? Era questo che provava per lui anche prima?
Si mise al suo fianco, erano così tanto vicini che i loro respiri potevano confondersi. Aveva una tale confusione dentro di se che non sapeva cosa fare, ogni passo le sembrava sbagliato. Forse non riusciva a dirgli che lo amava perché c'era qualcosa dentro di se che la frenava volutamente, che la stava mettendo in guardia da se stessa?
Passò tutta la notte così, vicino a lui, appoggiandosi alla sua schiena quando si girava dall'altra parte, lasciandosi abbracciare quando si voltava ancora. Castle era tremendamente irrequieto quando dormiva, al contrario suo che poteva addormentarsi tra le sue braccia e svegliarsi così la mattina dopo. Kate sperava che quel contatto continuo, costante, con lui riuscisse a trasmetterle un po' di tranquillità e qualche risposta. Non trovò né una né l'altra cosa. E quando le prime luci dell'alba filtravano dalle tende, si addormentò esausta su di lui, ignaro di tutta la sua battaglia interiore.
Rick lasciò andare Kate al distretto solo dopo essersi assicurato che avesse fatto una ricca e nutriente colazione con uova, bacon, toast, frutta e una brioche, perché così, le disse lui, anche se si fosse di nuovo dimenticata del pranzo, avrebbe avuto abbastanza energia per non arrivare distrutta all'ora di cena. Appena fu fuori dal loft la prima cosa che fece fu chiamare il dottor Burke: gli lasciò un messaggio sulla segreteria telefonica per chiedergli un appuntamento, il prima possibile. Il dottore la richiamò a metà mattinata, dandole appuntamento per il pomeriggio.
Continuò a studiare i suoi vecchi casi sentendo una morsa allo stomaco quando dovette ripercorrere il caso di quei due bambini scambiati all'ospedale perché il padre non voleva un figlio malato. Dovette alzarsi ed andare in bagno, in preda ad una crisi di pianto che l'aveva colpita mentre leggeva ogni riga di quel rapporto. Pensava alla disperazione di quella madre che aveva pianto la morte di un figlio che credeva suo, a quella madre che non aveva mai potuto piangere la morte di un figlio che non sapeva essere suo, pensava alle due famiglie distrutte, ma sopratutto pensava alla sua bambina. Tra le mille paure che la tormentavano sul diventare madre, non aveva mai pensato al fatto che sua figlia potesse nascere con una qualche malattia incurabile e quella storia le aveva spalancato un nuovo mondo di paure. La sua bambina cresceva, stava bene le avevano detto, era tutto apposto, ma probabilmente lo avevano detto anche alle altre madri e lei non aveva fatto nessun test specifico, glielo avevano sconsigliato, vista la sua situazione quello che aveva passato dopo la sparatoria, il rischio di un aborto spontaneo sarebbe stato più alto del normale. Avrebbe voluto Castle lì con lei, in quel momento, ad abbracciarla e a dirle che sarebbe andato tutto bene, che la loro bambina era sana, che non doveva preoccuparsi. E lei gli avrebbe creduto, come sempre, anche se lo avrebbe un po' maltrattato. Fece un respiro profondo. Ce la doveva fare. Ce la doveva fare da sola. Uscì dal bagno e si sciacquò il viso. Si guardò allo specchio mentre si tamponava con un asciugamano e pensò di avere un aspetto orribile.
Appena mise piede nel corridoio del distretto sentì il familiare suono dell'ascensore giunto al piano e le sue porte aprirsi. Si voltò istintivamente a vedere chi fosse e scosse la testa nel vedere che era proprio Castle, con i soliti due caffè ed un sacchetto di carta.
- Non avevamo detto che oggi non saresti passato? - Gli chiese mettendosi subito sulla difensiva senza motivo: aveva sperato di vederlo lì fino a pochi minuti prima, ma sapeva che non sarebbe mai potuta essere abbastanza forte emotivamente fino a quando c'era lui intorno a sorreggerla per ogni cosa.
- Ho sentito l'irrefrenabile desiderio di vederti e portarti un caffè, però una volta eri più contenta quando te lo portavo. - Rick a seguiva passo passo fino alla scrivania.
- Perché una volta mi portavi un vero caffè, non un decaffeinato, Castle!
- Però a quanto pare ho fatto bene a passare, a giudicare dalla tua faccia, che succede? Stai bene? - Era già entrato nella modalità "Sono Richard Castle e risolverò ogni problema che ti affligge", ma da quanto erano rossi i suoi occhi, capire che aveva pianto sarebbe stato semplice anche per qualcuno con meno spirito di osservazione di Castle. Beckett beveva il caffè e preferì non rispondergli, ma Rick, guardando il fascicolo sulla sua scrivania, ci mise molto poco a capire cosa non andava. Appoggiò il suo caffè ed il sacchetto sul ripiano, prese anche anche il bicchiere dalle mani di Kate e lo mise lì vicino.
- Ne vuoi parlare? - Le chiese sottovoce.
- Non credo sia il momento adatto e nemmeno il luogo.
- Ok. Lì ci sono anche dei muffin, così se a te o a lei prende voglia di qualcosa di dolce non devi prendere qualcosa di schifoso da quella perfida macchinetta nella sala relax.
- Grazie. - Kate riprese il suo caffè, tornando a sorseggiarlo e Rick fece lo stesso con il suo.
- Ryan e Esposito? Non ci sono?
- Sono andati prendere un sospettato. - Kate aprì la bocca come per parlare ancora, poi ci ripensò lasciando morire quell'idea, bevendo un altro sorso di caffè.
- Spara, in senso metaforico, dico. Cosa vuoi dirmi?
- La Gates, ieri, mi ha chiesto se volevo fare i test per tornare a lavoro. Non come capitano, non me la sentirei e non sarei in grado, ma per dare una mano, come detective, anche part time. Potrei sempre partecipare alle indagini da qui, senza fare i rilievi sul campo, inseguimenti, sparatorie...
- Niente parte divertente, insomma - Disse Castle sorridendo, facendo sorridere anche Kate
- Già, niente parte divertente, però potrei sempre occuparmi degli interrogatori dei sospettati, parlare con i testimoni... Tu che ne pensi?
- Ti piacerebbe farlo? Ti senti pronta? Se la risposta è sì e se mi prometti che mai, per nessun motivo parteciperai a qualcosa di pericoloso, per me va bene qualsiasi cosa ti renda felice.
Il volto di Kate si aprì in un sorriso che era la risposta più eloquente.
- Senti Castle... questa sera ho un appuntamento da Burke. Volevo parlargli un po' di queste ultime settimane, degli attacchi di panico e anche della sua valutazione per tornare a lavoro, a questo punto.
- Ok, se vuoi ti passo a prendere quando hai finito, andiamo a mangiare fuori, che ne pensi?
- Perfetto.
- Sì, perfetto. Ti va di accompagnarmi giù? - Quella di Castle era una richiesta insolita, ma Kate accettò, seguendolo in ascensore. Appena le porte si chiusero, per quel breve tragitto, Rick la strinse tra le sue braccia.
- Andrà tutto bene Beckett. La nostra bambina starà bene.
Kate si lasciò cullare per quei pochi istanti dal suo abbraccio e quando si aprirono le porte lui non la lasciò nemmeno scendere, le diede un bacio veloce e se ne andò.

Always, AgainWhere stories live. Discover now