CINQUANTA

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Kate aspettava che le venisse concesso di tornare a lavorare. Avrebbe visto Burke il giorno seguente e le avrebbe dato, con tutta probabilità, il suo benestare. Aveva ormai esaminato gran parte dei suoi vecchi casi non voleva vederne altri. Parlò con la Gates dicendole che sarebbe tornata a portarle la sua valutazione nei giorni successivi.
Decise di chiamare Lanie, per scusarsi per come si era comportata il giorno precedente e per ringraziarla, perchè grazie alla loro chiacchierata aveva finalmente capito ancora di più cosa volesse nella sua vita. Lanie non mancò di sottolinearle ancora quanto stesse sbagliando, ma le disse che l'unico modo che aveva per farsi perdonare era accompagnarla quella sera stessa ad un evento che si sarebbe tenuto in un famoso hotel di New York. Kate messa alle strette accettò e decise che quella mattina poteva essere la giornata giusta per uscire e fare un po' di shopping. Era una di quelle rare giornate in cui sentiva il brio della vita scorrerle nelle vene. Passò molto tempo girando tra i reparti di Macy's. Pensò che Castle non avrebbe approvato la sua scelta, avrebbe preferito vederla scegliere i suoi vestiti in esclusive boutique e negozi di alta moda, ma lei preferiva così. Si divertì a provare tanti abiti diversi non pensando che anche per le donne incinte potesse esserci una così grande scelta di vestiti. Scelse molte più cose di quante le potessero realmente servire e trovò anche un bell'abito per quella sera, elegante ma non troppo impegnativo. Passò anche nel reparto bambini e non resistette a prendere anche qualcosa per la sua bimba, lasciandosi coccolare da commesse molto zelanti che le facevano vedere abiti di tutti i tipi, dai più eleganti ai più divertenti, e si stupì del fatto che si stava divertendo molto di più a cercare vestiti per la sua piccola che per se stessa. Alla fine scelte una tutina rosa con una scritta glitterata "Daddy's Little Princess", l'avrebbe voluta dare a Castle una volta tornato.
Andò con tutti i suoi acquisti alla cassa, diede la sua carta di credito e al momento di pagare rimase bloccata. Non conosceva il suo PIN. La cassiera la guardò con aria interrogativa, mentre lei non si mosse, non fece nulla. Immobile. Tutta l'euforia di quella mattinata scomparve immediatamente da se, le scivolò via abbandonandola. Si sentì spoglia. La cassiera la chiamò ancora, lei la lasciò tutto e senza nemmeno riprendere la sua carta corse via.
Si sentì afferrare per un braccio mentre cercava di allontanarsi da lì, dalla vergogna e da quel passato che voleva lasciarsi alle spalle e che lei voleva dimenticarsi. Ma lui era lì, strisciava infido e si inseriva dentro di se rovinando la sua vita ogni volta che pensava di essere abbastanza forte da ricominciare, facendo crollare le sue fragili certezze che faticosamente aveva costruito. Voleva andarsene il più lontano possibile ma una mano salda la teneva ferma. Si voltò a guardare cosa c'era oltre quelle dita che stringevano senza grazia il suo braccio, divincolandosi per far allenare la presa.
- Deve venire con me, signora. - le disse l'uomo in divisa, calcando la voce sull'ultima parola quasi volesse schernirla.
- Non ho fatto nulla. Mi lasci subito.
- Questo lo dobbiamo ancora appurare. Ora mi segua - le lasciò il braccio parandosi davanti a lei e indicandole la strada. Lei volle essere accondiscendente e lo seguì, sperando di mettere presto fine a quel malinteso. L'uomo le afferrò la borsa prima che lei potesse opporsi.
- Sono il Capitano Beckett del dodicesimo distretto. Possiamo farla finita qui. È stato un malinteso.
- Certo, certo, come no. "Capitano" - le disse sorridendo sulla sua carica. - dov'è il suo distintivo allora?
- Non ce l'ho...
- Allora io sono il capo della polizia. Mi segua e finiamo questa scena! - la incalzò ad andare con lui - Sai quante ne ho viste come te? Bel visino, modi educati, ben vestite. Vengono rubano e spariscono. Non mi lascio impressionare. Però ancora nessuna come scusa si era spacciata per Capitano della polizia! Bella scusa! Che fantasia!
La stanza dove venne portata era poco più grande di un ripostiglio. Un tavolo in fondo appoggiato al muro e due sedie erano l'unico mobilio. La guardia che aveva la sua borsa le intimò di sedersi con fare autoritario mentre capovolgeva la borsa e tutto il suo contenuto sul tavolo. Controllò anche all'interno che non avesse doppio fondo o altre tasche e ributtò tutto dentro in malo modo. Kate era convinta che quell'umiliante situazione fosse finita, invece l'uomo la fece alzare e le disse che doveva perquisirla. Kate fece un passo indietro per mettere distanza tra di loro fino a quando le spalle non toccarono la parete. Non sapeva se era stato quel suo comportamento a farla sembrare ancora più colpevole agli occhi dell'uomo o solo la sua voglia di esercitare il proprio potere, ma un ghigno beffardo si disegnò sul volto di lui mentre allungava una mano verso di lei. Kate lo bloccò con forza, più di quanta lui si aspettasse.
- Tu non mi metterai le mani addosso ed io ora me ne vado. - Kate aveva ripreso piena coscienza di se, ritrovando il suo piglio autoritario non intenzionata a farsi mettere i piedi in testa da nessuno. L'uomo con uno strattone si liberò dalla sua presa e le ostruì il passaggio per uscire.
- Non vai proprio da nessuna parte fino a quando non ho controllato che non abbia rubato nulla.
- Hai già perquisito la borsa, non ho nulla.
- Non ho visto se nascondi qualcosa addosso e se quella pancia è finta o vera.
Provò a toccarla di nuovo e lei di nuovo lo bloccò.
- Ti ho già detto che non mi toccherai. Ora fammi andare o passerai le ore peggiori della tua vita con i miei agenti.
- Certo come no, Capitano. - disse lui ironico - ed ora mi lasci lei il braccio o la denuncio anche per questo.
Chiamò un certo John con la ricetrasmittente dicendo di aiutarlo che aveva un problema. Un paio di minuti dopo entrò un poliziotto.
L'uomo si salutò con la guardia mostrando che si conoscevano bene, con un spiccato cameratismo lanciandosi occhiate complici. Anche l'agente insistette perchè si lasciasse perquisire e Beckett ancora una reagì con forza minacciando quel John per quello che stava facendo in modo assolutamente arbitrario e senza motivazioni, spiegandogli ancora una volta chi fosse.
Ridendo L'agente Strifford come lesse sulla sua divisa, le disse che se voleva tanto andare al dodicesimo ce l'avrebbe condotta lui. Così presero la sua borsa e la scortarono fino all'uscita facendola salire sull'auto di servizio dietro vicino ad un altro agente. Arrivati davanti all'entrata del distretto la fecero uscire tenendola sottobraccio per portarla di sopra. Aspettò pazientemente l'ascensore sperando che quell'assurda situazione finisse presto. L'agente alla guardiola la salutò lasciando spiazzato sia Strifford che la collega e Beckett li guardò questa volta lei con un ghigno, quando le porte si aprirono, i due la presero sottobraccio di nuovo per farla entrare e quasi si scontrarono con Ryan ed Esposito che stavano uscendo per andare sulla scena di un omicidio.
- Beckett! Che ci fai qui? Avevi detto che non venivi oggi? - le chiese l'irlandese stupito non accorgendosi della situazione mentre Javier aveva appena fulminato con lo sguardo l'agente che teneva troppo stretto il braccio di Kate.
- Credo che i due agenti vogliano portarmi alla sezione rapine per arrestarmi. - disse lei ridendo
- Stai scherzando? - Chiese Kevin stupito
- No. Ho avuto un problema con la carta di credito, non so più il mio pin e mi hanno preso per una ladra. Ho rifiutato di farmi perquisire ed eccomi qui.
Esposito gli stava letteralmente ringhiando contro.
- Lasciate subito il Capitano Beckett o sarà peggio per voi. - intimò l'ispanico. I due lasciarono le braccia di Beckett, le restituirono la borsa e fecero un passo indietro.
Kevin voleva accompagnarla a casa, ma lei fu irremovibile, dovevano andare da quel cadavere che aspettava giustizia, lei avrebbe potuto andare a casa in taxi. Non ascoltò nemmeno le scuse dei due agenti, abbastanza terrorizzati dalle minacce di Esposito di rendergli la vita impossibile al distretto.

Always, AgainWhere stories live. Discover now