Capitolo 48

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Kathrine

È mezzanotte e non faccio altro che camminare avanti e indietro. Dan è corso a svegliare tutti quanti, ordinando di andare in sala da pranzo senza fare domande. Quando tutti siamo presenti nella stanza, ci comunica  che dobbiamo agire questa notte stessa, senza altre possibilità. Mio fratello e Justin provano a convincerlo del fatto che attaccare così senza preavviso decidendo da un momento all'altro non è una cosa saggia, ma secondo Dan questa era la notte perfetta, quindi sono qui davanti il furgone con un'ansia che pervade il mio corpo, facendomi tremare, Justin vedendomi in questo stato si avvicina e mi abbraccia dicendomi di stare tranquilla. Saliamo sul furgone pronti a partire.
–Tieni, ti servirà- dice Dan porgendomi una pistola. Apro bocca per rispondere, ma poi la richiudo, non sapendo cosa dire.
Annuisco prendendo in mano l'arma per poi infilarla nella tasca posteriore dei pantaloni. Hanno un'espressione così diversa da quella che hanno normalmente in viso, in quei volti riconoscevo ciò che tutti temevano. Una calma apparente, lo sguardo freddo, vuoto e concentrato, i muscoli tesi, sono tutte le cose che caratterizzano un criminale e un assassino nel momento in cui realizza di dover abbandonare la frivolezza dell'essere giovane e il divertimento, cosa che noi sappiamo fare molto bene ormai.

Più ci avviciniamo a quella casa, più sento la mia ansia crescere insieme alle domande nella mia testa, tutte senza risposta. Qualcuno di noi morirà? Riuscirò a proteggere Justin come mi ero promessa tempo fa?  E se avessi perso mio fratello? O Rebecca, o Jake ? Più penso più sento la testa scoppiare.
Quando Dan ferma il furgone scendo e mi guado intorno, cercando di orientarmi.
-Bene, siamo arrivati ragazzi- dice mio fratello.
-Allora ho bisogno che due di voi vadano a vedere se là dentro ci sono i cinque scagnozzi di Jason, chi si propone?- chiede Justin.
Alla fine si propongono Chaz e Jaden che entrano ed escono dalla casa senza alcun problema, dicendo che tutti dormono e da un post it sul frigo di Jason hanno capito che sarebbe ritornato a momenti.
-Perfetto, Marco premi il bottone- dice Max deciso e in pochi minuti vediamo la casa andare a fuoco e sentiamo le urla degli scagnozzi.
Dopo mezz'ora vediamo Jason arrivare e scendere con disinvoltura dalla sua auto, appena però si rende conto di ciò che è successo si guarda intorno e non vedendoci scappa in mezzo al bosco.
-Allora Marco, Elis, Sara, Marie e Giulia, perlustrate la casa per vedere se sono tutti morti, in caso contrario li uccidete- dice Justin con uno sguardo freddo.
-I gruppi per andare a cercare Jason sono: io e Justin, Rebecca e Clara, Kathrine e Jake- dice Max.
-Andrà tutto bene, non permetterò che ti facciano del male- mormora Justin al mio orecchio, facendomi sorridere.
Tutti i gruppi iniziano a disperdersi nel bosco. Quando sento una pacca sulla spalla alzo lo sguardo, per poi vedere Jake sorridente come sempre anche se riesco a percepire la sua preoccupazione. Tento un sorriso che esce un po' più come una smorfia.
-Sei preoccupata- constata annuendo mentre continuiamo a camminare in mezzo agli alberi, evitando di inciampare. Annuisco.
–Tu non lo sei?- domando lanciandogli un rapido sguardo.
–Non troppo, penso sia l'abitudine ormai- risponde con aria sconsolata. Sembra stanco, e non solo per la giornata. Stanco di tutto, di quella vita, dell'uccidere e del fare del male alle persone, anche se lo meritavano, stanco di rubare, stanco e basta.

–Perché hai scelto questa vita?- chiedo dato che Jake è la persona più buona ed altruista che io conosca, sempre solare e in vena di scherzare, non riesco a trovare un motivo per cui una persona così abbia dovuto scegliere di rovinarsi a tal punto.

-Ero sempre stato il figlio perfetto per mio padre. Avevo sedici anni e non andavo mai ad una festa, non bevevo e non fumavo, prendevo ottimi voti, ma quando mio padre lasciò morire mia madre, decisi di diventare l'esatto opposto. Iniziai tutto per ripicca, la sera uscivo e mi ubriacavo per tornare la mattina dopo, facevo molte assenze a scuola, saltavo le lezioni di chitarra e di francese, e vedevo mio padre sempre più scontento, ma non era abbastanza. Un giorno mi spinsi oltre. Andai nella periferia e vidi un gruppo di ragazzi. Avevano all'incirca la mia età. Mi avvicinai e loro si girarono, guardandomi quasi divertiti. Uno di loro si presentò, dicendo di chiamarsi Max. Si vedeva che tuo fratello ci sapeva fare, aveva uno sguardo attento e non scherzo dicendo che chiunque sarebbe stato terrorizzato solo dall'idea di provare a farsi beffe di lui, mi chiese se mi serviva qualcosa, e io gli risposi che non ero venuto per la droga, ma per entrare nel giro. Lui si mise a ridere, ma quando vide che ero serio e determinato decise di mettermi alla prova. Se in una settimana avessi venduto tutto ciò che mi aveva dato sarei stato dentro, e così fu. Lì le cose iniziarono a farsi serie. Persi tutte le mie amicizie, i genitori dei miei amici cominciarono a sospettare qualcosa e proibirono ai loro figli di vedermi, di chiamarmi, di parlarmi. Mio padre sembrava diventare sempre più scontento, la sera lo vedevo piangere, ed io ne ero felice. Ero felice perché stava provando lo stesso dolore che aveva dovuto sopportare mia madre per colpa sua. Un giorno arrivò però al limite, e si tolse la vita. Ero rimasto da solo, non avevo nessun amico e in quel momento cominciai a realizzare di aver sbagliato. Però ciò che è fatto è fatto. Questa è la mia storia, e lo so, fa davvero schifo- dice calciando un sasso.

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