Capitolo 5 pt. 2 - Il destino delle guardiane

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DIANA

Quando più tardi riuscirono ad allenarsi come il professore aveva programmato, Diana pensò che l'uomo avesse deciso di punire la sfrontatezza di Katherine, con una dose di allenamento ancora più faticoso di quello della settimana precedente.

«Ci sta addestrando come se dovessimo entrare nei Marines!» esordì Diana, priva di fiato. Si era accasciata a terra, portandosi una borraccia di acqua alla bocca, per bere di corsa come se non toccasse un goccio d'acqua da una settimana.

«Bevi piano o ti verrà mal di pancia» disse Sophie, con il suo istinto materno.

Chiaramente Diana non l'ascoltò, perché si sbrigò a finire l'acqua nella bottiglia restando ancora assetata.

Più tardi, Diana ricevette un messaggio dalla signora Torres nel quale la informava che suo padre la stava cercando, così appena ebbe il tempo, gli fece una telefonata veloce.

«Allora, come procede?» gli domandò la voce di Thomas Cross.

«Abbastanza bene, sta venendo fuori uno spettacolo molto carino» tagliò corto Diana. Sebbene le pesasse mentire al padre, trovava che la punizione delle bugie non fosse abbastanza.

Da quando si era risposato, in seguito alla morte di sua madre, sentiva che era stata messa da parte. Nonostante ciò, Thomas Cross tentava di sopperire a ciò facendo vivere sua figlia sotto una campana di vetro, per paura di perderla come era successo con la sua prima moglie. Sebbene Diana sapesse che lo faceva solo per paura, trovava ingiusto che le venissero applicate così tante restrizioni.

Sapeva che suo padre le voleva bene, ma peccava di buon senso, delle volte. Troppo accecato dalla paura, per guardare oltre il suo naso e riuscire a vedere che sua figlia stava soffrendo come lui.

«Allora non ti voglio disturbare ulteriormente. Non fare tanto tardi

«No, figurati. In realtà stavo per crollare, per cui... buonanotte, baba» intendeva essere tranquilla e serena, ma le uscì fuori un tono risentito.

«Buonanotte, maua.»

Era da tanto che non usava quel nomignolo swahili, pensò Diana. Era solita chiamarla così sua madre, («il suo fiorellino» così le diceva quando era piccola), e da quando era morta suo padre la chiamava sempre per nome, o il più delle volte non la chiamava affatto, iniziava semplicemente la conversazione. E questo le faceva male.

Si addormentò con un nodo in gola che riuscì a sciogliere solo una volta che il sonno ebbe la meglio. Sapeva che avrebbe dovuto affrontare suo padre, un giorno o l'altro, ma il pensiero la terrorizzava più della prospettiva di dover avere a che fare con l'esercito del rejhyli di Lafyen.

Il sabato mattina, la sveglia suonò alle cinque e mezza e Diana dovette fare un notevole sforzo per alzarsi da quel letto che sembrava risucchiarla come le sabbie mobili. Dopo una veloce colazione preparata dalla cuoca Henriette, iniziarono una nuova sessione di allenamento intensivo, in cui si fermarono solo durante l'ora di pranzo, per poi riprendere nel primo pomeriggio, fino all'ora di cena.

Arrivò sera che Diana aveva le mani piene di calli, per quanto avesse tenuto in mano la spada.

Durante la cena, il professor Davis non mancò di elencare i difetti sui quali ognuna di loro avrebbe dovuto migliorare. «Dalla prossima settimana inizieremo gli allenamenti individuali. Ciascuna di voi si specializzerà sull'uso di un'arma. Tornerà anche Ryan, per cui lascerò che sia lui ad addestrarvi» disse, come per congedarle.

«Un momento» aggiunse Katherine, mentre il professor Davis si stava alzando dalla sedia. «Aveva promesso di raccontarci tutto ad allenamenti finiti. Non ce ne andremo da qui finché non ci dirà quello che dobbiamo sapere.»

IL RISVEGLIO DELLE GUARDIANEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora