58. INDAGINE

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Guidai lungo la strada illuminata dai raggi argentei della luna, il cuore in gola. Era stato mio padre a insistere affinché prendessi la patente nonostante la mia malattia. Sosteneva che fosse molto utile. Io non avevo mai amato quel mostro metallico che si muoveva sotto il mio comando. Insomma, non mi piaceva guidare. Alla radio un astronomo stava parlando del grande evento che si sarebbe verificato quella notte.

-Un fenomeno rarissimo- stava spiegando –sarà una vera pioggia di stelle cadenti-

Avevo ghiaccio nei polmoni, nello stomaco, praticamente ovunque. La testa mi girava. Mi accorsi che ero vicina alla casa di Lauren solo quando mancava qualche metro. Premetti il freno con forza. L'auto barcollò prima che riuscissi a farla accostare al marciapiede. Sbattei con il petto contro il volante e un dolore acuto mi percorse. Probabilmente mi sarebbe rimasto il livido. Deglutii, il cuore in gola. Restai un attimo immobile, poi mi costrinsi ad aprire la portiera. Scesi e mi diressi verso la casa, tutto il corpo che mi tremava.

La stanza di Lauren era identica all'ultima volta in cui ero stata lì. Non appena entrai fui colpita dallo sconforto. Fuori era buio e la luce dei lampioni filtrava attraverso la finestra. Sentii la gola stringersi in una morsa. Non sapevo dove guardare, non sapevo cosa fare. Mi sentivo sconfitta. Sentii il cuore aumentare i battiti, quindi andai alla scrivania e mi lasciai cadere sulla sedia, che cigolò sotto il mio peso. Lauren era lì l'ultima volta in cui l'avevo vista. Aprii il computer. Lo schermo era nero, rifletteva me, parte dello schienale della sedia e l'armadio. Come quando da bambina mi nascondevo nell'armadio. Il pensiero mi colpì come un pugno. Certo, l'armadio era un ottimo nascondiglio. Mi voltai, il cuore in gola. Forse la persona che aveva fatto del male a Lauren era sempre stata lì. Mi alzai. Forse avevo sempre cercato nel posto sbagliato. Nessuno era entrato nella camera, perché era già lì. Mi avvicinai lentamente all'anta dell'armadio. Sentii le gambe tremarmi. Inspirai a fondo e posai una mano sul pomello dell'armadio. Era tanto gelido da farmi male. Lo tirai e l'anta mi si aprì di fronte, con un forte cigolio. Un istante dopo vidi l'interno dell'armadio. C'erano dei vestiti appesi: un abitino nero, un paio di jeans, una maglietta con un grande cuore e una borsetta. Sentii il profumo di Lauren, un misto di rosa e gelsomino. Le lacrime cominciarono a scendere senza che potessi impedirlo. Lauren, la mia migliore amica, era morta. La consapevolezza mi graffiò l'anima. Mi lasciai cadere in ginocchio. Stavo tremando. Un'invasione di ricordi mi travolse la mente. Io e Lauren che ci scambiavamo pettegolezzi, sedute per terra, vicine. Noi due che ci provavamo i vestiti, prima di andare alle feste. I nostri sogni, le nostre speranze, i nostri segreti. Tutto era finito. Non avevo mai compreso fino a fondo cosa volesse dire una vita senza la mia migliore amica, solo ora mi sembrava che tutta la consapevolezza mi cadesse addosso. Il senso di mancanza era quasi insopportabile.

-Ce la puoi fare- la sua voce.

Quando mi voltai incontrai lo sguardo di Lauren. Sembrava stranamente reale, ma io sapevo che non era vera, era l'ennesima allucinazione, perché i morti non ritornano.

-Credi di non potercela fare, ma non è vero- continuò, un dolce sorriso sulle labbra.

-No, non credo che sia possibile- sussurrai tristemente.

-Sì, invece, non devi rattristarti- si alzò –hai tutta la vita davanti, hai un ragazzo che ti ama e finalmente hai la possibilità di essere felice, non era ciò che hai sempre sognato?-

Annuii. Aveva ragione, era quello che avevo sempre sognato. Inspirai a fondo, il cuore che mi martellava nel petto. Se avevo tutto ciò che desideravo perché mi sentivo così infelice?

-Non hai più bisogno di me- continuò e mi parve che avesse un nodo in gola, esattamente come me.

-Non vorrai andartene- sussurrai, disperata.

-Devo andarmene... ricorda che non sono reale-

-Per me la sei- protestai, la voce che mi tremava.

Lauren scosse la testa. –Addio, amica mia- e la vidi scomparire davanti a me. Inspirai, cercando di mantenere la calma. Posai le mani a terra, per restare in equilibrio. Fu in quel momento che sfiorai qualcosa con il polpastrello. Con gli occhi velati di lacrime cercai cos'avevo toccato. Fu solo dopo un attimo che lo vidi. Era un piccolo ciondolo con cinque punte. Esattamente come quello che aveva Wolly Wood nella storia di Lauren. Il ciondolo era finito quasi del tutto sotto l'armadio, per questo era difficile da vedere. Il cuore mi si strinse in una morsa. Ecco cosa cercava la persona che era venuta nella stanza. Quel ciondolo. Lo soppesai. Non era nuovo, dovevo averlo già visto da qualche parte.

Un rumore mi fece sobbalzare. Alzai lo sguardo, il cuore in gola. C'era una figura in piedi sulla soglia. Wolly Wood era venuto a prendermi, fu il mio primo pensiero, ma non appena la misi a fuoco meglio compresi che non era lui. No, era un ragazzo alto con un sorriso contagioso. Michael.

-Cosa ci fai qui?- gli chiesi, affrettandomi a mettermi in piedi.

-Ho visto la luce accesa, pensavo che fossero entrati i ladri- rispose e io percepii qualcosa di strano nella sua voce.

-Ehm, avevo bisogno di stare sola- improvvisai –Izzy sta male- aggiunsi, sperando di sviare il discorso.

-Ho saputo dell'ospedale... mi dispiace, Victoria- il tono era realmente triste. I capelli gli danzavano sulla fronte a ogni leggero movimento della testa.

Mi strinsi nelle spalle e mi feci scivolare rapidamente il ciondolo in tasca.

-So quanto deve essere duro per te-

Annuii debolmente. Dovevo andarmene. Finalmente avevo compreso. Ingoiai la paura.

-Peccato che tu lo abbia trovato- dichiarò Michael, un sorriso cupo a incurvargli le labbra carnose.

Il sangue mi si gelò nelle vene. Ghiaccio nello stomaco, nei polmoni, nei muscoli. Era la fine, perché ora sapevo dove avevo visto quel ciondolo. Era di Michael.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao

Siamo ormai alla resa dei conti.

A presto

Nelle luminose notti d'OrienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora