20. L'OSPEDALE

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La sala d'aspetto era vuota. Presi posto su una delle sedie gialle. Un colore non casuale, il giallo è il colore del sole, della gioia, dei girasoli. Un colore che avrebbe dovuto rendere felici noi poveri malati. Non avevano pensato che il giallo è anche il colore della gelosia. E nel caso dei tulipani è il colore dell'amore disperato. Mia madre mi raggiunse, un sorriso sforzato che le piegava le labbra. Odiava gli ospedali, esattamente come me. Negli ultimi due anni ci eravamo dovute venire spesso, fin troppo spesso. Deglutii, la gola secca.

-Siamo un po' in anticipo- disse mia madre, restando in piedi. Il tailleur nero le stava alla perfezione.

Annuii. Ero nevosa, come ogni volta. A certe cose non ci si abitua mai. Mi misi a giocherellare con una ciocca di capelli. Avevo anche un doloroso mal di stomaco.

-Speriamo che ci facciano passare prima- continuò mia madre, guardandosi intorno.

-Se vuoi puoi andare- le dissi –lo sai che non fanno stare i parenti duranti il trattamento, e poi non sarò sola-

-Resto ancora un po' qua con te- mi sorrise.

Un rapido rumore di passi mi avvisò che stava arrivando qualcuno. Quando voltai la testa vidi Katy, l'infermiera che normalmente si occupa di me. Era una signora di circa sessant'anni, con i capelli biondi sempre stretti in una coda. Sapevo che viveva con il secondo marito in una villetta su due piani, che aveva due figli e che aveva appena trovato un cagnolino a cui aveva dato il nome di Salgari, come lo scrittore.

-Victoria, come sei bella oggi!- esclamò, con un sorriso aperto. Katy era molto premurosa verso tutti noi piccoli malati, ma aveva una predilezione particolare per me, probabilmente per la mia aria da bambina innocente. Mi chiesi cos'avrebbe pensato se avesse saputo com'ero veramente. Scacciai quel pensiero e mi alzai.

-Grazie- mormorai.

Katy si rivolse verso mia madre. –Vada pure, qui ci penso io-

Mia madre annuì, poco convinta. –Ci vediamo più tardi-

-Come al solito- dissi, le parole uscirono più brusche di quanto avrei voluto. Non volevo sembrare arrabbiata, perché non ero realmente arrabbiata. O forse sì?

-A dopo- mia madre si spinse avanti e mi diede un bacio sulla guancia.

-A dopo- le feci eco io, mentre lei si allontanava.

Katy mi sorrise. –Su, andiamo-

La stanza dove mi veniva somministrato il trattamento aveva sei lettini divisi dai paraventi. In quel momento solo uno era occupato.

-Ciao, Victoria- mi salutò Ilary, la voce bassa e stridula. La flebo con il liquido rosso era già inserita nel suo braccio magro. Un ciuffo di capelli castani le copriva l'occhio destro.

-Ciao, Ilary, non mi hai aspettato?- le chiesi, sedendomi sul lettino accanto al suo.

-Non molto- si sforzò di sorridere.

Katy spostò il paravento, in modo tale che potessimo guardarci e parlare. –Voi due avrete molto da dirvi- commentò, andando a prendere il necessario per mettermi la flebo. Mi sforzai di non guardare, lo stomaco stretto in una morsa. Avevo sempre odiato le punture, ma ultimamente ne ero quasi terrorizzata. –Victoria parte per il college tra non molto-

Notai che un velo di malinconia copriva lo sguardo scuro di Ilary. Le sarebbe dispiaciuto restare sola.

-Non è così certo, continueremo a sentirci- mi affrettai a dire.

Lei annuì, ma la tristezza non scomparve dal suo volto. –Nei primi tempi certo, poi tu inizierai la tua meravigliosa vita e ti dimenticherai di me... si dimenticano tutti di me- fece una smorfia.

Nelle luminose notti d'OrienteWhere stories live. Discover now