38. LA NAVE

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La sera successiva Ethan decise di portarmi in un altro posto.

-Un altro mio piccolo rifugio- spiegò, mentre guidava lungo la strada illuminata dai lampioni. Mi aveva detto di preparare una valigia perché avremmo dormito lì. L'idea mi emozionava parecchio. Beh, mi agitava anche, ma non è questo l'altro lato di ogni medaglia che vale la pena vivere.

La notte precedente l'avevo passata nell'appartamento di Ethan. Mi ero addormentata guardando insieme a lui un vecchio film horror con dei campeggiatori inseguiti da un assassino con una maschera da hockey.

La nave comparve dopo subito, non appena entrammo in paese. Faceva bella mostra ancorata al porto. Era grande, anche se non avrei saputo dire esattamente se fosse più grande della media, sinceramente di navi non me ne intendevo.

-Hai progettato un giro?- chiesi, sorridendo. Eravamo scesi dall'auto e l'aria notturna ci muoveva i capelli. Il vestito che avevo indossato si gonfiava al vento leggero.

-Meglio ancora- Ethan mi spinse avanti.

Camminai e lasciai che mi aiutasse lui a salire sul ponte. Le sue mani mi afferrarono con sicurezza. Una parte di me aveva l'illusione che Ethan avrebbe potuto difendermi da qualsiasi cosa, perfino dalla morte. Era un'illusione certo. Sospirai. –La realtà è un'illusione, certo, un'illusione persistente- mi ritrovai a dire.

-Ottima considerazione- disse Ethan.

-Non è mia, è di Einstein-

-Beh, se consideriamo la fisica quantistica la realtà cambia in base all'osservatore-

Sorrisi. -Non è poi così sbagliato-

-Vieni- mi fece fare un mezzo giro della nave fino a quando non arrivammo a un grande tavolo che era già apparecchiato. Candele rosa brillavano in mezzo a esso. Piatti dorati erano coperti per nascondere le pietanze.

Improvvisamente, davanti a tutto quello, mi sentii piccola e meschina. Avrei dovuto dirgli della malattia. Avrei dovuto essere sincera, ma non ci riuscii. Avevo sempre pensato che il coraggio non fosse una caratteristica dell'essere umano, altrimenti ci sarebbero state più persone coraggiose. In quel momento compresi che non era una mia caratteristica.

-Occhi chiusi- mi disse Ethan.

Ubbidii, ridacchiando. Lo sentii muoversi accanto a me. –Quanto devo stare ancora con gli occhi chiusi?- gli chiesi.

-Un solo momento... mani avanti-

-Va bene, va bene, ma spero che ne valga la pena- dissi, ridacchiando.

-Ne vale, ne vale- mi posò sulle mani qualcosa di piccolo.

-"Ne sarebbe valsa la pena"- citai.

-"Tra me e te"-

La canzone d'amore di Proufock. Mi sfuggì un sorriso che subito dissimulai.

-Puoi aprire gli occhi-

Li riaprii e vidi che avevo in mano un pancake con una candelina sopra.

-Soffia ed esprimi un desiderio-

-Ma non è il mio compleanno!- protestai.

-Cosa vuol dire? Dobbiamo festeggiare noi due-

Sorrisi. Forse aveva ragione. Meditai a fondo, poi soffiai. "Voglio essere felice " desiderai.

Ethan prese il pancake che posò sul tavolo. -E le sorprese non finiscono qua- aprì una porta che si trovava lì vicina, quindi fece un passo di lato. –Guarda cosa c'è-

Feci un timido passo avanti e, non appena sbirciai dentro, restai a bocca aperta. Il pavimento era completamente trasparente e sotto di esso si potevano vedere i pesci colorati nuotare. Lanciai un gridolino.

Nelle luminose notti d'OrienteWhere stories live. Discover now