39. Silenzi, esplosioni e pigiami rosa

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Corrado quella sera praticamente non toccò cibo nonostante Evelina si fosse superata con un arrosto talmente tenero che si squagliava. Sua madre Cecilia si pulì gli angoli della bocca con il tovagliolo che poi ripose con cura ripiegato accanto al piatto, quello era il segnale che la sua cena poteva considerarsi conclusa. Non avrebbe aggiunto un grammo in più di cibo a quello prestabilito dalla sua meticolosa tabella nutrizionale giornaliera.

Solo una tisana disintossicante prima di coricarsi, come se per tutto il giorno non avesse fatto altro che ingurgitare veleno.

"Tesoro hai intenzione di ripulire il piatto?" chiese a Vittorio in procinto di servirsi un'altra cospicua porzione di patate.

"Sono ottime, è un peccato lasciarle" rispose lui mentre riempiva il cucchiaio.

"Certo, anche la dispensa è piena di ottimo cibo, perché non svuoti anche quella?" puntualizzò Cecilia con una smorfia.

Vittorio sorrise e si portò un boccone alla bocca fregandosene bellamente dei consigli salutisti della moglie.

Evelina entrò in sala da pranzo e si avvicinò a Corrado.

"Non ti piace?" chiese vedendo una triste fetta di carne ormai fredda adagiata in mezzo al suo piatto.

"Oh no, è ottimo! Non ho molta fame stasera..."

"Ma sì, un po' di digiuno non ha mai fatto male a nessuno" osservò Cecilia.

"Non ti senti bene?" chiese Vittorio.

Corrado bevve un sorso d'acqua. "No, sto benissimo. Sono solo un po' stanco".

Vittorio che conosceva bene l'appetito di suo figlio, tanto che ormai non si stupiva più di sentire il rumore dell'anta del frigorifero aprirsi a qualsiasi ora del giorno e della notte, non credette a quella spiegazione.

C'era sicuramente qualcosa che lo preoccupava e pensò che quella sarebbe stata una buona occasione per fare quattro chiacchiere tra padre e figlio.

Si alzò dopo aver bevuto l'ultimo sorso di vino e si avviò verso il suo studio, mentre Evelina incominciava a sparecchiare la tavola.

Cecilia disse che avrebbe dovuto telefonare alla sua amica Clizia per sapere come andavano i preparativi per l'asta di beneficienza che organizzavano ad ogni Natale. Una bella serata durante la quale persone altolocate compravano, a prezzi esorbitanti e completamente fuori mercato, beni materiali appartenenti ad altre famiglie altolocate che li avevano messi generosamente a disposizione della causa. Un circolo vizioso impossibile da interrompere, tanto che per sette anni consecutivi la medesima caraffa d'argento, appartenuta all'ormai celeberrimo seppur sconosciuto conte Pandolfini, aveva fatto la sua comparsa sul banco del battitore rimbalzando così da un proprietario all'altro.

Vittorio non amava molto quel tipo di eventi mentre sua moglie Cecilia ci sguazzava come se non fosse nata per fare altro, organizzare, controllare, decidere, imporre. In quello era sempre stata una fuoriclasse.

Corrado si alzò e si avviò verso le scale che l'avrebbero condotto in camera sua fino all'indomani mattina, suo fratello Simone se ne stava spaparanzato sul divano con il telecomando in mano, cambiando canali a ritmo di marcia.

"Ehi! Aspetta" disse Vittorio chiamando il figlio già sulla soglia della camera. "Vieni un attimo".

Corrado fece dietro-front di malavoglia e si incamminò verso il padre che si dirigeva a passo svelto nel suo studio.

Entrò trovando strano che suo padre lo ammettesse in quella stanza.

Vittorio cominciò a cercare qualcosa fra le carte sparpagliate sulla scrivania mentre Corrado lo osservava cercando di capire se avesse dovuto trattenersi ancora molto.

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