33. Padri, figli e mappe

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Era una bella domenica di sole, la scuola sarebbe rimasta chiusa fino a martedì per la Festa del Patrono. Beatrice pensò alla professoressa Ossolini, assente ormai da molto tempo, mentre pedalava in direzione della casa di Corrado. Oltrepassò alcune abitazioni molto eleganti, con giardini curati e cancelli invalicabili. Sui citofoni non si leggevano i nomi di chi ci abitava ma solo le iniziali.

Proseguì lungo il viale e nonostante le foglie degli alberi continuassero a cadere ormai da qualche settimana, Beatrice notò come a terra tutto fosse pulito e ordinato. Non c'erano automobili parcheggiate per strada, ma ognuna era riposta ordinatamente nel vialetto privato dell'abitazione.

Beatrice raggiunse l'ultima casa, quella con le tegole di un elegante blu scuro e i muri bianchi.

Si avvicinò al videocitofono guardandosi prima intorno. Lesse V.G – C.L., l'unica certezza era la G.

Suonò.

Rimase in attesa e dopo alcuni secondi rispose una voce femminile.

"Sono Beatrice, cerco Corrado... è in casa?" chiese con voce sicura.

"Un momento prego" rispose la donna. Quella non era sua madre.

Dopo circa un minuto Beatrice vide la porta d'ingresso aprirsi proprio sopra il patio. Corrado uscì scalzo, avvolto in malo modo in una felpa scura e si incamminò verso di lei.

"Ehi! Che ci fai qui?" chiese con leggero imbarazzo.

"Ciao, scusa se sono piombata qui così all'improvviso. Spero di non disturbare. Credo di aver trovato qualcosa di importante" spiegò Beatrice. Dalla finestra vide un ragazzino che osservava la scena da dietro la tenda, doveva essere Simone.

"Ok, allora...ehm, vieni. Vieni dentro" disse Corrado aprendole il cancello.

"Aspetta devo legare la bici..." rispose Beatrice cercando un modo per non guastare tutta quella perfezione con la sua bicicletta sgangherata.

Corrado le indicò il muretto accanto al garage.

"Portala dentro, mettila lì".

Beatrice armeggiò per qualche istante con la catena, Corrado sembrava piuttosto nervoso e lei se ne rese conto.

"Ehi, se ti crea problemi possiamo andare da qualche parte" disse fermandosi in mezzo al vialetto di ghiaia bianca.

"No tranquilla, andiamo dentro si gela".

Salirono il patio bianco in cui campeggiavano delle vistose coppe di marmo piene di succulente che ricadevano a cascata fino quasi a toccare il pavimento. Corrado non fece in tempo a sfiorare la maniglia della pesante porta blindata che quella si aprì da sola verso l'interno.

Beatrice sorrise.

"Wow"

"Sì, Evelina" spiegò Corrado. "L'abbiamo assunta soprattutto per le sue doti di preveggenza. E per gli arrosti".

Beatrice si ritrovò in un ingresso molto elegante e luminoso. Ogni angolo era curato nei minimi dettagli, probabilmente era tutta opera di Cecilia. L'arredo era moderno, ma accogliente allo stesso tempo. Non si aveva l'impressione di trovarsi in una di quelle abitazioni fredde e inospitali come gallerie d'arte, al contrario si percepiva molto calore, e la cura che era stata usata per gli arredi infondeva una sensazione di familiarità. Era una bella casa. Profumava di nuovo. E trasudava ricchezza.

"Piacere" disse Beatrice allungando la mano verso Evelina, che la guardò come un marziano.

"Vuole che le prenda la giacca signorina?" chiese lei con un accenno di sorriso.

Il PassanteWhere stories live. Discover now