37. Il trono di Aezio

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Il Padiglione dei Varchi era buio e deserto. L'enorme lampadario giaceva a terra completamente distrutto e ricoperto di calcinacci. Le piante contenute nelle grandi sfere di vetro erano ridotte a piccoli ammassi di foglie rinsecchite, mentre le sfere, le poche che non si erano frantumate nella caduta, erano rotolate ai lati del Padiglione. Le porte d'ottone dei Varchi erano state divelte e guardando oltre la soglia, dove una volta c'erano i corridoi che portavano all'Esterno, ora si vedevano solo macerie, massi di pietra e polvere sbarravano la strada rendendo impossibile il passaggio in entrambe le direzioni.

Le vetrate non esistevano più e da fuori un vento freddo soffiava sollevando la polvere.

Persino i possenti destrieri che correvano lungo la parete nella radura erano spariti, lasciando posto ad alcuni sparuti gruppi di alberi sferzati da un vento impetuoso.

L'atrio centrale era messo anche peggio.

Nessuna traccia dei Lumi che avevano volteggiato a lungo sul soffitto illuminando l'intera sala, nessuna traccia dei piccoli volatili che abitavano l'albero centrale.

L'albero stesso era tristemente spoglio, un tappeto di foglie ricopriva la vasca sottostante mentre le fontane avevano smesso di funzionare dando a tutto l'insieme l'aspetto di uno stagno abbandonato e putrido.

Il cielo di Mezzanto era plumbeo e coperto di spesse nuvole grigie. Una pioggerella sottile formava sottili rivoli che scendevano sulle vetrate come lacrime.

Non c'era nulla in quel posto che facesse pensare a qualcosa di vivo.

Anche il suolo era immobile e ricoperto di chiazze scure in diversi punti.

C'era nell'aria un odore pungente e più ci si avvicinava alla scalinata che conduceva di sotto, più quelle chiazze si ingrossavano. Diventavano rossastre, macabre. Erano dappertutto. Schizzi disegnati con violenza sul foglio immacolato delle pareti.

Qualcuno aveva combattuto in quel corridoio, qualcuno si era difeso o si era battuto strenuamente per difendere altri. E quelle pennellate di sangue ne rappresentavano il sacrificio.

Il portone che immetteva nella sala dell'Alto Consiglio era semichiuso, all'interno si udivano alcune voci sommesse.

Diverse torce tremolanti erano accese alle pareti e allungavano le ombre dei pochi presenti facendole sembrare degli spettri scuri che stavano di guardia. C'erano una ventina di persone in tutto, disposte disordinatamente nella sala, conversavano a gruppetti di due o tre. Sembravano stanchi e piuttosto malconci.

Un paio di uomini corpulenti entrarono in quel momento nella Sala. Uno dei due aveva una lunga barba rossa e una profonda ferita sul naso.

"Quello era l'ultimo?" gli chiese qualcuno dei presenti.

L'uomo con la barba rossa annuì con il capo.

"E gli altri?"

"Nelle Camere Ambrate" rispose.

Nella Sala faceva freddo e sul soffitto si stava addensando una grande nube grigia.

Lo scranno dell'Altor Scalisi era stato strappato via dalla parete come una gemma cavata a forza dalla roccia e si trovava in quel momento a livello del pavimento. Aezio vi sedeva in silenzio vestito di nero, con un cappuccio che gli copriva il viso fino agli occhi.

Tutti aspettavano che proferisse parola ma lui se ne stava immobile e zitto guardando verso il basso.

In un angolo della sala stava il Maestro Teucro anch'egli avvolto in un lungo mantello nero, curvo e silenzioso. Si scorgevano le sue dita ossute fuoriuscire dalle maniche e gli occhi vitrei che scrutavano i presenti.

Il PassanteWhere stories live. Discover now