4. Via del Crocicchio 27

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Adriana raccolse i lunghi capelli grigi in una treccia, si avvolse in uno dei suoi maglioni colorati e scese di sotto. A piedi nudi.

Il vecchio parquet scricchiolava sotto i suoi passi.

Raggiunse la cucina e riempì la ciotola di Cinque, che appena sentito il rumore delle crocchette si precipitò miagolando.

"Sei affamato vero?" lo accarezzò piano mentre lo sentiva sgranocchiare avidamente.

Si avvicinò alla finestra che dava sul giardino, scostò appena la tenda e osservò il cielo grigio. Il Signor Inverno era alle porte e lei lo attendeva come un ospite gradito.

Il melograno aveva perso quasi tutte le foglie e sul terreno, ai piedi del fusto sottile, si era formata una grande macchia gialla. I numerosi acchiappasogni appesi ai rami ondeggiavano ad ogni minimo accenno di brezza. Osservarli le dava conforto, erano dodici in tutto, uno per ogni anno. Era del tutto irrazionale ma le sembrava di percepire la presenza di sua figlia ogni volta che il vento li agitava o forse così le piaceva credere.

Si voltò e diede un'occhiata all'orologio della cucina, segnava quasi l'una e venti. A memoria non ricordava di aver mai sostituito le batterie a quell'orologio, si chiedeva osservandolo da quanto tempo fosse in funzione e le sembrò che quelle lancette si muovessero da sempre. Spostò lo sguardo sul frigorifero tappezzato di calamite, disegni, cartoline e fotografie di volti ormai lontani, che quel frigorifero avevano aperto centinaia di volte. Soprattutto per svuotarlo. Sorrise.

Casa sua era sempre stata un rifugio, per tutti. E a lei non era mai dispiaciuto che lo fosse.

Amici, parenti e malcapitati di vario genere negli anni avevano transitato per quel luogo, trovato conforto, pasti caldi e lenzuola pulite. Un letto era sempre pronto per chi era troppo stanco, troppo ubriaco o troppo triste per rientrare a casa sua. E se il letto era occupato c'era sempre il divano o la vecchia poltrona di nonno Achille, vuota ormai da molti anni.

Gli amici di Maria Sole e Pietro si erano fermati più volte a dormire in quella casa anche dopo la morte della figlia, accampati sul tappeto del salotto. Che combriccola di matti. Dopo tanti anni, però, non si era più visto nessuno, solo qualche telefonata di auguri a Beatrice giungeva sempre più raramente per il suo compleanno e niente più.

Adriana sapeva che erano cose della vita, non portava rancore verso nessuno, non si sentiva abbandonata. Nella vita, diceva, è naturale allontanarsi dai brutti ricordi, dalle situazioni che ci fanno soffrire come la morte e la malattia.

A nessuno piacciono i funerali.

Il sorriso sdentato di Beatrice la fissava da una delle fotografie, doveva essere la prima elementare quella. Il giorno della festa se non ricordava male. Mamme e papà orgogliosi ed emozionati avevano accompagnato i loro bambini l'ultimo giorno di scuola, Beatrice ci era andata con la nonna.

Adriana sentì la gola che si stringeva, si sforzò di cacciare indietro quella sensazione di angoscia, Bea sarebbe rientrata a momenti non poteva farsi trovare così.

Erano passati già dodici anni da quel giorno maledetto. Dodici anni. Un tempo che le pareva lunghissimo.

Lei e Beatrice si erano strette forte l'una con l'altra ed erano andate avanti comunque. Ammaccate e zoppicanti ma vive, avevano cercato di farsi amico quel dolore perché cacciarlo via non si poteva. Alla fine, ci erano riuscite e quello spirito grigio che aleggiava nell'aria, per la maggior parte del tempo ormai se ne stava ben nascosto a pensare ai fatti suoi. Ogni tanto compariva e allora non era una bella giornata, ma poi passava. In qualche modo passava.

Un rumore metallico scacciò via quei pensieri tristi e riportò la sua mente alla realtà.

Beatrice aprì in quel momento il cancello del giardino senza togliere i piedi dalla bicicletta, Adriana osservava ogni giorno quella prodezza chiedendosi come mai sua nipote fosse così restia ad appoggiarsi a terra. Forse era scaramanzia. O pigrizia.

Il PassanteWhere stories live. Discover now