Martedi 10 giugno 2003. Parte I

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Un vociare confuso, oltre la porta, andò aumentando, fino ad un insistente bussare.

«Valeria, tutto bene?! Per favore potete aprire?!» aggiunse una voce trafelata. Valeria, la madre, si svegliò e con una certa apprensione si diresse alla porta, aprendo si trovò davanti il cognato, la sorella ed il portiere dell'albergo.

«Che succede?».

«Tutto bene? State tutti bene? Dobbiamo chiamare la croce rossa?».

«Oddio, per cosa?».

«C'è sangue ovunque» disse il cognato indicando il pavimento del corridoio pieno di macchie rosse che provenivano dalle scale, dove era imbrattato anche il corrimano, ma la cosa peggiore, per il cuore della mamma, fu che le impronte proseguivano per la camera, esplodendo orribilmente nel bagno.

«Oddio un omicidio!» gridò, correndo a verificare che i due bimbi fossero integri nei loro lettini, per poi schizzare nel letto della Mory, trovandolo orribilmente tinto di macchie rossastre.

«Oddio! Bambina mia, cosa ti hanno fatto! Ti prego, svegliati, svegliati! Non morire così!».

La Mory, scossa come un galeone in tempesta, uscì dalle braccia di Morfeo trovando la stanza piena di gente che la osservava in slip e maglietta. Pochi istanti dopo fu aggredita da un feroce mal di testa e solo con prontezza riuscì a scattare in bagno e vomitare in maniera inenarrabile nella tazza del water.

Di ritorno, dopo circa venticinque litri di acqua ghiacciata fatta scorrere sulla faccia, trovò la madre prima terrorizzata per la sorte della figlia, trasformata nella madre incazzata per la disobbedienza della figlia.

«Mi sai dire cosa è successo ieri sera? C'è sangue dappertutto, tu sembri uno straccio, ma insomma, non ti posso lasciare sola due ore! E poi guardati! Sembri addobbata come un albero di natale, sei piena di aghi e foglie».

A quelle parole, facendosi strada nel mal di testa, la Mory iniziò a ricordare quanto successo.

A un certo punto, non sapeva bene come, non si era più ritrovata le infradito. Probabilmente era stato mentre si dondolava sulla banchina del canalino ed aveva avuto due conati di vomito per via dell'alcol.

Ormai le tipe erano andate via tutte e non si sentiva molto di rimanere lì con i ragazzi, sembravano abbastanza innocui ma era meglio non rischiare, in piena notte ed in spiaggia. Aveva fatto quindi tutta la strada di ghiaia mista sterrata poi sui marciapiedi sconnessi e le strade d'asfalto sbrecciate dalle radici, gli aghi di pino che le pungevano i piedi, le pietre sconnesse che glieli ferivano. Dalla spiaggia vicino a quel canalino fino alla pensione, le era sembrato un percorso lunghissimo, la cosa più vicina all'eternità che la sua mente ricordasse.

I piedi le bruciavano per tutti i piccoli taglietti e le braccia erano tutte brasate perché, mezza ubriaca aveva attraversato la rete di recinzione della chiusa del canalino e la siepe subito oltre, convinta di aver trovato una scorciatoia che poi, alla fine, l'aveva condotta ad una cancellata sbarrata, che aveva scavalcato con enorme fatica, strappandosi il vestitino che aveva un enorme sette all'altezza della coscia.

Ma forse quel racconto non era perfetto per la madre. Così in quattro e quattr'otto imbastì la versione alternativa:

«Scusa ma te non puoi immaginare, mamma, ieri sera ero qui vicino! Semplicemente mi ero tolta le infradito sulla panchina qui dietro, stavo mangiando un gelato. È arrivato un cane, si è messo a girare attorno a me, ma io avevo finito in pratica il gelato e gli ho dato la fine del cono ma lui non sloggiava e gli ho detto 'Sciò' e lui è scappato con le mie infradito quel bastardo!».

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