Lunedi 9 giugno 2003. Parte I

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La Mory si era dimenticata che la sveglia in albergo era soggetta ai ritmi della colazione. Ancora con i postumi del sonno bruscamente interrotto, scese con la famiglia a fare colazione.

«Buongiorno!» esclamarono in coro la madre e la zia alla vista della ragazza che si trascinava per il salone peggio di un bisonte ferito.

Un «ciao» sbadigliato fece alzare gli occhi al cielo alle due donne.

«Allora, come ti è sembrato il bagno del signor Armuzzi, Mory?» le chiese la zia che pronunciava il suo nome con un una O chiusa che lo faceva sembrare un muggito.

«Regolare, ma mi piacerebbe fare un giro per vedere cos'è cambiato dagli anni scorsi».

«Scordatelo!» troncò la mamma intenta a tener buone le due piccole bestie che si rimpinzavano di nutella e bomboloni come pozzi senza fondo.

«Dai ma'! Un giretto! Cioè, che palle stare sempre appresso a voi!» miagolò la ragazza.

«Mory le parole! Intanto stamattina scendi in spiaggia con me. Ho loro due, il passeggino, la borsa coi teli e per non farmi mancare niente un bel materassino a forma di coccodrillo! Mi avete preso per un mulo?!».

«Te l'avevo detto di non gonfiarlo ieri sera in albergo».

«Su su, fai colazione che andiamo, e se smetti di sbuffare magari più tardi, dopo che avrai fatto stancare per benino le due pesti, potrai andare a farti un giro».

Considerato il gas che avevano i suoi due fratellini, la ragazza non aveva molta fiducia di potersi concedere un giro per i fatti propri, e questo la mise di malumore, quasi più del dover portare in spalla un enorme coccodrillo gonfiabile.

Mentre la carovana andava verso il mare, sul marciapiede scorse una superba Kawasaki ZX-6RR probabilmente nuova di zecca, parcheggiata davanti ad un piccolo studio di tatuaggi e piercing con un'insegna ben poco evidente.

Amava i motori, soprattutto le moto, cosa abbastanza insolita per una ragazza di quell'età.

Mentalmente si segnò quel luogo, perché doveva iniziare a pensare al regalo di promozione. La Mory infatti era piuttosto convinta di poter sfoggiare una bella pagella sotto al naso dei genitori, questo per lei significava poter batter cassa, e cosa ci sarebbe stato di più bello che farsi fare un bel regalo?

Verso le undici, dopo aver costruito sette castelli di sabbia e due piste per le biglie, con la scusa che le due angeliche bestie di satana erano a sguazzare in riva al mare con la mamma, mentre lei non aveva voglia di bagnarsi, la ragazza si infilò le infradito, il vestitino frusciante, passò di corsa davanti al buon Nicola alle prese con la gazzetta, che apprezzò tutto quell'ondeggiare di reggiseno, e spuntò in strada, cercando di ricordarsi dov'era lo studiolo di tatuaggi.

Solo dopo circa venti minuti e la richiesta di informazioni a un giornalaio e ad un barista, arrivò davanti al posto che cercava, la Ninja era sempre lì, lucidissima nel suo verde smeraldino. Entrò tutta contenta, con l'idea di far squillare un bel «Buongiorno!».

Un omone enorme, con la boccia completamente rasata ed un numero infinito di tatuaggi in giro per il corpo, l'accolse con un sorriso che si componeva in maniera strana su quel viso che lei non sapeva definire se avanzo di galera o braccio violento della legge. Leggermente intimorita dalla figura, disse un «Buongiorno» molto meno energico di quello che avrebbe voluto.

«Dimmi tutto, cosa ti porta qui da noi?».

«Vorrei... fare un piercing, e vorrei capire un po' quanto costa».

Lei non lo sapeva, ma si era messa in mano a Giacomo, da tutti conosciuto come Gek, un ragazzo che faceva il tatuatore ormai da sette, otto anni, ed aveva la straordinaria capacità di attaccare bottone con tutti parlando quasi senza prendere fiato per quarti d'ora interi. Qualsiasi domanda, anche solo vaga, che lei faceva, portava ad una risposta sconfinata.

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