35 - Sometimes I don't wanna be happy

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"Non gli corri dietro per baciarlo un'ultima volta in maniera molto teatrale al tramonto?" chiese Charles alla signorina Foster, mentre guardavano dall'entrata dell'Istituto Sol ed Heiji sparire oltre le mura del giardino. Lei non lo guardò, ma tenne gli occhi incollati sull'orizzonte per riuscire a scorgere quell'ultima immagine di Sol che camminava verso il tramontare del sole.

"Tornerà" rispose, sorridendo, e si guardò attorno. A destra aveva il dottor Dickens, a sinistra Charles. Il sole stava tramontando davanti a loro, ormai i due ragazzi non si vedevano neanche più.

Il dottor Dickens tremava dall'emozione, ed era la prima volta che mostrava uno sguardo così preoccupato, mentre Charles era più stanco che altro.

"Mi mancherà quel fenomeno di suo figlio, dottore, lo sa? Avrei voluto conoscerlo meglio" disse la signorina, senza guardare l'uomo a cui stava parlando, e lui fece un sospiro profondo.

"Credimi, è un bene che tu non l'abbia conosciuto. Non so se ti sarebbe piaciuta come persona." Lucy Foster sorrise, ed anche Charles fece lo stesso.

"Non c'è persona che non mi piaccia" rispose, sorridendo ancora, mentre guardava il sole morire dietro gli alberi. Dickens la guardò, un po' stupito da quell'affermazione, mentre Charles pensò cavolo, qualche mese che è qui ed è già entrata nelle grazie di Dickens. Ora chiama pure lei con il tu, come me. Non mi sembra possibile che questa ragazzina sia arrivata così poco tempo fa ed abbia già stravolto la vita di così tante persone.

"Lucy, perché non sei andata con lui?" chiese allora, guardando la ragazzina, e lei fece un sorriso radioso.

"Perché è giusto così. Sono contenta di lavorare qui, sono felice della mia vita in questo posto così strano, sono felice di avere voi al mio fianco, sono felice di vedere ogni giorno i CP fare dei progressi. Sol qui non è mai stato bene, quindi è giusto che esca e che torni fuori. Sono dell'idea che, in caso di bisogno, Heiji saprebbe aiutarlo. E poi tornerà, ne sono sicura, tornerà certamente con sua moglie e suo figlio, dottore, mi creda."

Dickens sospirò. Erano cinque anni che lavorava in quel posto. Cinque anni in cui aveva imparato ad accettare l'idea che sua moglie fosse morta. Cinque anni in cui si era tenuto lontano da suo figlio perché non era riuscito a capirlo. Cinque anni in cui si era convinto che quello che faceva era giusto, che lo faceva nel miglior modo possibile e che nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea.

Poi era arrivata quella bambina.

Si era comportata in maniera sbagliata, aveva finto di essere affetta da un disturbo del neuro-sviluppo che coinvolge principalmente linguaggio e comunicazione, interazione sociale, interessi ristretti, stereotipati e comportamenti ripetitivi (o insomma, dall'autismo); e tutto questo per metterlo alla prova. Lo aveva preso in giro, si era messa in pericolo, aveva stravolto l'equilibrio che lui aveva tanto faticato per creare, e lo aveva fatto con un dolce sorriso sulle labbra e delle parole sussurrate. Non aveva mai perso il sorriso, nonostante avesse passato situazioni pessime.

Ma non le era bastato: nella sua distruzione della realtà, si era trascinata dietro anche il responsabile della distruzione del mondo. Se l'era tenuto vicino, lo aveva trattato da una parte come un normale CP, dall'altra come il suo oggetto personale.

Aveva sempre manipolato quel posto come andava bene a lei: si era impadronita delle loro emozioni, le aveva sentite e le aveva modificate come le andava meglio. In quel momento, Dickens si rese conto di una cosa: sia lui che Charles avevano accettato in maniera abbastanza tranquilla il fatto che Sol avesse distrutto il mondo. Non l'avevano picchiato, non avevano cerato di punirlo, non gli avevano neanche detto niente, e non certo perché non volessero farlo. Loro l'avrebbero voluto uccidere, ma non lo avevano fatto per via della signorina Foster.

Si era addentrata nei loro pensieri, e senza smettere di sorridere e saltellare ovunque li aveva convinti a non fare del male al ragazzo.

Era stato ingannato, era stato comandato come una marionetta, eppure stranamente la cosa non lo infastidiva troppo. Anzi, era contento di non aver fatto del male a Sol: era contento di essere in quel momento, con il sole che cadeva dietro gli alberi, con quella ragazzina e Charles al suo fianco a guardare suo figlio che partiva per chissà quanto tempo con quel ragazzo.

Il dottore pose lo sguardo sulla guaritrice, che ancora sorrideva al tramonto.

Dopo ancora qualche secondo di esitazione, i tre si girarono contemporaneamente e tornarono all'interno dell'ICP. Il sole filtrava attraverso i rami degli alberi che ricoprivano tutto il giardino, e creavano dei particolari giochi di luci all'interno dell'Istituto.

In quel momento rientrarono, accompagnati da un uomo della sicurezza, Nathan ed Amos, che erano usciti per l'allenamento serale. Stavano chiacchierando animatamente, e si fermarono solo per abbracciare Lucy e rivolgerle qualche sorriso, prima di tornare tranquillamente alla cella di Amos, dove entrarono senza fare storie. La signorina sorrise.

Dickens la guardava affascinato: quello che aveva definito l'amore della sua vita se n'era andato dopo una giornata intensa, probabilmente Charles non sarebbe stato troppo contento di stare con lei, quel giorno, visto il palo che aveva preso, e quindi sarebbe rimasta sola nel suo appartamento fino al giorno seguente.

In quel momento arrivò un uomo, che il dottor Dickens riconobbe come "il CP del signor Dubois". Andò dritto da Lucy e le strinse la mano, sorridendo immensamente. Lei ricambiò il sorriso.

"Grazie signorina, grazie davvero, ora potrò finalmente tornare da mio figlio" disse il CP con la sua voce tedesca, e lei gli sorrise amabilmente. Solo in quel momento, il dottor Dickens si rese conto che quello se ne stava andando.

"Come si chiama?" chiese Lucy, ed il CP prese una fotografia dalla tasca.

"Peter" rispose, estremamente eccitato. La fotografia, stampata su una carta che dava l'aria di essere molto vecchia, ritraeva un ragazzo alto e moro. Aveva l'aria di essere un giocatore di basket: alto, robusto, i muscoli e le spalle larghe. La signorina Foster non si scompose, e commentò:

"Che bel ragazzo."

Il CP sorrise, e le promise che l'avrebbe portato da lei una volta ritrovato. Allora lei li augurò il meglio, e lo guardò allontanarsi verso l'uscita dell'ICP.

Il dottor Dickens capì in quel momento a chi si riferiva quell'uomo: il ragazzo della foto che lui aveva appena mostrato, era lo stesso che abbracciava la signorina nella foto che lui teneva in tasca da quando aveva visto la sua cartella. Era quel ragazzo che era morto, e per cui (a quanto aveva capito il dottore) la signorina doveva aver provato molto affetto.

Lucy alzò lo sguardo, come avesse letto quei pensieri, e guardò il volto del dottore parecchi centimetri sopra il suo.

"Non glielo dirò" affermò, sorridendo "dopotutto io ho provato tanto dolore per Peter, e lui ne proverà ancora di più quando lo scoprirà, ma non voglio essere io la causa del suo dolore. E poi forse non lo scoprirà mai, dopotutto è possibile."

Charles sospirò, e comunicò che se ne sarebbe andato a dormire, e quindi rimasero soli la signorina ed il dottor Dickens. Lei si accarezzava dolcemente la collanina con la foglia d'acero che teneva al collo, e sorrideva alle ultime luci del giorno come fossero lo spettacolo più bello che avesse mai visto.

"Come ci riesci?" chiese l'uomo, guardandola negli occhi, e puntando il dito verso l'uscita dell'edificio. Lei sorrise lievemente, e storse il capo come per cercare di capire quello che le era stato detto.

"A volte" rispose, quasi sussurrando "vorrei non essere felice".

Poi si voltò, e fece qualche passo verso il corridoio.

"Però sa, se non sorrido io, chi potrebbe farlo?"

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