2 - Stanza

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"Che tipo di PP tenete, qui?" il dottore alzò lo sguardo di scatto dal modulo che stava compilando. Fissò la guaritrice per qualche secondo.

"Signorina... Com'è che si chiama lei?" chiese, congiungendo le mani sulla scrivania.

"Foster."

"Signorina Foster, lei è assolutamente sicura di essere la famosa guaritrice?" la ragazza annuì mestamente, guardandosi i piedi imbarazzata. Una volta tornata dal viaggetto nella stanza del CP, il dottore l'aveva riempita di prediche sul fatto che era un'irresponsabile, una cretina, che si era comportata in maniera troppo avventata e che in quell'Istituto non si comportavano così. Poi si era messo a compilare i moduli sul paziente 130, l'aspirante suicida, e lei era rimasta in silenzio per svariati minuti prima di porre quella domanda.

"Qui trattiamo i casi disperati, signorina, i tossicodipendenti senza futuro, i tentativi falliti di suicidio, anche gli psicopatici. Tutti coloro che sono considerati pericoli gravi per la società, sia a livello fisico che emotivo" la ragazza lo fissò per qualche secondo, e poi gli chiese di spiegarsi meglio "oh ma insomma! Lei è o non è la famosa curatrice?" come suo solito, la guaritrice annuì senza rispondere "un suicida, signorina, si immagini un bambino che vede uno buttarsi dal tetto di un palazzo. Abbiamo già abbastanza problemi in questa società. Lei lo sa quante persone ci sono, in totale, al momento sul pianeta? Un milione. Su cento Isole, diecimila abitanti per Isola. Di questi, almeno mille per Isola sono PP, lei sa cosa vuol dire questo, esattamente? Vuol dire che non possiamo permetterci di avere anche morti e/o traumatizzati dalle azioni di questi soggetti. E soprattutto, vuol dire che più persone escono da questi Istituti per mano sua, più il mondo le sarà grato."

La signorina Foster si alzò. Guardava ancora il pavimento, le gote erano arrossate, l'elastico che teneva la treccia era caduto, e gli occhiali erano leggermente appannati.

Sembrava una principessina, una foglia sul punto di cadere, mentre sbirciava la cartella che il dottor Dickens stava compilando. L'aspirante suicida che aveva aiutato, era un tale di nome Nathan, nato prima della Catastrofe. Beh questo era ovvio. Aveva sui vent'anni, anche di meno, ma con la Catastrofe molti dati erano andati perduti, quindi ci si poteva affidare solo alle parole delle persone, nella maggior parte dei casi, e coloro che avevano ancora dei documenti originali erano estremamente avvantaggiati. Alto un metro e settantadue, rinchiuso all'ICP per aver cercato di farsi esplodere in piena città. Origini sconosciute, familiari sconosciuti, luogo in cui viveva prima dell'Inondazione sconosciuto, il ragazzo era per lo più un mistero.

"Qui siete strani" commentò la guaritrice, puntando gli enormi occhi (forse ingigantiti un po' dagli occhiali) sulle mani dell'uomo "nelle altre Isole, i PP li trattano come pazienti, qui li trattate come detenuti. Quel ragazzo, il CP 130, che si chiama Nathan, aveva solo paura. Non è facile vivere in questo Mondo, dopo la Catastrofe poi, lui ha soltanto tanta paura. Voleva smettere di averla, voleva smettere di avere paura, e voi lo avete rinchiuso in una gattabuia di risposta" disse, con il tono di voce che minacciava le lacrime. Il dottor Dickens chiuse il fascicolo e guardò la ragazzina ancora in piedi davanti a lui.

Non era andato a capo di quell'Istituto per gestire i sentimenti di ognuno dei pazienti, ma per proteggere il mondo esterno. Non aveva tempo, se si fosse affezionato ad uno di loro, sarebbe stata la fine. Se quella ragazzina voleva mettersi ad esaminare i sentimenti di ognuno di quelli squilibrati, che facesse pure: tempo qualche mese e sarebbe finita anche lei per impazzire e la avrebbe chiusa in gattabuia. Quelli erano malati, erano pazzi, erano pericoli pubblici, mine vaganti, non potevano essere semplicemente dimessi. Un discorso erano gli Istituti dove si trattavano i depressi, oppure i cleptomani, o semplicemente quelli che compivano piccoli furti, ma lì non si poteva "guarire".

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