6 - Cartella

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Il dottor Dickens camminava avanti ed indietro per la sua stanza, nervoso. Quella mattina, la signorina Foster aveva fatto nuovamente visita al CP 240, e questa volta l'aveva osservata. Di solito era compito di Charles controllare che la signorina stesse bene, ma i due dovevano avere una questione in sospeso, ed il ragazzo non si era presentato. A dare l'allarme era stata un'infermiera di passaggio: era estremamente pericoloso lasciare una sedicenne da sola con un pericolo pubblico. Alla fine, il dottore era andato a controllare, e si era concesso il lusso di aprire l'audio.

Aveva pensato che, visto che gli toccava stare a vedersi quella scenetta, almeno si sarebbe divertito a sentire quella stupida autistica stare davanti ad una causa persa senza risultati.

Inutile dire che non era andata proprio così.

Una volta acceso l'audio, la voce della guaritrice aveva invaso la sala di controllo: stava conversando amichevolmente con il ragazzo, come una persona normale. Gli stava chiedendo cose basiche: come si chiamava, quanti anni aveva, dove viveva prima della Catastrofe... E lo faceva come se lui potesse non sapere le risposte. Il ragazzo le rispondeva, pazientemente, ed ogni tanto faceva una battuta. I loro volti erano rilassati e felici, le loro parole allegre e leggere... Era possibile?

Il dottore era rimasto parecchio sconcertato, e non appena era finita la visita aveva ordinato ad un'infermiera di condurre la ragazza nel suo ufficio.

"Signorina" aveva iniziato a dire, con il suo solito tono di tolleranza "lei è cosciente di cosa faccio io a capo di questo edificio?"

Come al solito, la signorina aveva annuito guardandosi i piedi. Era tornata ad essere autistica: il suo comportamento era quello che il dottore aveva sempre visto. I suoi movimenti non erano cambiati, il suo atteggiamento neanche, e nemmeno i tic: toccarsi la treccia, sistemarsi gli occhiali, grattarsi l'anello sul pollice.

"Molto bene, e sicuramente sa che non mi si devono raccontare balle" aveva continuato l'uomo, severo "quindi la prego di spiegarmi cosa è successo esattamente dieci minuti fa, nella cella di quel Caso Pericoloso."

La signorina aveva alzato lo sguardo, visibilmente spaventata, e si era messa a dondolare avanti ed indietro sulla sedia.

"Aveva bisogno di aiuto" aveva cominciato a ripetere, fissandosi i piedi, e lì la conversazione era degenerata: il dottore si era alzato in piedi e le si era messo davanti. Era furioso. Non era mai stato un tipo paziente, era sempre stato abituato ad avere tutto e subito, e quella ragazzina non poteva certo cambiare le cose.

"Io non tollero questo comportamento! Signorina, lei lì dentro era una persona normale, perché da quando è uscita è diventata una stramba?" la signorina era rimasta immobile.

"Autistica..." aveva detto, con il tono di voce basso e gli occhi pieni di lacrime "stramba..."

"Non mi interessa, non mi interessa cos'è o cosa non è, non ne posso già più di lei! Mi dica, si comportava così anche negli altri Istituti? Se ne vada per favore, torni ai suoi alloggi, e per oggi non si disturbi ad andare dai CP" aveva sbraitato l'uomo, aprendole la porta e scrutandola con fare assassino mentre usciva, per poi sbatterle la porta alle spalle.

Ora si trovava lì, a camminare avanti ed indietro per la stanza, senza trovare pace: non era possibile, non era ammissibile quel comportamento.

Il dottore era un uomo duro, aveva una filosofia: meno le cose scalfiscono te, più tu puoi scalfire loro. Non lasciava che niente penetrasse il suo animo corazzato, non si permetteva il lusso di provare sentimenti verso le persone. Forse, solo un po' di affetto per Charles, ma questo non contava. Lui era il capo di quell'Istituto, il suo compito era mantenere la pace in un mondo devastato dall'Inondazione. Il suo compito, era quello di mantenere sotto controllo i CP. Lo era sempre stato.

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