15 - Verità

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La signorina camminava per i lunghi corridoi dell'ICP, guardando il pavimento davanti a sé ed evitando il contatto fisico o visivo con qualsiasi altro essere vivente. Si stava dirigendo verso l'ufficio del dottor Dickens, per parlargli di Sol.

Era furiosa.

Era furiosa principalmente per due motivi: entrambi legati al ragazzo.

Il primo, era che le aveva raccontato di come lo avevano trattato appena arrivato. "Il doc mi ha guardato con aria perfida" aveva detto, con gli occhi puntati a terra "ero uno dei primi, erano arrabbiati con me, io ero stremato e ricoperto di lividi. Non mi ricordo bene cosa è successo, ma so che mi hanno preso e schiaffato in una cella senza cibo né acqua per due giorni; immagina la fatica a guarire. Poi quel ragazzo, quello con i capelli rossi, ha provato un po' di pietà e mi ha portato un pasto come si deve, e da lì è andata meglio".

La signorina non ne poteva più: quello doveva essere un Istituto in cui venivano aiutati i CP, non una prigione dove venivano picchiati e maltrattati. Era arrabbiata con Dickens, sì, ma era arrabbiata anche con Sol.

In quel momento il ragazzo si trovava nella sua cella, perché avevano appena finito di litigare: dopo che il CP aveva raccontato di quando era arrivato all'ICP, la signorina aveva deciso di parlare a Dickens del Potere. Non poteva continuare a tenerglielo nascosto, perché aveva l'impressione che quell'uomo stesse andando fuori di testa e, seppur fosse stronzo, le faceva un po' pena. E poi pensava che fosse giusto, semplicemente, parlargli del Potere che esercitava su persone di cui lui era responsabile.

Però il problema era uno: le avrebbe creduto?

Sol, però, non era d'accordo. Le aveva detto che quando (prima dell'Inondazione) i loro simili si erano esposti al mondo esterno non erano stati accettati, ed erano stati uccisi poiché considerati portatori di mali. I due avevano avuto un eterno battibecco, in cui Lucy gli aveva urlato che Charles non l'avrebbe mai tradita e Sol le aveva risposto che non lo poteva sapere, ed alla fine Lucy l'aveva risolta chiudendo il ragazzo nella sua cella ed andando dritta da Dickens, davanti ai suoi occhi tristi.

"Signorina, non prenda le abitudini di Charles e bussi prima di entrare" disse l'uomo, acidamente, quando la figurina fece irruzione nella stanza e si mise davanti a lui.

"Devo parlarle, e che venga anche Charles" annunciò, ed il dottore chiamò Charles con il walkie talkie chiedendogli di raggiungerlo nel suo ufficio.

Si era rassegnato all'idea di non capirla, quella ragazzina. Prima era impaurita ed autistica, dopo essere stata accoltellata era andata a ballare da sola sotto la pioggia, ed ora era più energica di Charles dopo cinque caffè.

Quando anche il rosso fu arrivato, Lucy iniziò a tremare per l'emozione e guardò l'amico per cercare un po' di supporto.

"Io devo dirle una cosa" iniziò, e Dickens congiunse le mani sul tavolo "per farla breve io sono speciale. Possiedo una cosa, dentro di me, che si chiama Potere. Si tratta di un concentrato dell'antica energia della creazione del mondo, un residuo di quella forza stratosferica. Io ho influenza sulla psiche umana, è per questo che sono qui: posso sentire le emozioni altrui, posso prendere il loro dolore, posso creare illusioni nella loro mente e leggere il loro passato. Tutto quanto, è basato sul tatto. Potrei ricostruire a ritroso la sua vita, se lei me lo permettesse" Dickens la fissava sconcertato senza capire se era completamente impazzita o se quello che stava dicendo aveva un senso "dottore io lo so che sembra assurdo ma lei mi deve credere... Io posso..." la voce della signorina si spense quando Dickens alzò la mano, com'era solito a fare per chiedere silenzio.

Si passò la mano sulla pelata, sospirò e la guardò.

"Mostramelo" disse, soltanto "io non credo nelle favole"

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