7 - Pioggia (1)

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La stagione delle piogge era arrivata, e l'acqua scrosciava incessantemente fuori dalle solide mura dell'Istituto. Il mondo quel giorno era di un colore grigio scuro, ed anche se era primo pomeriggio sembrava che fosse già l'imbrunire. Fuori c'era un vento spaventoso, che minacciava di buttare giù qualsiasi cosa sul suo cammino, e nell'Istituto purtroppo il riscaldamento non bastava. I corridoi erano gelidi, le stanze ancora di più, e tutti quelli che potevano si erano rintanati sotto le coperte.

Nella stanza color mare della signorina Foster regnava il silenzio, e la piccola figura femminile se ne stava rannicchiata nella sua coperta azzurrina, mezza distesa sul divano. Teneva tra le mani una enorme tazza di cioccolata calda, e la contemplava come fosse una antico tesoro.

Aveva le pupille dilatate per catturare la poca luce presente nella stanza, tremava leggermente per via del freddo e beveva il contenuto della sua tazza a piccolissimi sorsi. Sembrava quasi una piccola statua, intrappolata nel tempo, in una bolla sospesa.

Passò qualche minuto in quella posizione, poi prese il walkie talkie dell'Istituto e chiamò la sorveglianza.

"Fate venire il CP 240 nel mio appartamento, per favore" disse, con la solita vocina flebile, e spaventata.

Dopo interminabili minuti, passati a contemplare un salice fuori dalla finestra, la signorina sentì qualcuno bussare, e si alzò per andare ad aprire.

"Buongiorno" disse, improvvisamente felice, all'amico, ed Amos ricambiò il sorriso. Era incredibile come riuscisse a cambiare personalità da un momento all'altro: prima era persa, poi improvvisamente felice ed allegra. Era più che normale che le persone che le stavano attorno non riuscissero a starle dietro.

I due si diressero lentamente verso il divano, e Lucy servì all'amico una fetta di torta alla panna ed una tazza di tè.

Amos si muoveva ancora in maniera un po' strana: sembrava che gli costasse fatica fare ogni passo, ogni tanto rischiava di inciampare, e nonostante fosse molto più alto della ragazza risultava più fragile, più indifeso.

"Come stai, oggi?" chiese la signorina Foster, sorridendo come al solito, ed Amos non rispose per qualche minuto.

"Meglio" disse poi, contemplando interessato la sua fetta di torta.

"Questo è un bene, oggi hai sentito il bisogno?" Amos si incupì.

"Tu non dovresti accogliermi in casa tua" disse, secco, guardando il mondo fuori dalla finestra. Quel mondo che non ricordava "io sono un Caso Pericoloso, ho aggredito una persona e ti faccio male. Io non dovrei stare qui, con te" la signorina non rispose "il fatto è che ti vedo quando esci dalla mia stanza e ti trascini lentamente per il corridoio, lo vedo che sei preoccupata quando vieni da me, anche se sei brava a nasconderlo. Però è palese. Non venire più, signorina Foster."

Lucy sorrise dolcemente e si sciolse la treccia. Lei glielo aveva detto il suo nome, il primo giorno, ma evidentemente lui non ne serbava ricordo: era ancora molto scosso quella volta, e doveva aver sentito le infermiere chiamarla "signorina Foster" e così aveva iniziato a fare anche lui.

Quel ragazzo la metteva sempre all'angolo quando faceva discorsi del genere.

"Lucy" disse poi "chiamami Lucy quando siamo qui" il ragazzo scatto in piedi, improvvisamente arrabbiato.

"Ma mi ascolti quando parlo? Non ci devo più venire qui!" anche Lucy si alzò velocemente, e guardò dal basso dei suoi centocinquanta centimetri la figura davanti a lei con aria di sfida.

"Va bene" disse, la voce ferma ed il sorriso sulle labbra "va bene non verrò più da te e tu non verrai più da me, però prima vorrei che tu facessi una cosa, una sola cosa per me."

Nel buio dell'appartamento, Amos annuì leggermente, e la signorina Foster lo abbracciò dolcemente. Poi, con un sorriso furbo, prese la mano del ragazzo e lo trascinò fuori dall'appartamento, prima che lui potesse fare qualsiasi cosa.

Si mise a correre, portandosi dietro il ragazzo, sconvolto. Lo portò su per delle scale, poi giù per delle altre, poi in un'area completamente vuota dell'Istituto, poi attraverso un corridoio stretto. Non incontrarono nessuno durante il loro giro, Amos non se lo sapeva spiegare ma nessuno era nei corridoi quando c'erano loro.

La signorina correva veloce, e la milza del ragazzo iniziava a fargli troppo male.

Alla fine, la piccola mano di Lucy spalancò con forza una porta.

I due si ritrovarono all'aperto, fuori dall'Istituto, con la pioggia che scrosciava, a lavare i loro vestiti, ed appiccicava i capelli sui loro volti, mentre il vento faceva ballare i loro abiti e congelava i loro respiri. Lucy rallentò il passo, ed i due si ritrovarono a correre nel giardino dell'Istituto, diretti verso l'uscita principale.

Amos non si rese conto di cosa stesse succedendo, finché non si ritrovò fuori dai confini, nel mondo esterno, in cima ad un colle.

Era bagnato.

Era infreddolito.

La milza gli faceva male.

Aveva il fiato corto.

Era fuori.

Era libero.

La signorina Foster si fermò, si voltò verso di lui e scoppiò a ridere vedendo il suo bel viso sconvolto. Scoppiò a ridere e rise così tanto che si mise a ballare per la felicità, sotto la pioggia che scrosciava ed il vento che soffiava, arruffandole tutti i capelli e rischiando di farle cadere gli occhiali.

L'allarme non era suonato, tutto taceva ad eccezione della voce della signorina, e delle gocce che si schiantavano sul pavimento quasi a contornare il suono delle sue risate.

Amos rimase sconcertato per i primi dieci secondi, poi un'immensa gioia lo pervase e si mise a ballare sotto la pioggia con Lucy. Ballavano, ridevano, si abbracciavano. I vestiti fradici attaccati alla pelle, i capelli pure, i piedi scalzi e la pelle d'oca.

I corpi si muovevano in sincronia, le risate uscivano sincere dalle bocche dei due, l'aria di due persone legate per la vita li avvolgeva. Non c'era una cosa che fosse nel posto sbagliato, anzi forse due ce n'erano. C'erano un Pericolo Pubblico ed una sedicenne, in cima ad un colle, scalzi, che ballavano e ridevano. Ma forse, quello era il loro posto in quel momento. Forse per questo, nessuno interruppe le loro danze.

Alla fine, il ragazzo cadde per terra, tenendosi la milza con una mano e tenendo l'altra sul petto. Anche la signorina si distese vicino a lui, ed appoggiò la mano sul suo petto.

Improvvisamente, la milza smise di provocargli dolore.

"Ora capisci?" chiese la ragazza, guardando il cielo che piangeva sopra di loro.

"Cosa?"

"Perché non ti lascerò allontanarti da me."

"No, non capisco" rispose Amos, ma questa volta il suo viso era sereno e guardava le goccioline di pioggia cadere.

"Perché dopo che ti ho rapito e portato fuori dall'Istituto, sarei nei guai se ti lasciassi andare via" rispose lei, ridendo ancora.

"Lucy"

"Mh"

"Dai sii seria"

La ragazza si sollevò su un fianco, e guardò l'amico disteso vicino a lei.

"Perché è in momenti come questo, che si vive" rispose, sorridendo.

In quel momento, Amos apprese una cosa: non gli interessava capire.

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