23.2 La scelta di un giusto

Magsimula sa umpisa
                                    

Si abbandonò a un sospiro malinconico, e si asciugò con un fazzoletto il sudore sulla fronte. Stare al sole era piacevole, nonostante il caldo, ma non era abituato.

«Purtroppo quello che le è passato per la testa non si può più sapere» disse Teresa, posando su una sedia vicina i pantaloni rammendati e prendendone degli altri. Inserì il filo nella cruna dell'ago e guardò il suo ospite, interrompendo il suo lavoro. «Forse l'ha fatto perché ti voleva bene, forse perché per lei eri molto più importante tu di chiunque altro... Non posso saperlo. Da madre, ti posso solo dire che per i miei figli farei qualsiasi cosa, persino incendiare tutti i nostri possedimenti, se questo può aiutarli ad avere un futuro e non una condanna a morte. Ormai non ha senso che tu te lo chieda, ma quello che devi fare è non lasciarti abbattere da questa situazione.»

«Non lasciarmi abbattere?» esclamò Nicola. «Sono un re senza un regno! Se tornassi nello Cmune probabilmente incontrerei i familiari di coloro che sono morti per sua volontà, non per la mia, e cosa potrei dire? Scusate, ma io devo essere re perché è giusto così e voi dovrete accettarlo?»

La pogudfiana sorrise, riprendendo a rammendare. «Già solo che tu faccia questi ragionamenti indica il re che sarai. Non puoi giustificare, perché si tratta di omicidi volontari, esattamente come quello per cui tu saresti stato condannato. Ma tu non hai commesso nessun crimine.»

«Sarò anche innocente, ma sono comunque la causa scatenante. Io non ho ucciso mio padre e per non averlo fatto... » Nicola si portò le mani al viso, come aveva fatto ormai parecchi giorni addietro, quando ne parlava con Luciana, davanti a quel salice che forse era bruciato insieme a tutto il resto del palazzo.

Non l'ho ucciso, ma ho desiderato che morisse. E se questo fosse il prezzo da pagare per non aver obbedito a Raissa? Per essermi sottratto a quella che sembrava solo una sua proposta, mentre invece era un ordine?

«Quando tornerai a Mitreluvui, potrai fare un'azione pubblica, come dichiarare il lutto per coloro che sono morti, oppure potresti fare un monumento per ricordarli» propose la donna. «E per far capire al tuo popolo che una persona non nobile non vale meno di uno come te. Perché è questo quello che pensi, vero?»

Il principe annuì, togliendosi le mani dal volto. «Non basterà, non riporterà quelle persone indietro.»

«Tu continui a pensare al passato, come se dovessi sistemare errori che non hai commesso. Non è importante la causa che ha portato a quelle morti» provò a dire lei, vedendolo tanto corrucciato. «Devi concentrarti sul futuro, perché se il futuro dello Cmune sarà nelle tue mani, devi renderlo il migliore possibile.»

«Non ho gli strumenti per farlo» obiettò Nicola. Era strano parlare delle proprie debolezze ad alta voce e ancora di più che lo facesse con una persona che, nonostante l'accoglienza riservata a lui e Altea, era una sconosciuta.

«Su, non dire così» sorrise lei. «Di certo c'è qualcosa che conosci e che puoi usare a tuo vantaggio. Cos'è che conosci?»

Fece una smorfia amareggiata. «Prima studiavo, passavo molto tempo sui libri, per conoscere il più possibile la storia di Selenia. Il passato ha un grande fascino e ogni tassello sembra che sia al suo posto, come un grande e immenso mosaico.»

«Lo studio è sempre importante, di qualsiasi tipo si tratti» lo incoraggiò Teresa. «Ti sembra di essere inutile perché materialmente non vedi quello che potresti fare, ma la conoscenza ti aiuta a essere grande. Tu sei un re, o almeno sei destinato a esserlo, e sapere cosa è accaduto nel passato è una grande risorsa per comprendere il presente e il futuro. Non paragonarti ai lavoratori dei campi, avete due ruoli diversi, ma questo non significa che non siate entrambi indispensabili...»

«Parli così, ma qui non c'è un re, o una famiglia reale» la interruppe lui, forse con maleducazione. Per quanto quel discorso fosse affascinante, era strano sentirlo pronunciare da una donna che viveva tra gli anarchici.

«Qui non servono a niente, erano solo dei fantocci messi su dai Lupfo-Evoco per avere un parziale controllo su di noi. La rivoluzione di dieci anni fa ha spaventato tutti, perché si sono accorti che non accettiamo che degli stranieri decidano di noi e che siamo disposti a qualsiasi cosa per evitarlo. Ma i popoli non sono tutti uguali, e il tuo ha bisogno di te.»

Nicola sospirò, abbandonandosi sulla sedia di vimini. Non sapeva cosa ribattere, perché lei, effettivamente, aveva ragione. Gli cmunici erano devoti alla sua famiglia, e lui sapeva che avrebbero resistito, seppure nel lutto, perché già si mormorava, come aveva sentito dire alla locanda di Susanna, che lui non fosse davvero morto, che si era salvato miracolosamente.

Andavano avanti nella semplice speranza che lui sarebbe tornato.

«Forse qualcuno mi sta già aspettando. Forse dovrei far sapere, almeno all'esercito che sono vivo» constatò. «Dove posso trovare dell'inchiostro e della carta da lettera?»

Teresa sollevò il capo dai pantaloni che stava rammendando e gli sorrise, come non aveva smesso di fare per quasi tutto il tempo. «Nel mobile in salotto. Ma non so quanto sia prudente inviare messaggi da qui.»

Lui annuì, ma sapeva perfettamente che se avesse chiesto ad Altea di consegnarla di persona, lei non avrebbe detto di no. E con quella sicurezza si accinse a scrivere, con il cuore più leggero, mentre i raggi del sole si riflettevano nel cortile su cui affacciava la sala e si riflettevano su di lui, che appariva come un amanuense illuminato da Danào. Il dio della giustizia.

Selenia - Trono rovesciatoTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon