Ogni mattina, quando la signorina si recava nella cella di Sol, lui le mostrava i vestiti di quel giorno con grande entusiasmo ed ogni volta la faceva morire dalle risate quella sua voglia di farle vedere i suoi nuovi look.

"Oh ma è bellissima" commentò, facendo scorrere le dita sull'indumento del ragazzo "davvero stupenda." Sol fece una faccia soddisfatta.

"Lo so" disse, con aria compiaciuta. Lucy si morse il labbro sorridendo, e si avvicinò a lui.

"Ora devo andare, Charles dice che oggi ho un caso importante" mormorò, ad un millimetro dalle sue labbra. Il ragazzo sorrise, e le lasciò un bacio prima di permetterle di andarsene.

La signorina se ne uscì dalla stanza con un enorme sorriso sulle labbra, e si diresse con tutta calma verso l'ufficio del dottor Dickens. Lì, la attendevano pazientemente lui e Charles. Erano seduti alla scrivania, e si chiedevano quando la ragazza si sarebbe degnata di presentarsi. Dopotutto, era una cosa che la caratterizzava il fatto di arrivare costantemente in ritardo. Da quando si era aperta ai due uomini, Lucy aveva iniziato a sentirsi sempre più a suo agio, ed a dimostrarlo al mondo in maniera alquanto esplicita: arrivava in ritardo, rideva di cuore, faceva battutine e rispondeva animatamente a tutte le domande.

Le uniche volte in cui diventava cupa, era quando si parlava delle sue esperienze negli altri Istituti. Erano situazioni in cui la signorina abbassava lo sguardo, ed ogni tanto dava una risposta brusca e maleducata, quasi non fosse in sé. Poi, chiaramente, si riprendeva e chiedeva scusa, ma questo non bastava a cancellare le inquietudini di Charles e Dickens riguardo quella storia.

Loro ancora non sapevano della storia di Peter.

"Buongiorno a tutti!" trillò, felicemente, la signorina, quando fece irruzione nella stanza.

"Oh, buongiorno" rispose Dickens, serio, guardando i documenti che stava compilando "questa è la settima volta di seguito che arriva in ritardo signorina, non ci faccia l'abitudine" concluse, con aria dura e tono accusatorio.

Nonostante non lo dimostrasse affatto, provava un sentimento d'affetto immenso nei confronti di quella ragazza, quasi quanto ne provava nei confronti di Charles.

"Oh mi dispiace" rispose Lucy, sorridendo, e storse leggermente il capo "è che sono passata a trovare Sol questa mattina".

"Dovremmo liberarlo" commentò Charles, guardando la ragazzina con fare accusatorio "così almeno non faresti ritardo". A queste parole, Lucy scoppiò a ridere. Andò ad abbracciare il rosso, e gli stampò un bacio sulla guancia.

"No ma prego fate pure" commentò Dickens, senza guardarli, ma tendendo la cartella di un CP alla signorina "lei dopotutto non è mica qui per lavorare".

Lucy Foster scoppiò nuovamente a ridere, e prese la cartella per leggerla mentre Charles la conduceva nella stanza di quel giorno.

Era una nuova ala dell'ICP, la signorina non l'aveva ancora mai vista: era l'ala riservata a coloro che non parlavano con le altre persone. Normalmente, infatti, i CP bene o male rispondevano agli stimoli esterni, ma in quell'area c'erano persone con seri disturbi psichici.

C'era un ragazzo sui dodici anni, per esempio, che dopo aver assassinato i genitori accoltellandoli aveva smesso di parlare: non si sapeva con certezza se era stato lui, infatti, ma tutto sommato ai dottori non importava un granché. La verità? Era semplicemente affetto da mutismo selettivo: non aveva ucciso lui i suoi genitori, lui aveva solo assistito ed era rimasto scioccato da quell'esperienza, tanto da rifiutarsi di parlare con chiunque.

Un altro, poverino, era semplicemente affetto da Afasia: la perdita parziale o completa della capacità di esprimersi o comprendere parole scritte o verbali, causata da un danno alle aree del cervello che controllano il linguaggio. Lui, per esempio, si era solo trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato: un incidente, un'intera l'intera famiglia della sua fidanzata (lei compresa) morta, e lui imbrattato del loro sangue per aver cercato di salvarli, con in mano il coltello che aveva usato per liberare la gola della ragazza dalla collanina, che la stava strozzando. Figurarsi se, appena un anno dopo la Catastrofe, le "Forze Anticrimine" (la polizia, insomma) si erano preoccupate di verificare la colpevolezza del ragazzo.

Ma del resto, una volta che era stato sbattuto lì dentro con il cervello danneggiato e senza riuscire ad esprimersi, come avrebbe mai potuto spiegare la sua situazione?

Oh e poi ce n'era un altro. Anzi, un'altra.

Lei era una delle poche femmine classificate come CP, perché aveva accidentalmente cercato di darsi fuoco in mezzo alla strada, stringendo tra le braccia un bambino. Lei, era semplicemente pazza. Voleva morire e portare quel bambino con sé come tributo.

Tuttavia, tutti e tre i soggetti agli occhi dei dottori erano uguali: numeri, chiusi in celle e privi di parole. Era la parte meno umana dell'Istituto: celle piene di persone malate, obbligate a convivere con se stesse h24 ed a subirsi anche i discorsi di quelli delle celle vicine.

...

Il paziente che quella mattina aveva ricevuto l'onore di incontrare la signorina Foster, invece, era un caso assai particolare ed anche comico, sotto un certo punto di vista. Infatti, si trattava di un ragazzo che era stato arrestato e successivamente ricoverato all'ICP per essere stato sorpreso con una mitragliatrice in piena città, mentre cercava un uomo del Consiglio delle Isole per assassinarlo. Stranamente, però, da quando era entrato nell'Istituto aveva adottato un comportamento alquanto particolare: non parlava con le altre persone, bensì si scriveva dialoghi tra persone immaginarie che recitava da solo, nella sua stanza, ad alta voce.

Lucy lo guardava sorridendo come al solito, con il capo lievemente inclinato, e si chiedeva se quel monologo interiore sarebbe mai finito.

"Comunqve sai, dicevo, l'latro giorno ho visto qvella tottoressa pionda passare qvi da qveste parti" disse il CP, a se stesso, con un accento tedesco. E poi, con una voce completamente diversa ed un fortissimo accento francese si rispose:

"No, davvero? ma è étonnant! Quella è proprio una gran figà, vorrei uscirci un giorno."

La signorina alzò un sopracciglio.

"Figurati, ricordati che sei in cella" disse il paziente, usando la prima voce "ma che ha qvesta da guardare, poi?" mentre parlava, il ragazzo scribacchiava su un foglio quello che diceva, ad una velocità straordinaria e con una calligrafia stranamente leggibile.

"Non lo so" si rispose, da solo "sono ore che sci fissa, ma che vorrà mai qui?"

"Mi chiamo Lucy Foster" spiegò la signorina, sorridendo "sono venuta qui per fare due chiacchiere".

"Ah, gvarda t qvesta!" Scoppiò a ridere la prima voce, ed il CP fece un lieve sussulto "vuole parlare! Sono anni che non parliamo con nessuno und adesso qvesta pretente di parlare con noi."

"Non occorre parlare" rispose, tranquillamente, la signorina "vorrei soltanto che tu appoggiassi un secondo quella penna." Gli occhi del ragazzo si fecero improvvisamente terrorizzati, e la guardò come fosse una specie di aliena. Nessuno, gli aveva mai parlato come fosse una persona singola.

"Cvesta vole che noi appoggiamo penna su tafolo, come parliamo poi?"

"Non servono le parole" affermò la signorina, avvicinandosi lentamente al paziente: misurava ogni passo, come stesse camminando in bilico su un filo "le parole, sono superflue con me."

SMILE Where stories live. Discover now