45. Sof: Verità e bugie

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Vidi Zach salire sano e salvo sul jet. Prima che potessi solo concentrarmi per tornarci, venni distratta da delle urla. Votandomi mi trovai dinnanzi all'onda. Si stava facendo sempre più enorme e gigantesca. Gli Imperium dell'acqua non ce l'avevano fatta e Miami sarebbe stata spazzata via. Le grida disperate della gente mi riempivano i timpani e una forte sensazione di inutilità mi avvolgeva. Forse dovevo solo scappare, non potevo farci niente. Inoltre, sarebbe arrivata quella donna, a godere della distruzione da lei causata. Me ne dovevo andare. Il jet alle mie spalle stava per prendere il volo. Avevo pochi secondi per salire. Una figura piombò giù, proprio mentre ero in aria. Ci spiaccicammo entrambi a terra. Lui sopra di me. Il dolore mi percosse tutta la schiena e strinsi gli occhi per sopportarlo.
«Ti sono mancato?» sentii chiedere da una voce che mi aveva irritato per tanto tempo. «Philip» ringhiai spingendolo via. Lui rotolò via da me e faticò a rialzarsi. Non era ridotto bene. Courtney l'aveva conciato proprio per le feste. Mi venne un moto di simpatia nei suoi confronti.
«Già, è questo il mio nome» disse con nonchalance. Capii che stava prendendo tempo e non glielo potevo permettere. Susan sarebbe arrivata a momenti.
«Non ho tempo per te» dissi guardando verso l'alto. La porta del jet era ancora aperta.
«Nemmeno io.» affermò indietreggiando.
Qualcosa in quelle parole mi colpirono, attirando la mia attenzione. Forse Philip conosceva un modo per fermare tutto. Forse l'avrei potuto obbligare a dirmelo.
«Aspetta!» esclamai. Ma qualcuno mi afferrò per le spalle.
«Che ci fai ancora qui?!» gridò Nox.
«Philip!» esclamai indicando il ragazzo che zoppicava verso il caos.
«Lascialo perdere. Dobbiamo andarcene!» disse tirandomi per un braccio.
«No! Nox, ti prego. Non posso farlo fuggire!» dissi non sapendo nemmeno cosa stavo dicendo e cosa volevo veramente. Volevo solo fare qualcosa di utile, come tutti si aspettavano da me.
Una risata impedì Nox di rispondere. Una risata forte e agghiacciante, trasportata dai venti.
«Merda» sussurrò Nox.
Ed eccola lì, sulla cresta dell'onda, una macchia nera. In avvicinamento.
«Vuoi ancora rimanere qui?» chiese Nox fissando lo stesso pericolo.
«No.» dissi. Ci voltammo entrambi per correre via. I jet della B.L.C. erano tutti in cielo, lontani da noi. I membri rimasti impiegavano i loro ultimi sforzi ad eliminare più Ribelli possibili. Io sapevo solo una cosa. Sarebbero tutti morti. Tutti.
Un ombra ci sorpassò in volo. Alzammo entrambi la testa per vedere Philip che ci faceva la linguaccia in deltaplano. Almeno, sembrava un deltaplano. Lastre di metallo uniti da un meccanismo a me alieno.
D'istinto lo rincorsi, spiccai un salto e mi aggrappai alle sue caviglie. Perse pericolosamente l'equilibrio, ma controllando i venti riuscì a mantenerci in aria. I miei piedi sfioravano il terreno. Agitai le gambe, spingendomi verso il basso, cercando di tirare giù anche Smith.
«Mollami! Pazza psicopatica!» esclamò Philip agitandosi.
«Senti chi parla! Il leccapiedi della vera pazza!» esclamai strattonando la sua gamba.
Philip iniziò a prendere quota.
«Sophie!» gridò Nox correndoci incontro. Anche lui saltò e si aggrappò alle mie gambe creando una catena umana. Ordinai i venti a spingerci il più lontano possibile. Ma forse esagerai. Perché un tornado ci inghiottì.
Vorticammo e vorticammo. Persi lo stomaco. Persi la testa. Persi la ragione. Ma non la presa su Philip. Mi ancorai a lui come se fossi stata una trappola per animali. E stesso fece Nox con me. Forse gridai. Ma il suono era perso in quel vortice da me creato. Non riuscivo a fermarlo. È come se nel profondo, il mio istinto mi dicesse di farlo vorticare ancora di più e ancora più forte.
Mi risvegliai da quel delirio solamente quando sentii che una mano di Nox aveva perso la presa. Il tornado sparì così come era venuto e in un momento ci trovammo sospesi in aria. Nemmeno un attimo che la gravità ci fece piombare a peso morto verso il basso. Strillai a gran voce così come gli altri due ragazzi.
Macchie verdi si avvicinavano sempre di più. Piombammo tutti tra il fogliame di alberi, ma l'altezza ci spinse ancora più giù, spezzando rami, graffiandoci con le foglie. Poi finalmente toccammo il suolo. Malamente e duramente.
Mi massaggiai ed emisi dei flebili lamenti di dolore e qualche imprecazione.
«Ehi!» sentii Philip lamentarsi. Guardandomi intorno vidi solo Nox che si massaggiava il fondoschiena, ma dell'Imperium dell'aria, nessuna traccia.
«Quassù!»
Alzai lo sguardo per vedere Philip appeso per una caviglia al deltaplano ormai rotto. Alzai una mano e mirai al deltaplano. Una scarica elettrica partì dalla mia mano e percosse tutto il conduttore, facendo prendere una scossa al ragazzo.
«Ops» mormorai fintamente dispiaciuta.
«Brutta scema...» mi accusò tra i lamenti.
L'albero prese vita e si scrollò l'ospite di dosso. Un tonfo sordo venne seguito da altri lamenti. Nox riabbassò la mano.
Sopra le nostre teste ci sorvolavano i jet in fuga. Volavano tutti in direzioni diverse, probabilmente per evitare di venire seguiti. Mi arrampicai di nuovo su un albero e non ci misi molto a localizzare il luogo dalla quale eravamo venuti. Le onde sismiche arrivavano fin qui e quell'onda si stava abbattendo sui velivoli dell'esercito e della B.L.C. Oltre che su Miami. I grattacieli cadevano come tessere di domino. Per poi venir inghiottiti dal temibile oceano.
Non ci vedevo bene. Ma quel tanto di catastrofe  bastava. La fine del mondo me l'ero immaginata proprio così.
Il tornado che avevo creato per sbaglio ci aveva trascinati molto più lontano di quanto avessi pensato. Se l'onda fosse stata naturale, il disastro sarebbe giunto fino a me. Ma non fu così.
Quando tornai al suolo notai che Philip non si era dato alla fuga. Nox era in piedi accanto a lui, incurante delle foglie che gli erano rimaste impigliate tra i ricci.
«Amico, hai delle foglie in testa» disse Philip annoiato, guardando Nox con aria di superiorità.
«Tu tra poco avrai un altro bernoccolo se non te ne stai zitto. Alzati» gli ordinai.
«No» affermò girando la testa di lato per non guardarmi.
Finché il terreno ai miei piedi tremava, non eravamo abbastanza lontani. Non avrei permesso a Susan di prendermi per colpa di un capellone cocciuto.
«Alzati o ti spezzo le ossa» lo minacciai.
«Ehi, sempre cortese e gentile, vedo!» disse sarcastico allargando le braccia.
«Dai, accomodati. Tanto se mi spezzo le ossa non potrò più muovermi e a quel punto sarei un peso morto...» il suo chiacchiericcio venne interrotto da una palla di fango in faccia. Poi, liane comparse dal nulla gli si legarono ai polsi, per poi tirarlo sù malamente.
Mi voltai stupita verso Nox ancora con una mano alzata.
«Ora andiamo» disse rivolto verso di me, sempre con il volto stanco e serio. 
«Nox» lo chiamai. Lui si voltò, in attesa.
«Senti, mi dispiace per tutto ciò. So che tu non vorresti essere coinvolto in tutto ciò...» iniziai
«Ehi» mi interruppe. «Non credi che sia ormai troppo tardi per non essere coinvolti?» mi disse con un sorriso tranquillizzante.
«Oh, beh, molto toccante, ragazzi. Seriamente» affermò Philip sarcastico pulendosi il volto con il dorso della mano legata.
«Ignoriamolo. Non può andare a parlare per sempre. Dobbiamo andarcene da qui.» affermai. Sentendo ancora le scosse.
«E come cari geni? Camminando? Certo! Andremo verso l'infinito e oltre di questo passo!». Non lo ricordavo così fastidiosamente sarcastico.

Elements: Perdita (in revisione) Where stories live. Discover now