✓ Seoul, Why Do You Sound Lik...

By amemipiaceilcocco

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{COMPLETA} «Pensaci, saremmo proprio una bella coppia. Tu la brava ragazza della porta accanto e io il bastar... More

intro
prologo
uno
due
tre
quattro
cinque
sei
sette
otto
nove
dieci
undici
dodici
tredici
quattordici
quindici
sedici
diciassette
diciotto
diciannove
venti
ventuno
ventidue
ventitré
ventiquattro
venticinque
ventisei
ventisette
ventotto
ventinove
trenta
trentuno
trentadue
trentatré
trentaquattro
trentacinque
trentasei
trentasette
trentotto
trentanove
quarantuno
quarantadue
quarantatré
quarantaquattro
quarantacinque
quarantasei
quarantasette
quarantotto
quarantanove
cinquanta
cinquantuno
cinquantadue
cinquantatré
cinquantaquattro
cinquantacinque
cinquantasei
cinquantasette
cinquantotto
cinquantanove
epilogo
the end

quaranta

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By amemipiaceilcocco

Se qualcuno mi avesse detto che la mia vita avrebbe assunto una piega del genere, una volta arrivata a Seoul, non ci avrei mai creduto.

Aprii gli occhi immersa nella fresca aria del mattino. Ormai, sono abituata all'armonia di questa città. I giorni della mia infanzia mi appaiono così distanti. La mia vita, adesso, è fatta di palazzi altissimi e macchine. Ma questa è la mia casa: Seoul.

Perché la tua pronuncia è così simile a "soul"?

Che tipo di anima possiedi?

Cos'è che mi trattiene al tuo fianco in questo modo?

Non ho niente che mi ricordi di te e sono così stufa di te: la tua solita espressione grigio cenere è la stessa, ogni giorno.

Sono spaventata da me stessa, perché ormai sono diventata parte di te.

Se amore e odio sono la stessa parola, ti amo Seoul.

Se amore e odio sono la stessa parola, ti odio Seoul.

Bussai con poca enfasi alla porta dell'ufficio di Bang Pd. Non appena ero arrivata a lavoro, quel mattino, mi aveva fatta convocare nel suo ufficio, dichiarando che fosse una questione urgentissima. Una voce di corridoio voleva che stesse pensando di anticipare l'uscita dell'album a settembre per cui ipotizzai che quello fosse il motivo per cui mi aveva chiamata.

Spinsi la maniglia della porta una volta che mi fu dato il consenso di entrare e, tranquillamente, feci come richiesto, salvo poi bloccarmi nel notare che una delle due sedie di fronte alla sua scrivania era già occupata. Con esitazione, chiusi la porta alle mie spalle e Bang Pd mi fece segno di accomodarmi. Mantenendo il mio sguardo confuso sulle spalle della terza persona presente, mi avvicinai e, quando fui a meno di un metro di distanza, si voltò.

Mi paralizzai ad occhi spalancati.

Hong Seung-sung. Il proprietario della Cube Entertainment.

Che ci faceva lì?

«È un piacere rivederla, signorina Sin.» mi sorrise l'uomo, tornando poi a fissare Bang Pd su cui feci cadere il mio sguardo perplesso. Cosa stava succedendo.

«Siediti, per favore, Chaeyoung-ah.» mormorò Bang Pd. Perché il suo tono era così arrendevole? «Dobbiamo discutere di... alcune cose.»

Cominciavo ad avere un brutto presagio e un brivido mi accompagnò mentre mi sedevo.

«Dunque,» cominciò Bang Pd, sfogliando alcuni fascicoli stesi sulla scrivania, «ecco qua!»

Mi allungò una busta bianca, grande come un A4. Con un movimento della mano, mi incitò a controllarne il contenuto.

Tentennante, infilai la mano nella busca e pescai un plico di fogli. Li osservai, dubbiosa. Era un contratto, quello che avevo in mano? Che tipo di contratto.

«Credo ci sia altro!» mormorò sorridente l'uomo alla mia sinistra.

Aprii la busta nuovamente e vi diedi un'occhiata: aveva ragione. C'era dell'altro. Pescai l'ennesimo foglio solo per rendermi conto che non fosse ciò che credevo. Era una foto. Sgranai gli occhi. La rigirai tra le mani, incredula. Non era possibile! Alzai lo sguardo, spaventata, su Bang Pd, in cerca di una spiegazione.

Ma fu Hong Seung-song a parlare.

«Le dispiacerebbe descrivermi la foto, signorina Sin?» domandò cordialmente, girando il busto in modo tale da potermi osservare meglio.

Deglutii a fatica, tornando a fissare la foto. Non ci potevo credere. Perché ce l'avevano loro?

«Allora?» mi incitò senza smettere di sorridere.

«S-siamo io e... e...» non riuscivo a controllare il tremolio della voce.

«Tu e?» mi incalzò, abbandonando improvvisamente ogni formalismo. «Puoi dirlo, non ti sentirà altri che noi!»

«Io e... J-Jungkook.» dissi alla fine, con un filo di voce.

«Che altro?» continuò l'uomo alla mia sinistra, cominciando a perdere la cordialità del tono.

«Camminavamo per le strade di Se...»

«Non mi sembra proprio che steste camminando!» ridacchiò.

«Ci stavamo a-abbracciando.» bofonchiai.

Passai velocemente una mano sul mio viso, allontanando la frangia dalla fronte. Non capivo cosa stesse succedendo. Perché ce l'aveva Bang Pd? Mi aveva chiamata per licenziarmi? E cosa aveva a che fare il proprietario della Cube in tutto ciò?

«Non capisco.» ammisi in un sussurro, alzando lo sguardo su entrambi gli uomini.

«Lascia che ti spieghi, allora!» rispose velocemente il signor Hong, prima di essere fermato da Bang Pd.

«Se non le dispiace, signor Hong, vorrei avere la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con la mia dipendente.»

Dopo un momento di esitazione, l'uomo tornò a sorridere e si alzò in piedi, sfregando le mani sui pantaloni grigi del completo.

«Vi lascio soli.»

Non mi accorsi nemmeno che uscì, troppo concentrata su Bang Pd e in attesa di una sua spiegazione.

«Pd-nim, cosa sta succedendo?» mormorai con tono supplichevole.

«Mi dispiace, Chaeyoung-ah.» disse. «Ho cercato di evitarlo. Non volevo che si arrivasse a questo. Mi dispiace davvero.»

Sentii le lacrime inondarmi gli occhi e le trattenni a stento. Non sapevo cosa stesse accadendo, ma era chiaro che, qualsiasi cosa fosse, sarebbe finita male.

«Cosa, Pd-nim? La prego di spiegarmi!»

Bang Pd sospirò profondamente, poggiando entrambi i gomiti sulla scrivania e strofinando le mani sul viso, togliendosi gli occhiali dal naso.

«Quella foto è stata scattata per conto del signor Hong. A quanto pare, stava pagando qualcuno perché ti tenesse d'occhio e controllasse ogni tuo movimento.» mi sentii mancare il respiro. Mi aveva fatta pedinare? Per quale motivo? «Sono giorni che mi minaccia di mostrarla al mondo! Il tuo viso non si vede, ma quello di Jungkook sì. Sarebbe l'unico a rimetterci.»

«Perché lo sta facendo?» domandai. Trattenere le lacrime stava diventando sempre più impegnativo.

«È te che vuole!» spiegò Bang Pd. «Vuole che tu firmi quel contratto ed entri a far parte della sua agenzia!»

«E in cambio lui non pubblicherà la foto?» chiesi, sperando che le mie ipotesi fossero completamente errate. Ma, Bang Pd annuì.

Dovevo decidere e le opzioni erano due. Potevo continuare a lavorare per la Bighit, insieme ai BTS, agli altri produttori e tutte le persone che erano state al mio fianco fino a quel momento, gettando, però, Jungkook nel mezzo di un enorme scandalo che – ero sicura – quella foto avrebbe suscitato. Oppure, potevo rinunciare a tutti loro, abbandonando Jimin, proprio ora che stava male, e allontanandomi da Jungkook in modo definitivo, per andare a lavorare sotto la Cube, il cui proprietario, per avermi, aveva minacciato me e i ragazzi per ben due volte.

«Sta a te scegliere.» mormorò Band Pd, abbozzando ad un sorriso. «In ogni caso, capiremo.»

**

Jungkook's pov

Non so cosa mi fece più male, quella sera: lei che non voleva credermi, il suo viso così addolorato o le urla e i singhiozzi agonizzanti che udii attraverso la porta, appena fui uscito dal suo appartamento. Avrei tanto voluto abbattere la porta per stringerla tra le mie braccia, rassicurarla, farla sfogare contro la mia maglietta. Ma lei, non mi voleva lì. Lo aveva messo ben in chiaro, quando mi aveva gridato di sparire. Ai suoi occhi ero ripugnante. E la colpa era esclusivamente mia.

Aveva ragione: per mesi, l'avevo presa in giro. Mi ero accorto troppo tardi che, quello che era iniziato come un semplice gioco si era, in realtà, trasformato in qualcosa di molto più serio e profondo, di importante. Troppo tardi.

Eppure, nonostante fossi consapevole che le mie possibilità fossero inesistenti, non avevo intenzione di lasciar perdere. Non ora, che avevo letto nei suoi occhi qualcosa che mi aveva stupito. Il suo sguardo, mentre urlava di non credere alle mie parole, era quello di qualcuno che provava le mie stesse cose. So quanto fosse presuntuoso da parte mia suppore una cosa del genere, ma non volevo darmi per vinto. Dovevo sistemare le cose. Volevo fare la cosa giusta.

Il giorno seguente, uscii dal dormitorio mentre gli altri stavano ancora dormendo. Avevo passato tutta la notte a scrivere una canzone. Era la prima volta in cui, autonomamente, senza l'aiuto di nessuno, ero stato in grado di fare una cosa del genere. Mi si scaldò il cuore a pensare che lei fosse la ragione dietro ciò.

Entrai nell'agenzia e, senza indugiare, corsi nella prima sala di registrazione libera. Bene o male, sapevo come muovermi al suo interno così, dopo aver preparato tutto, entrai nel gabbiotto e cominciai a cantare, mantenendo fissa nella mente l'immagine del suo volto.

Ore più tardi, avevo finito. Non era pronta per essere inserita in un album, ovviamente. Ma non era nemmeno ciò che volevo farne. Questa era una lettera, piena di imperfezioni e di errori, ma quanto meno era reale. Era ciò che volevo di più: essere reale con lei. Mostrarmi per ciò che ero, mostrarle i miei veri sentimenti. Volevo parlare col cuore in mano, volevo essere sincero. Anche se non era perfetta, ero sicuro che quella canzone sarebbe riuscita a farle capire quanto effettivamente lei fosse importante per me.

Sorridendo come un bambino, corsi per i lunghi corridoi dell'agenzia, racchiudendo gelosamente tra le dita della mano destra la chiavetta che conteneva le mie emozioni e i miei sentimenti più veri. Ero sicuro che fosse già arrivato a lavoro. Gli ultimi giorni si era sempre presentata prestissimo. Mi chiedevo cosa la spingesse a voler venire così presto.

Dapprima, cercai nello studio in cui passava le sue giornate ma, quando lo trovai vuoto, mi diressi verso la caffetteria. Spesso, appena arrivava, prima di mettersi a lavoro, passava a salutare Minji con cui, bevendo un cappuccino, faceva quattro chiacchiere. Ma, quando non la trovai nemmeno lì, cominciai a preoccuparmi. Possibile che non fosse ancora arrivata? Erano quasi le nove!

Decisi di chiedere informazioni.

«Noona!» mi avvicinai al bancone, richiamando l'attenzione di Minji.

«Ciao, Jungkook-ah!» mi rivolse un flebile sorriso. «Cosa posso farti?»

«Nulla! Volevo solo chiederti...» mi morsi un labbro, vagamente in imbarazzo. Dovevo sembrare disperato. «Hai visto per caso Chaeyoung-ah?»

«È passata una mezz'oretta fa per prendere il suo cappuccino!»

«Sai dove sia andata, dopo?»

«Mi sembra avesse detto di dover andare a parlare con Bang Sihyuk!» borbottò confusamente.

«Ah, perfetto! Grazie mille!»

Feci per allontanarmi ma la sua voce mi richiamò indietro.

«Ormai, però, avranno finito! Probabilmente la troverai nello studio!»

Senza sprecare tempo a spiegarle che avevo già controllato lì, mi precipitai verso l'ascensore e in un battibaleno mi trovai davanti all'ufficio di Bang Pd. La porta era chiusa e delle voci sommesse provenivano dall'interno. Udii un rumore di passi e dall'ufficio uscì un uomo sulla cinquantina. Mi inchinai educatamente, nonostante non sapessi di chi si trattasse. Aveva l'aria familiare.

L'uomo mi sorrise, lasciandomi interdetto. Aveva qualcosa di strano, quel sorriso. Non era cordiale e tantomeno indifferente. Sembrava, più che altro, una minaccia.

Nello stesso momento in cui sparì dalla mia vista, smisi di preoccuparmi. Appoggiai la schiena contro il muro dietro di me e attesi pazientemente. Se avevo visto bene, quando l'uomo era uscito dall'ufficio, di fronte a Bang Pd si trovava una ragazzina esile dagli inconfondibili capelli blu elettrico. Non poteva essere altri che lei. Il che, però, mi obbligò a riprendere in considerazione l'uomo che mi aveva sorriso. Che ci facevano lui, Chaeyoung e Bang Pd insieme? Era, per caso, un nuovo produttore?

Poi, improvvisamente, mi ricordai!

Non mi ricordo in quale occasione ebbi modo di intravedere il suo viso, ma ricordo esattamente che io e i ragazzi ci stavamo preparando per esibirci sul palco. Casualmente, avevo fatto vagare lo sguardo intorno a me, fermandosi a una decina di metri di distanza su uno strano trio. Seojun e l'uomo avevano i busti rivolti verso di noi e sembravano molto impegnati a discutere con una figura bassa e minuta che mi dava le spalle. Ancora una volta, però, il colore dei suoi capelli non mi aveva lasciato dubbi in merito all'identità della ragazza. Lì per lì, non mi ero chiesto cosa stesse facendo Chaeyoung con quei due, troppo preso a reprimere la gelosia che stava nascendo nel vederla così vicina a Seojun. Eppure, vederlo di nuovo in sua compagnia e, questa volta, affiancati da Band Pd, mi lasciò vagamente perplesso.

Attesi un'infinità di tempo, prima che la porta si aprisse nuovamente. Mi staccai dal muro, pronto a confrontare Chaeyoung con la chiavetta ancora in mano, ma quando lei uscì tutti i miei buoni propositi sfumarono velocemente, lasciandomi interdetto e disorientato. I suoi occhi erano inondati di lacrime e stava trattenendo a stento dei singhiozzi. Senza alzare lo sguardo da terra, corse via, sparendo velocemente dalla mia vista. Il mio primo istinto fu quello di seguirla, ma temevo che non volesse avere me al suo fianco in quel momento. Per cui, decisi di chiedere informazioni all'ultima persona con cui aveva parlato. Entrai di slancio nell'ufficio di Bang Pd, seduto con la testa fra le mani. Sembrava distrutto dalla vita. Che cavolo era successo?

Mi chiusi la porta alle spalle e avanzai verso la scrivania.

«Pd-nim, cosa è successo?» domandai, senza accorgermi del tremolio nella mia voce.

Quando l'uomo di fronte a me alzò lo sguardo per incontrare i miei occhi, trasalii. Il suo viso era così sciupato, come quello di chi non dorme per settimane.

Sospirò profondamente, prima di ergersi a sedere con la schiena dritta.

«La signorina Sin ha appena firmato il suo licenziamento dalla BigHit Entertainment.» sussurrò e una lacrima gli rigò il viso.

Se n'era andata?

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