✓ Seoul, Why Do You Sound Lik...

By amemipiaceilcocco

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{COMPLETA} «Pensaci, saremmo proprio una bella coppia. Tu la brava ragazza della porta accanto e io il bastar... More

intro
prologo
uno
due
tre
quattro
cinque
sei
sette
otto
nove
dieci
undici
dodici
tredici
quattordici
quindici
sedici
diciassette
diciotto
diciannove
venti
ventuno
ventidue
ventitré
ventiquattro
venticinque
ventisei
ventisette
ventotto
ventinove
trenta
trentadue
trentatré
trentaquattro
trentacinque
trentasei
trentasette
trentotto
trentanove
quaranta
quarantuno
quarantadue
quarantatré
quarantaquattro
quarantacinque
quarantasei
quarantasette
quarantotto
quarantanove
cinquanta
cinquantuno
cinquantadue
cinquantatré
cinquantaquattro
cinquantacinque
cinquantasei
cinquantasette
cinquantotto
cinquantanove
epilogo
the end

trentuno

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By amemipiaceilcocco

Era da almeno dieci anni che non avevo la febbre. Certo, i sintomi li avevo provati tutti e più di una volta: mal di testa acuto, raffreddore a più non posso e mal di pancia da farmi piegare in due. Nonostante ciò, la temperatura sul termometro non si era mai alzata al di sopra dei 37 gradi. Mi consideravo fortunata; l'unico aspetto negativo era che non potessi usarla come scusa per non andare a scuola. Non che avessi mai avuto grossi problemi nell'inventarmene di più originali!

Per cui, mentre ero rannicchiata sotto le calde coperte del mio letto, circondata da fazzoletti di carta sporchi e medicine, mi chiedevo se fosse stata l'aria di Seoul a farmi prendere l'influenza peggiore della mia vita. Ero convinta che al posto della testa, fosse comparsa una gigantesca palla da basket che veniva sbattuta ripetitivamente contro il suolo. Le mie guance erano bollenti e sicuramente arrossate, mentre sotto gli occhi avevo due enormi segni violacei. Il resto della pelle aveva assunto un colore verdognolo, quasi cadaverico. Il che non era tanto lontano da come mi sentivo. Ero uno straccio.

Avevo passato gli ultimi quattro giorni rinchiusa nelle mura del mio appartamento. Stavo così male da non essere nemmeno riuscita ad andare a fare la spesa e il cibo in casa cominciava a scarseggiare. Non che avessi particolarmente fame: ogni volta che ingurgitavo qualcosa rischiavo sempre di rimetterlo. Mijung era passata a controllare come stessi un paio di volte, chiedendomi se avessi bisogno di qualcosa in particolare. Non avevo avuto il coraggio di dirle che la dispensa era quasi vuota. Era stata fin troppo gentile con me, da quando ero arrivata.

Dalla mia camera, udii un paio di chiavi essere girate nel chiavistello della porta di ingresso che si aprì per poi chiudersi immediatamente dopo. Doveva essere proprio Mijung. Quella mattina era passata per misurarmi la febbre e aveva detto che sarebbe tornata presto.

«Mijung?» provai a chiamarla ma la voce uscii in un sussurro smorzato e rauco. A malapena io riuscivo a sentirmi.

Rilasciando un leggero sbuffo d'aria, scacciai molto lentamente le coperte dal mio corpo e rotolai verso l'estremità del materasso.

«Ugh!» bofonchiai, ergendomi a sedere. Per un attimo rimasi immobile, sentendo la testa girare come un vortice. Quando fui di nuovo in grado di distinguere chiaramente i miei dintorni, feci pressione sulle braccia e, non senza fatica, mi alzai in piedi. Le gambe sembravano gelatina e, mentre camminavo, avevo il timore che potessero cedere da un momento all'altro.

Ripercorsi mentalmente i giorni prima che mi venisse la febbre, chiedendomi come avessi fatto ad ammalarmi. Ogni volta in cui ero uscita all'aria aperta, ero sempre stata attenta a coprirmi il più possibile, bardandomi con pile pesanti, sciarpe (non quella arancione, ovviamente), cappellini di lana e guanti.

«Mijung, sei tu, vero?» domandai di nuovo, sforzando la voce mentre percorrevo il breve corridoio che conduceva al salotto. Dalla cucina sentivo rumore di pentole che venivano spostate e uno sfrigolare di qualcosa. Stava cucinando? Era impossibile: gli unici ingredienti presenti nella mia dispensa erano un pacchetto di cracker aperto e i residui della scatola di cereali integrali. Sicuramente non bastavano per cucinare qualcosa.

«Mijung, ma...» cominciai a dire, entrando in cucina solo per paralizzarmi sul posto ad occhi sgranati.

Sconcertata, osservai la schiena di Jungkook flettersi mentre tagliuzzava velocemente quelle che sembravano essere delle cipolle. Non si era accorto della mia presenza. Di fianco a lui, sul piano cottura, erano poggiate diverse pentole.

Cosa ci faceva lui nella mia cucina, nel mio appartamento? Perché stava utilizzando i miei fornelli? E, soprattutto, perché c'era una busta della spesa sul tavolo?

«Cosa ci fai qui?» domandò Jungkook, facendomi voltare nuovamente verso di lui.

Lo guardai stralunata.

«No, cosa ci fai tu qui?» gli puntai un dito contro, corrugando le sopracciglia con fare sospettoso. «Questa è casa mia!»

Jungkook lasciò andare la presa sul coltello che stava utilizzando e, dopo essersi pulito le mani con uno straccio, si avvicinò velocemente a me.

«Ti sembra il caso di stare in piedi? Guarda come sei messa!» bofonchiò, prendendomi per le spalle e trascinandomi fuori dalla mia cucina. Era il colmo! «Torna subito a letto!»

«Toglimi le mani di dosso!» gracchiai, prima di essere colpita da una raffica di tosse e starnuti.

Senza ascoltare le mie lamentele, continuò a spingermi verso la mia stanza, spingendomi delicatamente verso il mio letto.

«Stai buona e non ti muovere, d'accordo? È quasi pronto!» disse, prima di uscire dalla mia stanza come se quella fosse casa sua.

«Questo è uno scherzo!» parlottai tra me e me, rassegnandomi a sdraiarmi sul materasso e a tirare su le coperte fino sotto al naso.

Un orribile scherzo!

Venti minuti più tardi, Jungkook entrò nella mia stanza con un vassoio sopra a cui aveva riposto una ciotola fumante. Lo osservai con diffidenza. Cosa credeva di star facendo?

«Ecco qua!» annunciò raggiante, poggiando il vassoio sul comodino di fianco a me. «Zuppa di germogli di soia e riso, made from me!»

Sbuffai.

«Al massimo, made by me!» lo corressi, osservando attentamente la ciotola fumante. «Stai cercando di avvelenarmi, per caso?»

Il suo sguardo si incupì e la fronte si aggrottò.

«No, perché dovrei?» chiese con innocenza. Scrollai le spalle.

«Non so, dimmelo tu.»

Sospirando, afferrò il cucchiaio e, dopo averlo immerso nella zuppa bollente, lo portò alle labbra, assaggiandola.

«Vedi?» disse, dopo averla mandata giù. «Sono ancora vivo.»

«Alcuni veleni ci mettono più tempo per fare effetto.» risposi secca, mentre l'odore della zuppa raggiunse le mie narici. Immediatamente, ebbi l'aquilina in bocca: a giudicare dal profumo, doveva essere squisita.

«Be', vorrà dire che moriremo insieme della stessa morte! Sarebbe così romantico!» mi sorrise schivo, ammiccando con gli occhi. «Potremmo essere i "Romeo e Giulietta" moderni!»

«Peccato che Romeo e Giulietta fossero innamorati.» rimarcai, tirandomi finalmente su a sedere, decisa a dare una possibilità a quella zuppa.

«Non devi mica puntualizzare sempre tutto!» si lamentò, allungandomi il vassoio, stando attento a non far rovesciare nulla. Afferrai il cucchiaio che lui stesso aveva utilizzato e glielo allungai.

«Posso averne uno nuovo?» domandai, sbattendo ripetutamente le ciglia. «Possibilmente, uno su cui non ci sia la tua saliva! Non vorrei si mischiasse alla mia!»

«Se non ricordo male, è già successo una volta e non mi pare ci fosse un cucchiaio in mezzo.»

Le mie guance andarono improvvisamente a fuoco e, mentalmente, ringraziai il rossore dovuto all'influenza per camuffarne il vero motivo.

Lo guardai, con il braccio ancora allungato verso di lui, in attesa che si decidesse a portarmene uno nuovo.

«Mangia.» fu tutto ciò che disse, indicando il vassoio con un leggero cenno del mento. Sospirai profondamente, preferendo abbandonare ogni mia pretesa. In fondo, era solo un cucchiaio.

«Che ci fai qui?» riproposi la mia domanda iniziale, a cui non si era degnato di rispondere. Intanto, immersi il cucchiaio nella zuppa e, con esitazione, lo avvicinai alla bocca. Chiusi le labbra intorno alla posata e, nonostante la titubanza, deglutii.

«Mi avevano detto che stessi male e ho pensato di passare.» disse Jungkook con una scrollata di spalle. «Potevano essere sinceri e dirmi che sei uno straccio vivente!»

Gli lanciai un'occhiata di fuoco. Che stronzo!

«Scommetto che tu sei un modello anche quando stai male!» sputai sarcastica. Peccato che lui colse un pezzo particolare della mia frase.

«Anche?» ammiccò, con un sorriso sghembo. «Pensi che sia un modello?»

Per poco non mi strozzai con l'ennesima cucchiaiata di zuppa.

«No!» tossì, portandomi una mano sul petto. «Non ho detto questo.»

«Invece sì!»

«Credi quello che vuoi.» bofonchiai, appoggiando il cucchiaio sul vassoio. «Perché sei ancora qui?»

Ancora una volta, scrollò le spalle prima di sedersi comodamente sul bordo del mio letto, a pochi centimetri dal mio corpo.

«Non ho nulla da fare!» mormorò.

«E con ciò? Hai intenzione di restare qua ad infastidirmi?»

Schioccò le dita in mia direzione, sorridendo beffardo.

«Potrebbe essere una bella idea!»

«Per nulla.» mugugnai, riprendendo a mangiare. A differenza delle mie aspettative, la zuppa era grandiosa. Non credevo che una semplice zuppa potesse essere così tanto gustosa.

«Quella è la mia sciarpa?» chiese dopo un po', indicando con un cenno del mento la sciarpa arancione piegata sulla mia scrivania.

«Puoi riprendertela.» risposi, senza prestargli troppa attenzione. «Ha fatto già abbastanza danni.»

«Intanto è grazie a quella se nessuno sa come sia fatto il tuo volto!»

«Ah, ma che bello! D'altro canto, non ho letto nessun articolo che parlava di questa "ragazza dalla sciarpa arancione"!» risposi acidamente, assottigliando lo sguardo verso di lui.

«Bang Pd ha risolto tutto. Ora il mondo crede che tu sia la cugina di Jimin! Non devi preoccuparti!» la sua mano si posò casualmente sul materasso, prendendo contro alla mia gamba, fortunatamente riparata dalla coperta. Ciò nonostante, sussultai.

«Hai discusso con Seojun, la settimana scorsa.» continuò lui quando non dissi nulla.

Gli rivolsi uno sguardo confuso: e con ciò?

«Perché stavate parlando in inglese?»

I muscoli della mia schiena si tesero impercettibilmente, mentre i miei occhi non si attentarono ad alzarsi dalla zuppa. Avevo bisogno di una scusa. In fretta.

«Immagino fosse un modo per omaggiare la terra da cui entrambi veniamo!» ridacchiai nervosamente. Jungkook alzò un sopracciglio, non convinto.

«Non l'avete fatto per evitare che qualcun altro potesse udirvi?» propose, fin troppo convinto della sua supposizione. Per un attimo lo osservai, cercando di capire dalla sua espressione se ci fosse un motivo dietro la sua sicurezza ma non trovai nulla.

«Perché avremmo dovuto?»

«Non so, magari perché state nascondendo qualcosa?»

«E, sentiamo, cosa mai dovremmo nascondere io e Seojun?» domandai, fingendomi alquanto annoiata dalla situazione. La verità è che stavo tremando all'idea che lui sapesse. Era per quello che era venuto lì? Per minacciarmi, come faceva di solito?

«Che state insieme, per esempio!» disse, diventando estremamente serio. Spalancai leggermente gli occhi. Come poteva pensare una cosa del genere?

«Come sarebbe a dire?» chiesi, confusa.

«Da quando vi siete conosciuti, avete passato molto tempo insieme, anche troppo! È normale pensare che tra voi ci possa essere una relazione.»

Roteai gli occhi, mettendo il vassoio da parte.

«E se anche fosse? Cosa ti interessa?»

«A me non interessa. Vorrei solo ricordarti che è vietato avere relazioni sul posto di lavoro!» dichiarò, alzandosi nuovamente in piedi. Afferrò il vassoio e fece per uscire. Ma la mia voce lo richiamò.

«Per ora, l'unico idiota che ha provato ad infrangere quella regola sei stato tu, quando mi hai baciata!» lo accusai, puntandogli un dito contro e guardandolo minacciosamente.

Non aveva il diritto di spuntare sentenze sulla mia vita, soprattutto se infondate.

«Il regolamento vieta di avere relazioni e, per quanto ne so, noi due non stiamo insieme.» si voltò e, dandomi le spalle, aggiunse: «Non ingigantire le cose, Chaeyoung-ah! È stato solo un bacetto, nulla di che!»

Uscì dalla stanza, stando attendo a chiudersi la porta alle spalle e io rimasi lì, come un ebete, a chiedermi come mai mi sembrasse di avere un lieve nodo alla gola.

«Nulla di che.» sussurrai a bassa voce, con lo sguardo perso verso la porta da cui Jungkook era appena uscito. «Nulla di che.»

niente, al nostro jungkook piace prendersi cura della piccola chaeyoung  quando sta male! come è altruista!

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