✓ Seoul, Why Do You Sound Lik...

By amemipiaceilcocco

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{COMPLETA} «Pensaci, saremmo proprio una bella coppia. Tu la brava ragazza della porta accanto e io il bastar... More

intro
prologo
uno
due
tre
quattro
cinque
sei
sette
otto
nove
dieci
undici
dodici
tredici
quattordici
quindici
diciassette
diciotto
diciannove
venti
ventuno
ventidue
ventitré
ventiquattro
venticinque
ventisei
ventisette
ventotto
ventinove
trenta
trentuno
trentadue
trentatré
trentaquattro
trentacinque
trentasei
trentasette
trentotto
trentanove
quaranta
quarantuno
quarantadue
quarantatré
quarantaquattro
quarantacinque
quarantasei
quarantasette
quarantotto
quarantanove
cinquanta
cinquantuno
cinquantadue
cinquantatré
cinquantaquattro
cinquantacinque
cinquantasei
cinquantasette
cinquantotto
cinquantanove
epilogo
the end

sedici

772 30 0
By amemipiaceilcocco

Per la seconda volta, durante quella serata, sentii la pelle bruciare sotto il suo tocco. Questa volta, in modo diverso, più spaventoso.

Non capivo cosa stesse succedendo intorno a me e tanto meno dentro di me. Avevo completamente perso il controllo su me stessa. Ero in piena balia delle mie emozioni e del suo modo di risvegliarle. Ancora una volta, era lui ad avere le redini di questo gioco pericoloso.

Ma non per molto.

Seppure breve, ci fu un istante in cui la mia coscienza riemerse dall'abisso in cui l'avevo gettata, costringendomi a fare quello che avrei dovuto fare fin da subito. Posizionai le mani sul suo petto e con tutta la forza che avevo, lo allontanai da me secondi prima che le sue labbra potessero spostarsi ancora dove non sarebbero mai dovute finire.

Mi rincuorai nel notare la sua espressione spaesata. Per lo meno, non ero l'unica a non capire. Immaginai che anche lui si stesse chiedendo cosa gli fosse preso. Entrambi ci eravamo lasciati prendere dal momento. Era l'unica spiegazione logica. L'unica che potevo permettermi di accettare.

«Devi andartene.» sussurrai prima ancora che lui potesse dire qualcosa.

«Chaey...»

«Adesso.» lo interruppi, voltandomi prontamente per dargli le spalle.

Immediatamente, dentro di me, si fece spazio un'emozione che, da quando ero arrivata in Corea, avevo imparato a conviverci: l'incazzatura. Ero infuriata, arrabbiata nera. Ma non con Jungkook.

Con me stessa, per averglielo permesso. Avevo lasciato che le sue mani mi stringessero a sé, che i suoi baci mi tracciassero il volto, il collo. Io stessa avevo voluto stringergli il volto tra le mani, lo avevo avvicinato a me cingendogli il collo. Ma ciò non bastava a farmi sentire un'idiota immatura, succube dei propri desideri da adolescente. Quello che mi faceva stare peggio era che Jungkook mi aveva quasi baciata e io glielo avevo quasi permesso.

La porta della stanza si chiuse con un leggero rumore di serratura e la stanza sprofondò in un silenzio ancora più assordante. Quello era il momento peggiore per restare da sola. Sola in compagnia dei miei pensieri. Era paragonabile ad un suicidio.

Senza indugiare oltre e, soprattutto, senza preoccuparmi di portare con me il telefono o le chiavi della stanza, uscii nel corridoio e mi indirizzai verso le scale. In lontananza scorsi una figura scura voltarsi al mio passaggio e dedussi che dovesse essere proprio lui, dal momento in cui era uscito pochi istanti prima di me. Per questo motivo, affrettai il passo e, una volta nella hall, corsi fuori. L'aria fresca di Hong Kong mi investì con prepotenza, permettendomi di fare un lungo respiro che non mi ero accorta di star trattenendo. Guardai prima a destra e poi a sinistra. E ora? Dove dovrei andare? Ero in una città totalmente estranea a me, non conoscevo la lingua e non avevo portato nemmeno il telefono. Dovevo stare attenta a non allontanarmi troppo, altrimenti mi sarei persa e solo Dio sa cosa mi avrebbe fatto Bang PD.

Decisi di tentare la fortuna e ruotai di novanta gradi verso sinistra, incominciando a camminare sul marciapiede. Le strade erano affollate, costringendomi a fare lo slalom tra i passanti. Osservavo con attenzione tutte le vetrine che incontravo, nonostante non fossi mai stata un'amante dello shopping. Lisa, invece, sarebbe impazzita. La potevo immaginare camminare al mio fianco, saltellando avanti e indietro come un cagnolino, emettendo gridolini esaltati e chiamando continuamente il mio nome per farmi vedere chissà quale capo di abbigliamento: ora l'abito nero con le paillettes, ora i jeans viola a vita alta. Poi mi avrebbe implorata di comprarle una gonna super pompata da chissà quale carissimo marchio d'abbigliamento. Alla fine, si sarebbe messa nell'ordine delle idee di non potersi permettere tutto ciò e mi avrebbe semplicemente trascinata a prendere un gelato alla vaniglia e io sarei stata felicissima di accompagnarla.

Mi manca parlare con lei, di tutto e nulla. Mi manca confidarmi con lei di mia madre e delle mie disavventure amorose. Mi manca farle i dispetti. Mi manca tirarle i capelli solo perché sono invidiosa che i suoi, nonostante la tinta, siano ancora sani, a differenza dei miei, pieni di doppie punte. Mi manca invitarla a casa mia solo per non dover passare un'altra delle mie giornate monotone insieme alla mia noiosa famiglia.

Mi manca e basta. Tremendamente.

Mi fermai ad osservare con sguardo assente l'ennesima vetrina. Il vestito rosso con lo scollo a cuore e la gonna lunga fluttuante era sicuramente bello, ma io non riuscivo a fare altro che notare la mia sagoma riflessa nel vetro. Le spalle incurvate, il volto serio con le sopracciglia aggrottate, le mani chiuse a pugno lungo i fianchi: non c'era nemmeno un accenno di serenità in me. Ero pura tensione: una molla pronta a saltare in aria.

E per poco non lo feci, quando si fermò appena dietro di me una figura, che riconobbi immediatamente. I suoi occhi erano puntati sul vestito rosso, mentre i miei sul suo viso. Nessuno dei due disse nulla, non che ci fosse qualcosa da dire. Non sapevo per quale motivo mi avesse seguito, ma speravo sapesse che non avremmo discusso di ciò che era accaduto.

«Chaeyoung.» pronunciò il mio nome in un sussurro, come se avesse paura di dirlo ad alta voce. Come se avesse potuto rendere qualcosa di non ancora tangibile più reale.

«È Chaeyoung-ssi per te.» risposi secca. Lo sentii sospirare abbattuto, ma dal suo riflesso vidi il formarsi di un labile sorriso sul suo volto.

«Torna a casa.» mormorò, facendo un quasi impercettibile passo in avanti, verso di me. Dalla vetrina, lo notai alzare qualcosa di morbido in aria per poi mollarlo proprio sulla mia testa, rivelandosi così una felpa grigia. Era sua, a giudicare dall'enormità dell'indumento.

«In questo momento, vorrei davvero tornare a casa.» fu il mio turno di sospirare. Mi voltai per confrontarlo. «In Australia.»

Mi spostai di lato e lo superai, incamminandomi nuovamente verso l'hotel. I suoi passi erano lontani dai miei. Se avesse voluto, avrebbe potuto raggiungermi senza alcuna difficoltà ma si limitò a seguirmi in silenzio, lasciandomi lo spazio che, implicitamente, gli avevo chiesto. Era stato... gentile.

Questa volta, mi permise di prendere le scale e solo una volta arrivati in cima, mi chiamò per nome. Lo guardai esasperata, stanca di dovergli ripetere ogni volta che non volevo parlargli, che non volevo avere nulla a che fare con lui e che doveva lasciarmi in pace. Ma il suo volto corrucciato mi spinse a voler quantomeno ascoltare cosa avesse da dire.

«Dimmi.» sussurrai. Era tardi, non sapevo se gli altri fossero già tornati o meno. Ma non era per quello che sussurrai. Credo fosse più per addolcire il mio tono che nei suoi confronti era sempre stato acido o sarcastico.

Per un attimo, Jungkook fece vagare gli occhi per tutto il corridoio, sbattendo le palpebre ripetutamente. Strofinò le mani lungo i jeans scuri e tornò a guardarmi. E, ancora prima che aprisse bocca, avevo capito.

«Mi dispiace, Chaeyoung-ssi.» mormorò, abbassando il volto colpevole. «Non so cosa mi sia preso, ti assicuro che non era qualcosa di premeditato.»

Sorrisi per la modalità originale che utilizzò per dirmi che non era per nulla interessato a me.

«Non ti preoccupare.» risposi sincera. «Avrei potuto fermarti, ma non l'ho fatto. Be', sì l'ho fatto, ma un po' tardi.»

«Già.» annuì lui, senza aver veramente ascoltato le mie parole. «Spero non ci sia astio tra di noi.»

Corrugai la fronte.

«C'è sempre stato.» affermai come se stessimo parlando dell'ovvio. Cosa credeva che ci fosse tra di noi? Amicizia?

Lui roteò gli occhi al cielo.

«Intendevo per quello che è successo, scema.» ridacchiò tirandomi uno scappellotto leggero sulla fronte. Sul serio? Sbuffai ma non riattaccai come avrei tanto voluto fare.

«Comunque, sì, non c'è astio. Voglio dire: ti capisco!»

«Mi capisci?» domandò, spostando il peso del corpo sulla gamba sinistra. Annuii seriamente convinta.

«Certo! Sei un ragazzino pervertito di diciotto anni che, in preda ai suoi ormoni infantili, ha calato il suo sguardo sulla persona più bella al mondo. Era ovvio che sarebbe successo, non so perché non ci abbia riflettuto prima!»

«Tu saresti la persona più bella al mondo? Non so se te ne sei resa conto, ma l'unico momento in cui vedo la cosa più bella al mondo è quando guardo nello specchio!» si accarezzò il volto in modo teatrale, sbattendo le palpebre ripetutamente.

«Idiota.» mormorai, voltandomi per andare verso la mia stanza. Senza tornare a guardarlo, gli augurai la buonanotte.

Solo quando raggiunsi la mia porta, sentii il rumore dei suoi passi fermarsi.

«Comunque, quando prima ti ho chiesto di tornare a casa, non intendevo l'Australia.»


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