✓ Seoul, Why Do You Sound Lik...

By amemipiaceilcocco

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{COMPLETA} «Pensaci, saremmo proprio una bella coppia. Tu la brava ragazza della porta accanto e io il bastar... More

intro
prologo
uno
due
tre
quattro
cinque
sei
sette
otto
dieci
undici
dodici
tredici
quattordici
quindici
sedici
diciassette
diciotto
diciannove
venti
ventuno
ventidue
ventitré
ventiquattro
venticinque
ventisei
ventisette
ventotto
ventinove
trenta
trentuno
trentadue
trentatré
trentaquattro
trentacinque
trentasei
trentasette
trentotto
trentanove
quaranta
quarantuno
quarantadue
quarantatré
quarantaquattro
quarantacinque
quarantasei
quarantasette
quarantotto
quarantanove
cinquanta
cinquantuno
cinquantadue
cinquantatré
cinquantaquattro
cinquantacinque
cinquantasei
cinquantasette
cinquantotto
cinquantanove
epilogo
the end

nove

821 28 0
By amemipiaceilcocco

Per la prima volta dopo tanto, mi svegliai riposata. Aprii gli occhi, accogliendo felice la luce trapassante dalla tenda della finestra. Fuori doveva esserci il sole. Sorrisi, stiracchiandomi dolcemente, godendomi gli ultimi momenti con le morbide lenzuola bianche. Anche se, diversamente dal solito, non vedevo l'ora di cominciare la giornata.

L'orologio segnava le nove e un quarto e io, senza fretta, mi alzai e, dopo aver preso il necessario, entrai in bagno per fare una lunga e rilassante doccia.

Portai con me anche il piccolo lettore musicale e lo appoggiai di fianco al lavandino. Lessi attentamente i brani contenuti nella playlist dedicata alla doccia e, dopo lunghissimi secondi di dubbio, decisi che Amy Macdonald mi avrebbe fatto compagnia con This Is The Life. Era la prima canzone che io e Lisa ascoltavamo ogni volta in cui dovevamo farei dei viaggi lunghi; una sorta di tradizione. Ripensai al magnifico viaggio in Europa, quando visitammo la Spagna insieme ad altri nostri amici: Barcellona, Madrid, Malaga e Valencia. Uno spettacolo. Ci divertimmo un sacco, soprattutto quando cercammo di interagire con le persone del posto. A quanto pare, in Spagna, parlano un inglese tutto loro. Le nostre conversazioni erano un misto di incomprensioni e silenzi imbarazzanti in cui nessuno capiva cosa l'altro stesse cercando di dire. Fortunatamente, uno dei ragazzi aveva studiato lo spagnolo da piccolo ed era stato in grado di aiutarci. Più o meno.

Uscii dalla doccia, avvolgendo il mio corpo in un asciugamano bianco. Valutai l'idea di mettere subito le lenti a contatto ma scartai subito l'opzione. Nonostante le usassi da ormai cinque anni, i miei occhi non erano ancora abituati e ogni volta l'operazione si trasformava in un parto. Almeno per la mattinata, avrei messo gli occhiali.

Strofinai un po' i capelli con un altro asciugamano e li lasciai umidi sopra le spalle. Li pettinai, sorprendendomi per l'assenza di nodi e, dopo aver spalmato una crema idratante sul viso, andai in cucina. Il mio stomaco brontolava da un po'.

Preparai la moka e la sistemai su un fornello. Nell'attesa che il caffè bollisse, tirai fuori il vasetto di marmellata ai fichi e un paio di fette biscottate e preparai la mia colazione. Dal lettore musicale, rimasto in bagno, echeggiò una melodia che riconobbi immediatamente.

Think. Think. Think. Think. Think. Think. Think. Think.

You think. Think. Think. Think. Think about it. Think.

«You better think!» gridai a squarciagola, correndo in bagno per prendere il lettore musicale e portarlo in cucina.

Spensi il fuoco da sotto la moca, muovendo i fianchi a ritmo di musica e versai il caffè bollente in una tazza.

It don't take too much high I.Q. to see what you doin' to me.

Presi un sorso del caffè, rischiando di bruciarmi il palato ma non me ne curai perché il pezzo migliore era arrivato.

Oh, freedom!

Freedom!

Freedom!

Yeah, freedom!

Saltavo come una pazza per tutta la cucina, addentando ogni tanto la fetta di biscottata che tenevo in mano.

«Aretha Franklin is in the house, baby!» gridai a squarciagola, pregando che nessun vicino fosse a casa. O che, per lo meno, i muri fossero abbastanza spessi da contenere il baccano che stavo facendo.

Dopo un altro sorso di caffè, ripresi a cantare insieme alla mitica jazzista, muovendomi come una pazza. Non so come, visto che stavo letteralmente urlando, udii qualcuno bussare alla porta. Alla mia porta. Immediatamente, spensi la musica e corsi in salotto, dimenticandomi di lasciare la fetta biscottata in cucina.

Un po' frastornata aprii la porta e per poco non caddi a terra.

«Ma che cavolo...» lasciai la frase a metà, completamente stordita.

Gli occhi spalancati e il sorrisetto beffardo che aveva disegnato in volto mi spinsero a volergli sbattere la porta in faccia, ma non feci in tempo. Velocemente, infilò uno scarponcino tra lo stipite e la porta per evitare che questa si chiudesse e, facendo una leggera pressione, la spalancò completamente, entrando in casa mia senza essere stato invitato.

Lo seguii con lo sguardo allibita, sia per la sua presenza lì, nel mio appartamento, ma più che altro conscia del fatto che doveva aver sentito buona parte del mio show.

«Bang Pd-nim aveva detto che probabilmente avresti fatto da voce di sottofondo in alcune canzoni, ma non pensavo fossi effettivamente brava a cantare.» esordì, continuando a mantenere quello stupido sorrisetto.

Non per molto, comunque, visto che i suoi occhi si abbassarono sul mio corpo e le sue guance si tinsero di rosa. Confusa, abbassai lo sguardo e notai con disgusto e stupore che ero coperta da un semplicissimo asciugamano bianco. Certo, copriva quel che doveva coprire, ma ciò non bastava a diminuire il mio più profondo e sincero imbarazzo.

«Che ci fai qui?» sputai nel tentativo di mascherare il disagio, ma percepii la mia voce tremolante. Credo che anche lui se ne accorse.

«Te l'ho detto, ieri. Voglio parlare.» rispose lui, voltandosi per inoltrarsi nel mio salotto.

«Mi sembrava di essere stata abbastanza chiara. Io non voglio.» non mi mossi dalla mia postazione, la mano ancora sulla maniglia. Perché? Perché non sarebbe rimasto ancora a lungo.

«Si, avevo capito il messaggio. Ho deciso di fregarmene, chiaramente.» mi lanciò un'occhiata prima di riaprire la bocca: «Stavi facendo colazione? Continua pure!»

Entrò in cucina, guardandosi un torno come se fosse a casa di amici.

A quel punto capii che uno, non se ne sarebbe andato tanto presto, e due, non potevo permettermi di lasciarlo girovagare per casa mia mentre io stavo ferma come un'ebete davanti alla porta. La chiusi, facendole fare più rumore del necessario, giusto per mettere in chiaro le cose, e lo raggiunsi.

Sgranai gli occhi quando vidi la mia tazza di caffè nelle sue mani avvicinarsi pericolosamente alla sua bocca.

«Che cavolo...» ancora una volta, non conclusi la mia frase. Ormai, aveva preso un sorso di caffè. Stavo per aggredirlo, sul serio, ma quello che successe dopo che ebbe mandato giù la sostanza amara fu epico. La sua bocca si arricciò in una smorfia di disgusto puro, strizzò gli occhi con tutta la sua forza e tirò fuori la lingua come un bimbo che ha appena assaggiato un cibo che non gli piace.

Scoppiai a ridere.

«Ti sta bene!» lo presi in giro, esilarata dalla sua reazione. Epica, letteralmente epica! Era quel genere di cose che non ti dimentichi nemmeno se lo desideri con tutto te stesso: e io non lo desideravo affatto!

«Si, brava! Ridi quanto vuoi!» mugugnò lui, ancora schifato.

«Preferisci un succo alla frutta, cocco della mamma?»

«Preferisco che tu stia zitta, che ne dici?» ribatté guardandomi in cagnesco. Peccato che dopo quella smorfia non sarei mai più riuscita a prenderlo sul serio.

«Ho anche dei biscottini al cioccolato, li vuoi?» continuai con il tipo di voce che si usa per parlare con i bambini piccoli.

«Chaeyoung, vedi di tapparti quella bocca o...»

«O cosa? Hai intenzione di chiamare la mamma? Patat...» avrei tanto voluto concludere quella semplicissima parola ma la velocità degli eventi successivi mi colse totalmente alla sprovvista tant'è che la fetta biscottata volò per terra e io gridai per lo spavento.

In un secondo, mi ritrovai con le spalle al muro e le braccia lungo ai fianchi, tenute ferme da Jungkook il cui volto era giusto a qualche centimetro di distanza dal mio. I suoi occhi erano neri come la pece e il suo respiro caldo contro le mie labbra. Io, dal mio canto, stavo tremando internamente per il terrore. Sentivo che il cuore sarebbe potuto balzare fuori dal petto da un momento all'altro.

«O ti farò pentire di essere venuta fino a Seoul.» sussurrò utilizzando un tono che non ammetteva repliche. Non era stato autoritario, né brusco, o tanto meno imperativo. Lo aveva solo mormorato con estrema calma e serietà, destabilizzandomi al punto da riuscire a rispondere esclusivamente con un misero "okay", a malapena udibile.

«Siamo d'accordo.» sorrise, prima di rilasciare le mie braccia e di riconcedermi il mio spazio vitale.

Quando si allontanò, rilasciai un respiro che non sapevo di star trattenendo.

«Parliamo, quindi?» domandò, dopo aver raccolto la mia fetta biscottata da terra. Lo osservai scioccata mentre, con un tovagliolo, puliva i residui di marmellata rimasti sul pavimento.

Quando tornò a guardarmi, l'unico desiderio che si fece spazio dentro di me fu quello di essere seppellita mille metri sottoterra.

{spazio autrice}

chaeyoung e i suoi concerti privati in appartamento

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