SOTTO LE PERSONE

By peesca

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Vincitrice premio #Wattys2020 categoria New Adults 🫶🏻 "Una nuova città, una mansarda malconcia, l'universit... More

Prefazione
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
SPAZIO AUTRICE
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Ringraziamenti
Playlist Spotify

Capitolo 21

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By peesca

«Come mai stai in appartamento a Venezia?» chiedo, scendendo dalla mia postazione per dare una mano a cucinare. Ryan prende piatti e posate, apre il rubinetto e inizia a lavare la verdura.

«La mia vita è là ora. Qui non c'è più niente per me.» Parla con un tono pensieroso, ma tranquillo, mentre continua a preparare i vari ingredienti.

«Come mai?»

«Te l'ho già detto, piccola, non sono cose che ti riguardano.»

«Sto solo provando a fare conversazione» rispondo, cercando di non prendermela.

«Taglia questi.» Mi passa i due pomodori appena lavati, e le nostre dita si sfiorano. Lo guardo di sfuggita, poi mi sposto sul piano da cucina.

«Frequenti l'università?» chiedo, mentre inizio a tagliare.

«No. Mi è capitato di seguire un paio di corsi, ma l'università non fa per me.»

«Capisco.»

«Ma come li stai tagliando?» Ryan abbozza un sorriso, chiude il rubinetto e viene in mio aiuto.

«Non li puoi tagliare a cubetti, se li devi mettere nella piadina» dice, con quello strano tono dolce che ancora non mi capacito usi con me.

Come nelle più classiche scene da film, si posiziona dietro di me, racchiude la mia mano nella sua, e io scompaio tra le sue braccia. Mi guida per tagliare il pomodoro a modo suo, a fette sottili.

«Lo so fare» ribatto, sommessamente.

«Lo so.»

«Allora perché...»

«Perché parli sempre, ragazzina?»

Mi zittisco, lasciando che il suo corpo sfiori il mio, che il suo respiro mi sussurri all'orecchio, che le sue mani bacino le mie. Trattengo il fiato quando sposta la sua mano sul mio braccio, poi sul mio fianco. La porta sulla coscia, stringe l'orlo del mio vestito in un pugno, alzandomelo. Ogni suo gesto è carico di tensione, ma calcolato in modo da stuzzicarmi e farmi sperare che non smetta più.

Come può un solo tocco provocarmi così tanto? penso, inutilmente incazzata con me stessa per il fatto di lasciargli prendere il controllo, perdendo il mio.

Chiudo gli occhi, provo a convincermi che non può essere così sbagliato, se mi fa stare tanto bene. Ryan mi fa ruotare lentamente, lasciandomi il minimo spazio necessario per muovermi tra il mobile e il suo corpo. Mi ritrovo a dover appoggiare le mani sul suo petto, il viso all'altezza delle clavicole. Dopo aver spostato indietro i piatti, avvicinandosi ancora di più a me, mi prende dal bacino e mi solleva dolcemente, facendomi sedere sul bordo del piano da cucina.

Mi incastra le mani sotto le sue, e coi fianchi si fa spazio tra le mie gambe. Mi perdo nei suoi occhi chiari, lasciandomi catturare dallo stesso sguardo ricolmo di passione che gli avevo visto assumere alla festa.

Sfiora le mie labbra con le sue, prima di baciarmi.

Non riesco a controllare un respiro di fastidio e disapprovazione, quando il cellulare inizia a squillargli e a vibrargli nella tasca dei pantaloni. Parecchio infastidito, si distacca freddamente da me e prende il cellulare, rispondendo alla chiamata.

«Sei sicuro?» chiede, allontanandosi ancora di più.

Scendo dal mobile, mi sistemo il vestito, e mi passo il pollice sulle labbra.

«Va bene» lo sento dire, mentre finisco di tagliare il pomodoro.

«Non me ne faccio un cazzo di un passo avanti» lo percepisco trattenere la rabbia, non alza la voce, ma si fa sempre più distante.

Inizio a mettere il necessario dentro la piadina, continuando a dargli le spalle. Lo sento muoversi nella cucina, impaziente.

«Dobbiamo sbrigarci, ci stiamo mettendo troppo» continua Ryan.

Scaldo le piadine, e aspetto tamburellando le dita. Non voglio pensare a ciò che è successo, a ciò che stava per succedere. Mi concentro su ciò che dice al telefono, accantonando ogni altro pensiero.

Chi cazzo è che lo chiama all'una di notte?

«Sì, ciao» ribatte a un tratto, chiudendo la telefonata. «Cazzo» impreca poi, e sbuffa.

Faccio scivolare le piadine sui piatti e le porto al tavolo, posizionato al centro della cucina. Vedo Ryan passarsi una mano tra i capelli, irrigidire la mascella, armeggiare con il cellulare.

Mi trattengo dal chiedergli se vada tutto bene e faccio finta di niente. Dopo avergli avvicinato il piatto, inizio a mangiare. Una volta messo in tasca il cellulare, osserva la piadina e poi mi guarda, ma io distolgo lo sguardo.

«Che c'è, non parli più ora?» chiede, alzando un angolo della bocca. Si fa provocante come al suo solito, osserva ogni parte di me, anima e corpo, e prende in mano la piadina.

«Non ho niente da dire» sussurro, provando a evitare di immischiarmi nei suoi affari.

«Che vuoi sapere?» mi domanda, capendo che mi sto mangiando la lingua per non risultare quella curiosa e sfacciata.

«Tutto a posto, al telefono?» mi espongo un poco.

«Più o meno. Diciamo che le cose potrebbero andare meglio.» Inizia a mangiare, e io continuo a masticare lentamente.

«Chi era?»

Non reggo più la curiosità di sapere che gli succede. Le sue parole erano decisamente strane.

«Marco.»

«Come mai dici che le cose potrebbero andare meglio?»

«Perché è così. Devo risolvere una questione, e non ho intenzione di metterci più del dovuto.»

«E cos'è che devi fare?»

«Devo rintracciare una persona.»

La sua frase mi lascia pensierosa e un po' preoccupata, punto gli occhi al piatto e rimango in silenzio per qualche istante.

Riprendo a parlare, con un po' più di coraggio, per chiedergli: «Perché rimani sempre sul vago? Mi dici che sono cazzi tuoi, che è meglio che non sappia. Ora mi chiedi cosa voglio sapere, ma comunque non mi dai delle risposte».

Finisce di mangiare la piadina, mentre io sono ancora a metà.

Spinge indietro la sedia, si mette comodo allargando le gambe e appoggiando un braccio sulla spalliera. Si lascia osservare da me, non resisto a non squadragli il petto. Deglutisco e arriccio le labbra, cercando di elaborare tutte le sensazioni che mi attorcigliano lo stomaco.

Il nostro gioco di sguardi continua, credo stia elaborando una risposta sensata da darmi.

«Vieni qui» mi dice, invece.

Vuole giocare? Giochiamo, allora, penso, determinata a non lasciarmi sopraffare dalle mie emozioni, da ogni parte di lui così incredibilmente attraente.

«Perché dovrei?» rispondo, tirando indietro anche io la sedia, accavallando le gambe e provocandolo a mia volta.

«Preferisci che venga io?»

Si porta in avanti, appoggia gli avambracci sulle ginocchia, spingendosi a bordo della sedia.

Cazzo, sa sempre come controbattere.

«E perché dovresti venire tu?» rilancio, con il cuore che inizia a galopparmi nel petto.

Ryan si alza, viene verso di me, si piega sul mio viso, appoggiando le mani sullo schienale della mia sedia.

«Perché ti voglio mia» mi sussurra all'orecchio. Trattengo il respiro per non mostrare quanto sono agitata. Faccio scorrere una mano tra i suoi capelli, sulla nuca, e porto l'altra sopra il suo tatuaggio, sfiorandolo. Quando sta per baciarmi, mi sposto leggermente indietro. Mi scappa un sorriso, e anche lui sembra divertito dalla cosa.

«Mh» mormora. «Te l'avevo detto di non giocare col fuoco.»

In un gesto forte e scaltro, ma comunque elegante, mi alza e mi fa sedere sul tavolo. Con più foga di prima, mi apre le gambe, mi afferra i polsi e me li blocca dietro la schiena. La paura che di solito in queste situazioni mi attanaglia, si è trasformata in qualcosa che non avevo mai provato prima. Desiderio, semplice e puro desiderio, un insieme di passione e romanticismo, che voglio essere libera di sentire in ogni particella del mio corpo.

Con gli occhi vibranti, porta l'altra mano sul mio collo, mi obbliga ad alzare il mento premendo le dita alla base della mascella, e mi bacia.

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