𝐋𝐀𝐌𝐄 𝐃𝐈 𝐒𝐀𝐍𝐆𝐔𝐄...

By Chiarasaccuta_writer

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SECONDO CAPITOLO DELLA SAGA Dopo le terribili perdite avvenute nella società degli Shinigami, nuovi cambiamen... More

1(Parte I/II)
1(Parte II/II)
2 (Parte I/II)
2(Parte II/II)
3(Parte I/II)
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4 (Parte I/II)
4 (Parte II/II)
5 (Parte I/II)
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6 (Parte I/II)
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11 (Parte I/II)
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28 (Parte I/II)
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By Chiarasaccuta_writer

Shiori non si era trattenuta più di tanto e, una volta assicuratasi dell'assenza della sorella, era sgattaiolata fuori dalla Città Celeste e si era avventurata per le vie di Isao.

La stanchezza procurata dalla missione le gravava sulle spalle come un macigno, ma non era nulla paragonata alla tensione che da sempre l'accompagnava.

Ogni giorno, dopo essersi alzata dal letto, usciva fuori di casa e ciò che vedeva davanti i suoi occhi erano solamente altri sguardi vuoti, altri Kawaakari che avevano perso il senso della vita rassegnandosi a un destino vuoto e privo di felicità. Assomigliavano a dei fastidiosi fantasmi che non facevano altro che ricordarle che anche lei avrebbe presto perso l'ultimo barlume di emotività e si sarebbe trasformata in un automa vuoto, posto a difendere solamente ciò che restava della Famiglia Imperiale.

Non si sarebbe mai abituata alla vita da Kawaakari o, forse, l'aveva già fatto e non se ne rendeva conto? Dietro il suo silenzio e la sua totale inespressività si nascondeva ancora quella flebile parvenza di emozione, o era tutto sfumato?

Scosse la testa, scendendo una scalinata che l'avrebbe portata al quartiere di Kaze, dove le case da tè si mischiavano alle osterie. Un luogo allegro, in cui gli abitanti altolocati di Isao passeggiavano avvolti nelle loro vesti svolazzanti e dai colori sgargianti.

Era quasi mezzogiorno e lei era ancora in tempo per farsi una sana bevuta all'osteria più vicina. Quindi ci si diresse, ignorando le varie occhiate che la gente le lanciava al solo notare il suo abbigliamento. Solitamente i Kawaakari non si facevano vedere al di fuori della Città Celeste, ma Shiori era sempre stata troppo pigra per infilare un Kimono ricamato con lo stemma della sua famiglia disonorata.

Che guardassero pure, non le importava.

Dopo essere arrivata al locale designato, sollevò le tende che ciondolavano dalle porte ed entrò in una sala affollata e piena di gente intenta a gustare pranzi sostanziosi adagiati su ciotole di porcellana. La giovane sentì lo stomaco brontolare, ma si morse le labbra e rimise i suoi bisogni al loro posto. Non era lì per mangiare, ma per bere. Per annegare le sue frustrazioni e rimpianti in una bottiglia colma di sakè fino all'orlo. Per dimenticare in che condizioni versasse, per scordare che nelle sue vene scorresse in realtà sangue misto e per lasciarsi alle spalle le preoccupazione sul suo futuro.

Era davvero caduta in basso.

Qualche minuto dopo e otto bicchieri di sake più tardi, Shiori si ritrovò a dover fronteggiare l'ultima persona che avrebbe sperato di incontrare in vita sua: Momotarō.

Era venuto accompagnato da altri Shinigami affamati che non persero tempo nell'andare ad occupare un posto al primo tavolo libero.

Shiori rimase a fissarlo, in attesa che lui li raggiungesse, prima di rendersi conto che gli occhi verdi del giovane uomo erano fissi proprio su di lei.

Lo vide avvicinarsi al suo tavolo e inginocchiarsi, sfoggiando il migliore dei suoi sorrisi. "Shiori-san!"

"Momotarō." Replicò lei, gettando giù per la gola un'altra sorsata di sakè.

L'ultima volta che lo aveva visto era stato il giorno prima, quando erano tornati a casa e lei aveva avvertito un terribile dolore agli occhi causato dallo Yugen. Le pupille avevano cominciato a farle così male da non riuscire neanche a vedere, e lei aveva accettato controvoglia l'aiuto che lo Shinigami le aveva offerto nell'accompagnarla a casa.

"Ti fai una bevuta, eh?" Le chiese, osservando la bottiglia bianca contrassegnata dagli ideogrammi del sake dipinti in rosso sulla superficie.

Shiori si verso quello che sarebbe stato l'ultimo bicchiere, non voleva ubriacarsi davanti a qualcuno che conosceva appena. "Come le persone tristi e sole."

Momo rise, imbarazzato. "Quanta felicità che mi trasmetti."

"Sono una Kawaakari, che ti aspettavi?" Shiori posò il bicchiere davanti a lui, incrociando il suo sguardo capace di riscaldare anche la stalattite più gelida. "Dovresti tornare dai tuoi amici."

"Volevo solo sapere se stavi meglio, non sembravi avere una bella cera ieri."

"Perché ti interessa?"

"Perché ero, e sono, preoccupato per te." Borbottò lui, torturandosi la treccia rossa che gli pendeva sul lato destro della spalla. "Perché mi guardi così?"

La Kawaakari aveva spalancato le palpebre a quelle parole dolci e premurose. Nessuno, a parte Yori e il ricordo che le rimaneva di sua madre, si era mai preoccupato per lei. Quell'attenzione superficiale sembrava averle alleggerito il cuore più di quanto dovesse.

"Mi fa piacere." Mormorò alla fine, notando le sopracciglia del giovane inarcarsi. "Che tu ti sia preoccupato per me, intendo."

"Oh, figurati!" Le disse Momo, sorridendole a trentadue denti. "Anche io posseggo lo Yugen, quindi per certi versi ti capisco. Tu però riesci a usarlo correttamente, io invece... combino solo pasticci."

"È perché non ci sei nato." Asserì la ragazza, che aveva covato quel dubbio dentro di sé fino a quel momento. "Non è così?"

"Non ne ho idea, non ricordo nulla del mio passato. L'unica cosa che so è che un mese fa mi sono svegliato dentro una stanza profumata d'incenso, attorniato da gente che non avevo mai visto e che mi hanno raccontato tutto quello che c'era da sapere sul mio passato."

A quelle parole, Shiori aggrottò le sopracciglia. Era convinta che ci fosse molto di più sotto la facciata che Momo le mostrava. "E cosa c'era da sapere sul tuo passato?"

"Oh beh, mi chiamo Usui Momotarō, ho ventun anni e sono nato in una delle nove province di Kyūshū. Mia madre è morta in seguito a un'epidemia di peste, perciò nostro padre decise di vendere me e mia sorella come schiavi per procurarsi il pane. Una volta in viaggio verso la nuova residenza, il carro che mi trasportava venne attaccato da un gruppo di Yokai. Nel disordine generale, sbattei la testa e persi la memoria. Quando mi risvegliai l'Imperatore mi disse che potevo restare nella sua gilda, se lo volevo, e servirlo in cambio di vitto e alloggio." Parlava in modo vago, annoiato e quasi monotono. Come se le stesse ripetendo una storia che aveva ormai sentito troppe volte, fino a credere che quelle vaghe parole potessero corrispondere a una verità che lui non sentiva tale.

"Questo è quello che ti hanno detto loro." Rimarcò Shiori, nonostante avesse il cervello offuscato dal vino di riso.

Momo annuì, sentendo lo stomaco brontolare a causa della fame. "Sì, ah! E mi hanno anche detto che sono un mezzodem..."

"Non azzardarti a dire quella parola." Sibilò Shiori, fulminandolo con lo sguardo. "Alle persone non piace stare con quelli come noi."

"E perché?" Le chiese lui, corrucciando le labbra carnose in una smorfia seccata.

"Perché ci reputano pericolosi, nessuno te lo ha mai spiegato?" Shiori si sorprese nel vederlo scuotere la testa, come un bambino ingenuo che non conosceva nulla dei pregiudizi della gente.

"No, ma ora grazie a te lo so!" Esclamò contento. "Piuttosto, tu non hai fame? Non è che avresti dei soldi da prestarmi? Prometto di restituirteli tutti non appena mi arriverà il pagamento per le missioni svolte!"

Shiori strinse la stoffa rossa della gonna sotto il tavolo, facendo mente locale e ricordandosi quanti soldi aveva portato con sé. Era sempre stata una persona profondamente spilorcia, eppure, davanti gli occhi spalancati di Momo non poté che annuire e alzare un braccio per richiamare l'attenzione di una cameriera. Quest'ultima portò loro un vassoio pieno di pesce fresco, ordinato niente meno che dallo Shinigami, che non badò a spese sebbene non fosse lui a pagare il conto. Gli involtini di alghe e riso si confondevano con la presenza di deliziosi molluschi e crostacei che i due ingurgitarono fino a scoppiare.

Shiori cercava di gustarsi con calma i sapori ma, di contro, Momo sembrava addentare ogni cosa velocemente, senza nemmeno ingoiare.

"Datti una calmata." Lo rimproverò lei, notando che aveva quasi finito le cibarie presenti nel suo piatto. "Se continui a ingozzarti non ti godrai il pasto e ingrasserai."

"Ingrassare?" Momo agitò le due bacchette verso il suo viso, con un'espressione divertita. "Impossibile, non vedi quanto sono muscoloso? Io non ingrasso mai!"

Davanti quelle risposte ingenue, la giovane non seppe minimamente come destreggiarsi. Tanto che, quando lo vide slacciarsi i lacci della casacca per mostrarle quanto fossero scolpiti i suoi muscoli, si ritrovò costretta a congedare le sue azioni con un gesto fluido della mano senza sapere cosa dire.

Quando i vassoi e i piatti furono completamente svuotati, Shiori si appoggiò al tavolo con le mani premute contro lo stomaco. Non aveva mai mangiato così tanto in tutta la sua vita, ma Momo non sembrava essere dello stesso avviso.

"È stato tutto delizioso!" Le disse, picchiettandole due dita sulla spalla. "Non essere triste, ti restituirò tutti i soldi!"

"Sarà meglio." Borbottò Shiori, tirandosi a sedere e notando gli Shinigami che avevano accompagnato Momo cercare di attirare la sua attenzione muovendo avanti e indietro le mani. Sembrava quasi che avessero timore di avvicinarsi. "Credo che tu debba andare via."

"Oh... è vero." Mormorò lui, sollevandosi dal cuscino e facendo cenno agli amici di aspettarlo fuori, con un sorriso dipinto sul volto abbronzato. "Sai che mi sono divertito con te?"

"Solo perché ti ho pagato il pranzo, mi devi un favore, Momotarō."

Quest'ultimo ridacchiò scherzosamente, aggiustandosi la fascia, che teneva unita la casacca blu, sopra i fianchi. "Prima di andare, però, volevo chiederti un cosa."

"Vuoi che ti paghi anche la cena?"

"No! Anche se non mi dispiacerebbe." Un sorriso furbo sfuggì dalle sue labbra, ma scomparve troppo presto. "Che ne diresti di insegnarmi a usare lo Yugen? D'altra parte, tu riesci benissimo!"

"Cosa?!" Domandò la giovane, con i conati di vomito che le salivano in gola. Sentiva la testa girare e le palpebre pesanti a causa del sonno, per di più la proposta avanzatole da Momo non le piaceva per niente. "Mi stai chiedendo di allenarti, Momotarō?"

"Sì, sempre se vuoi. Non sei costretta!" Il ragazzo sollevò le mani, guardandola supplicante. "Puoi chiamarmi Momo, comunque. Lo preferisco."

La Kawaakari si sforzò di rimettersi dritta, darsi un contegno e saggiare quella richiesta in modo da rispondere nella maniera più lucida possibile. Era difficile prendere una decisione perché, qualsiasi cosa avrebbe scelto, le avrebbe fatto rimpiangere l'opportunità scartata. Provava una forte empatia nei confronti di quello Shinigami e sapeva che la sua vicinanza avrebbe potuto farle solo bene. Allo stesso tempo, le parole di Settan le frullavano nella mente come un eco continuo, ricordandole i suoi doveri.

"Continuate le vostre missioni e prendetevi cura di chi lo merita, ma non simpatizzate in alcun modo con Asano o i suoi."

Shiori si morse le labbra, cercando di cacciare via quelle frasi. Per una volta avrebbe voluto fare di testa sua e smettere di assecondare le decisione altrui. Non avrebbe vissuto per accontentare gli altri, specialmente se gli altri venivano rappresentati da Settan. C'era stato un tempo in cui l'aveva ricoperta di onori, trascurando persino gli altri Kawaakari per favorirla una volta scoperto quanto fosse portata nell'uso dello Yugen. Shiori non ci aveva messo molto a capire che quella preferenza era data solo dalla corrotta convenienza. Settan l'aveva venduta come sicario a quasi ogni membro dei Kajitani, lasciando che si macchiasse le mani di assassinii che, altrimenti, sarebbero stati scoperti troppo facilmente. Come se non bastasse, sapeva che se fosse sopravvissuta a Settan avrebbe sicuramente sostituito quel Consigliere nella guida dei Kawaakari.

E tutto questo, non lo aveva deciso lei.

Sollevò il viso, incrociando lo sguardo sereno del ragazzo speranzoso. Lei, alla fine, annuì. "Va bene, Momo."

"Davvero?!" Esclamò lui, inginocchiandosi per inchinarsi profondamente al suo cospetto.

"Sì, ma ora alzati e non farmi pentire della mia decisione." L'ombra di un sorriso passò sul viso della giovane donna. Era innegabile che trovasse la sua gentilezza terribilmente esagerata, ma allo stesso tempo non era nemmeno fastidiosa. 

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