Dear Diary - The Vampire Diar...

By Dottie93

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DELENA [AU: Tutti umani] Elena Gilbert è una ragazza di diciotto anni, all'ultimo anno di liceo, ch... More

Dear Diary
Today I saw a boy
And I wondered if he noticed me
He took my breath away
Diary, do you think we'll be more than friends?
I can't get him off my mind (parte 1)
I can't get him off my mind (parte 2)
And it scares me (parte 1)
And it scares me (parte 2)
'Cause I've never felt this way (parte 1)
'Cause I've never felt this way (parte 2)
Does he know what's in my heart? (parte 1)
Does he know what's in my heart? (parte 2)
Should I tell him how I feel...? (parte 1)
Should I tell him how I feel...? (parte 2)
I thought he smiled at me (parte 1)
I thought he smiled at me (parte 2)
As he walked by (parte 1)
As he walked by (parte 2)
As he walked by (parte 3)
As he walked by (parte 4)
Now I can't wait to see that boy again (parte 1)
Now I can't wait to see that boy again (parte 2)
Now I can't wait to see that boy again (parte 3)
Now I can't wait to see that boy again (parte 4)
Now I can't wait to see that boy again (parte 5)
One touch of his hand (parte 1)
One touch of his hand (parte 2)
One touch of his hand (parte 3)
One touch of his hand (parte 4)
One touch of his hand (parte 5)
One touch of his hand (parte 6)
So, diary, I'll confide in you (parte 1)
So, diary, I'll confide in you (parte 2)
So, diary, I'll confide in you (parte 3)
So, diary, I'll confide in you (parte 4)
He smiled (parte 1)
He smiled (parte 2)
He smiled (parte 3)
He smiled (parte 4)
And I thought my heart could fly (parte 2)
No one in this world knows me better than you do (parte 1)
No one in this world knows me better than you do (parte 2)
Please, tell me what to say (Parte 1)
Please, tell me what to say (Parte 2)
Please, tell me what to say (Parte 3)
Diary, tell me what to do (parte 1)
Diary, tell me what to do (parte 2)
Diary, tell me what to do (Parte 3)
...or would that scare him away? (Parte 1)

And I thought my heart could fly (parte 1)

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By Dottie93

Le notti in cui rimani sveglio a fare l'amore, chiacchierare e ridere fino all'alba, in cui ci si confessano cose intime, cose di cui ci si è sempre vergognati, sono le notti in cui ti senti così vicino che nessuna distanza ti separa dalla persona al tuo fianco. Si è complici in tutto.

Le notti in cui la bellezza dilata il tempo, in cui il presente è così perfetto e lo si indossa così bene che si cominciano a fare promesse, giuramenti, patti, perché quella bellezza fa sentire dentro di sé una spinta verso il futuro. Quelle notti in cui è giorno all'improvviso e si rimane stupiti.

E senti che hai fame, fame di tutto: pane, burro, marmellata, soprattutto fame di Vita. In quelle notti è tutto così bello e si è così felici che, quando ci si gira su un fianco per addormentarsi, in qualche angolo profondo di sé si avverte una punta di dolore.

Un dolore primordiale, ignoto, che appartiene a tutti.

Fabio Volo – La strada verso casa

Elena sospirò, trattenendo un sorriso esasperato.

«Stai tranquilla, mamma.» ripeté, per l'ennesima volta. «Non sto andando in Burundi.»

Miranda si mosse a disagio, da un piede all'altro, lanciando un'occhiata a Stefan e Caroline che, al contrario di lei, non sembravano minimamente impensieriti, anzi: si stavano sbaciucchiando a pochi passi da loro.

«Lo so.» fece, tornando a guardare sua figlia. «È solo che è più lontano di un viaggio in macchina, e... se non ti trovi bene, o vuoi andartene e basta... io e tuo padre non possiamo venire a prenderti come faremmo in un'altra situazione.»

E, a dirla tutta, aveva ragione: l'Italia non era a due passi, di certo non era a una distanza raggiungibile in auto. Elena non aveva idea di cosa sarebbe successo laggiù: le cose con Damon erano ancora sul filo del rasoio, e l'unica consolazione che era riuscita a strappare era stato che Stefan si unisse a lei.

Era stata Mary a insistere, dato che il suo figlio più piccolo non vedeva i parenti da anni. E questo dava anche una scusa a lei e suo marito di fare i piccioncini per una settimana intera.

Damon era già partito da sette giorni, i suoi messaggi arrivavano in modo abbastanza costante per quanto permettesse il fuso, ed era un forte miglioramento rispetto all'ultima volta.

Eppure lei aveva sempre il sentore che ci fosse qualcosa di... scollegato.

«Andrà tutto bene.» rassicurò sua madre, tentando di fare lo stesso con se stessa.

Quella era la prova del nove, l'aveva promesso a se stessa giusto qualche ora prima: se non fosse andato bene nemmeno quello, con Damon non c'erano davvero più speranze.

Non lo sapeva proprio perché non aveva deciso di non andarci. Forse perché lui aveva insistito tanto, si era fatto promettere che l'avrebbe raggiunto, o forse perché, davvero, credeva che sarebbe servito a rimettere le cose a posto.

Di certo, non per l'ansia di conoscere i suoi parenti, no. Di quella avrebbe fatto volentieri a meno.

Ora che si trovava lì, all'aeroporto di Richmond, con sua madre davanti agli occhi e il carrello della valigia stretto tra le mani, realizzava che stava partendo per davvero. E di non aver mai preso un aereo.

«Tu chiamami appena arrivi.» insisté sua madre. «E anche se non ti trovi bene, se succede qualcosa. Io e tuo padre vediamo di farti avere un posto sul primo aereo disponibile. Okay?»

Elena annuì, piano, mentre Caroline passava a darle una pacca sulla spalla.

«Tranquilla, Miranda.» disse, gioviale. «Se Damon non si comporta bene, appena mette di nuovo piede in America gli faccio mangiare le palle prima che possiate arrivare tu e Grayson.»

Stefan rise, senza alcun dubbio che la ritenesse capace di una cosa del genere. «Dai, Ele, è ora.» la incitò, prima di trattenere la sua ragazza per un braccio per un ultimo saluto.

Lei, invece, lanciò le braccia al collo di sua madre, che sospirò.

«Non sei costretta ad andare.» le ricordò.

Ed Elena lo sapeva, ma era anche certa che se non fosse andata il punto a quella storia sarebbe stato definitivo, e lei non era ancora pronta a chiuderla. Per quanto il suo ragazzo fosse stato e fosse ancora un idiota, il solo pensiero di non poterlo più definire tale era una pugnalata dritta nello stomaco.

«Ti chiamo appena metto piede a terra.» promise, stringendola per un attimo più forte prima di lasciarla andare e fare lo stesso con la sua migliore amica che ricambiò l'abbraccio con tanta forza fin quasi a soffocarla.

Nel suo sguardo c'era proprio tutto, che si poteva riassumere un "Andrà tutto bene, e se non lo farà ci penso io", che era in qualche modo rassicurante.

Eppure, Elena mise su il suo sorriso e fece un cenno di assenso: tranquillizzare tutti per tranquillizzare se stessa.

Per fortuna c'era Stefan, a cui non aveva bisogno di nascondere nulla, e non perché si fosse confidata, ma perché, oltre lei, era quello che Damon lo conosceva meglio di chiunque altro, e non c'era necessità di parlare o di spiegare.

«Nervosa, eh?» la punzecchiò, non appena la smise di guardarsi indietro per vedere se Caroline era ancora là, dietro i metal detector.

Ma nervoso era anche lui, in un certo modo, forse più eccitato: non vedeva la sua famiglia da anni, a stento li ricordava, ma se aveva accettato di andare con tanta fretta era più per suo fratello ed Elena. Lui era conscio che la sua migliore amica stesse facendo del bene a suo fratello, era di sicuro cambiato molto rispetto a quando era arrivato in città, riusciva perfino a fare un discorso con il loro padre senza che finissero per gridarsi addosso.

Erano una famiglia per la prima volta dopo dieci anni, ed era stato anche grazie ad Elena, sebbene questa cosa della gravidanza avesse di nuovo rimescolato le carte nella vita di Damon.

Nemmeno lei riusciva a capire o immaginare perché.

«Tu che ne dici?» chiese lei, di rimando. «Non so niente di questo viaggio, nemmeno cosa ho messo in valigia...»

Forse perché era stata la sua migliore amica ad occuparsi dei bagagli. Aveva un po' paura a scoprire cosa avesse deciso di farle portare, ma da un lato temeva anche che sarebbe servito a poco.

«Non so cosa farò quando lo rivedrò.» proseguì, frustrata. «Non so... se piacerò ai tuoi parenti, se...»

Stefan la prese per un braccio, dispiaciuto. «Stai calma.» le disse, e quello calmo per primo, adesso, era lui. «Non sono cose che si possono pianificare, d'accordo? Non stare qui a pensarci. Sono sicuro che quando te lo ritroverai davanti saprai cosa fare e basta.»

Era strano che quel consiglio venisse proprio da lui, il ragazzo che pensava sempre a tutto, ci poteva stare sopra anche per giorni, e adesso le stava chiedendo di buttarsi, in una di quelle evenienze che possono portare a tutto oppure a niente, in un momento in cui il niente faceva troppa paura per essere contemplato.

Elena non era brava in quel genere di cose, a pianificare, a ragionare sui sentimenti. Ci poteva scrivere sopra pagine di diario, ma dopo.

Forse era lì che avrebbe trovato la risposta, nelle pagine del mese precedente. E aveva anche troppo tempo per leggerlo, quasi sedici ore, tra volo e scali.

Era un giovedì pomeriggio tardi, il giorno dopo avrebbero perso scuola, ma partivano prima per la lunghezza del volo e il fuso, sarebbero ritornati il venerdì successivo, ed Elena, mentre aspettava l'imbarco, seduta su una sedia accanto a mille altre, al fianco di Stefan, si sentiva un po' sola e indifesa... e anche un po' stanca.

«Nemmeno io ho mai preso l'aereo.» Stefan interruppe il suo flusso di pensieri. «Se la cosa ti preoccupa, sappi che siamo in due.»

Elena ridacchiò. «Paura di non atterrare?» fece. «Io tanta.»

Sarebbe stato più semplice andarsene e aspettare che Damon tornasse per chiarire, perché non se la sentiva, troppo in ballo, troppo tutto.

Come sempre.

Ormai però il check-in era passato, non poteva semplicemente mettersi a piangere e pregare di poter tornare a casa. Non che fosse già a metà strada... e in fondo aveva voluto da sempre visitare un posto che non fosse vicino a Mystic Falls.

"Attento a ciò che desideri, potresti ottenerlo", maledettamente vero.

Lei aveva anche voluto un amore che la consumasse, passione, un po' di pericolo, e alla fine era quella la ragione delle sue ultimi notti insonni, di quelle che magari sogni tutta la vita, perché senti che ti manca qualcosa, e quando finalmente ce le hai, ti chiedi se non fosse stato tanto meglio prima, meno complicato, meno faticoso.

E poi ci sono momenti in cui pensi che può costare tutta la fatica del mondo, ma ne vale la pena.

E per Elena, ancora ne valeva la pena, lo pensò proprio mentre metteva un piede sull'aereo, col cuore in gola, schiacciato contro la gabbia toracica mentre il mezzo prendeva velocità sulla pista, e stritolava la mano di Stefan per sfogare il terrore.

«Care mi ha detto che è come andare in auto.» le disse Stefan, poco dopo, quando ormai si potevano anche slacciare le cinture. «Basta non pensarci.»

Non pensare al fatto che, in effetti, erano seduti su una specie di bomba a chissà quanti metri di altezza da terra?

Elena annuì in modo meccanico, ancora ancorata al suo sedile, come se questo avesse potuto fare una qualche differenza in una situazione di pericolo.

Cercare conforto nel panorama non fu una buona idea: stavano sopra le nuvole, e sembrava tutto così lontano e pericoloso. Eppure, quando si girò per cercare conforto in Stefan, lo trovò addormentato come un bambino.

E, in effetti, era piuttosto tardi, e per quanto anche lei si sentisse stanca, sapeva che non avrebbe chiuso occhio, su quell'affare.

Visto che il suo migliore amico non poteva darle una mano a darsi pace, non le restò che cercare conforto in se stessa: prese il suo diario dalla borsa, e decise di ricordarsi tutti i motivi per cui era seduta proprio lì, in quel momento.

16 Febbraio

Caro diario,

sono disperata: non capisco più niente di quello che sta succedendo nella mia vita. Sono così confusa, delusa e atterrita che non riesco nemmeno a pensare. Penso che dare una spiegazione sensata a tutto questo mi aiuterebbe almeno un po' a sentire qualcosa, ma ho paura di aver metaforicamente chiuso il mio cuore da qualche parte perché non possa essere ulteriormente danneggiato.

Ho paura di non riuscire più a trovarlo, o a trovare me stessa.

Non so che cosa dovrei provare a questo punto, non sono sicura di niente, so solo che una parte di me spera ancora di essersi immaginata tutto quello che è successo nelle ultime ventiquattro ore.

Mary aspetta una bambina, e non so perché il mondo di Damon è crollato sotto ai suoi piedi. Pensavo che l'arrivo di un bambino dovesse essere un evento ben accetto in una famiglia, perfino in una situazione delicata come questa, ma che in fondo è già definita perché Mary ha deciso di portare avanti la gravidanza, indipendentemente dai rischi.

Decisione coraggiosa o stupida, questo ce lo potrà dire solo il tempo. Comunque sia, perché non riesce a supportarla, in questo? È l'unica cosa di cui lei ha bisogno.

Non me lo spiego e vorrei chiederglielo, ma so che non posso, so che adesso è una di quelle cose di cui non possiamo più parlare, una di quelle che non se la sente di dirmi, e so che dovrebbe andarmi bene, so che ha questo diritto di tenere per sé delle cose che, forse, non sa come esprimere.

Non sono sicura che sia questo il problema.

Non penso di averlo obbligato mai a fare niente, se mai l'ho spinto ad aprirsi di più con me era perché prima volevo conoscerlo, e dopo volevo aiutarlo a superare quelle cose che lo tormentavano, quelle da cui non riusciva ad uscire da solo.

Credo che il vero problema stia nell'avere scoperto che, per tutto questo tempo, questo per lui è stato un peso, qualcosa che l'ha infastidito, qualcosa per cui, per un momento, mi sono sentita in dovere di giustificarmi.

È per questo che gli ho lanciato le chiavi di casa sua.

Solo non ho capito perché mi sia corso dietro quando aveva fatto tutto lui, Damon non è uno che alle cose ci pensa, questo lo so da quando l'ho conosciuto, ma non è mai successo che tornasse sui suoi passi così in fretta, di solito la cosa richiede giorni, a meno che il fatto di essersi improvvisamente ritrovato tra le mani quel maledetto porcellino non gli abbia generato qualche urto di neuroni per il verso giusto.

Stupido.

Ma ero e sono troppo arrabbiata per poter sentire le sue scuse e perdonarlo come ho sempre fatto. Avevamo fatto pace giusto ieri, e avevo deciso di lasciar perdere tutto, ma come faccio a lasciar sempre correre? A un certo punto si sommano le cose e sono troppe da mandare giù.

E sì, sono delusa perché io di cose gliene ho perdonate tante, sono passata sopra a così tanto che faccio fatica anche a ricordarlo, e per una volta che, almeno secondo lui, quella a sbagliare sono io, fermiamo tutto? E sono anche amareggiata perché sono arrivata a pensare che avesse ragione.

Prima che arrivasse Care, poco dopo averlo piantato in giardino, stavo per chiamarlo per dirgli che aveva ragione, che forse avremmo dovuto rompere per davvero perché non riusciamo mai a capirci fino in fondo.

Ma mi sono fermata: avevo il telefono in mano, ed ero pronta ad avviare la chiamata, eppure non ho potuto premere. Penso che non avrei premuto nemmeno se avesse potuto salvarmi la vita, perché in fondo è questo il mio problema: la testa funziona, ma tutto il resto obbedisce ai miei stupidi sentimenti che non riesco a tenere sotto controllo.

Mi portano via come se fossi in balia della corrente in mezzo al fiume, mi consuma e basta.

Chiunque non fosse nella mia stessa condizione potrebbe considerarlo stupido, ma io non ce la faccio, è più forte di me, più di qualsiasi mia altra convinzione.

Più forte perfino dei rimproveri di Caroline che mi ha guardato storto mentre mi ha riportato il porcellino, dicendo: "Devi lasciarlo perdere, quello è un idiota!" perché lo sa anche lei che finirà per spezzarmi il cuore, forse lei l'ha capito prima di tutti.

Ma come si fa a lasciar perdere ''l'idiota'' se non riesci a pensare ad altro?

Pensavo di aver finito le lacrime, caro diario, ma in realtà ero solo troppo sconfortata per piangere. Quando Care mi ha porto il mio portachiavi, sono scoppiata in lacrime, ho sfogato un po' tutto quello che ero riuscita a trattenere durante il giorno, per non dare un dispiacere a Jenna e Ric in un momento speciale.

Perché non importa se ha ritrattato o ci ha provato: ormai l'ha detto, e si è comunque incrinato qualcosa. Qualunque cosa possa dire so che non tornerà tutto come prima, o forse non riesco a vedere una via d'uscita perché sono troppo triste.

Care è rimasta con me tutto il tempo, ma non ha detto nulla, oltre a quello. Da un certo punto di vista le sono grata, perché sentirne parlar male da qualcun altro, per quanto se lo meriti, mi fa sentire anche più scema.

Non so cosa fare.

Devo davvero solo aspettare che sia lui a fare qualcosa? Ma posso sperare che cambino le cose, quando situazioni del genere si presentano tutte le volte senza trovare mai davvero una soluzione?

Non sono sicura di sapere come mi devo comportare, ma nemmeno voglio parlarne con la mamma, per quanto ci siamo riavvicinate molto negli ultimi giorni. Sento che è una cosa che devo risolvere da sola, o non sarò mai davvero una persona adulta. Come posso correre dalla mamma per ogni problema? Prima o poi mi toccherà comunque imparare a togliermi le castagne dal fuoco io stessa, e Damon è una cosa a cui devo pensare da sola.

Anche se ancora non ho idea di come fare.

C'è chi direbbe che è normale non sapere queste cose alla mia età, ed effettivamente non ho mai sperimentato problemi del genere prima, con Matt era tutto molto più facile e disinteressato, almeno da parte mia. Forse ero io quella che adesso è Damon per me, e mi domando se non debba chiedergli scusa, perché soffrire così fa davvero schifo.

Anche Care dice che c'è bisogno di un po' di tempo perché questa situazione si definisca, e il fatto che sia stata lei a dirmelo mi preoccupa. Lei è per mandare a quel paese tutti e subito, anche a giudicare da com'era partita.

Non so come abbia fatto a capire esattamente cos'era successo solo dal maialino, fatto sta che lo sapeva già che avevo finito per tirarglielo contro, si è detta fiera di me, ha detto che ogni tanto il perdono va sudato.

Ma a volte mi sento come se sudassi io per due.

Non voglio dire che Dam non si impegna, lo so che anche per lui questa è una situazione del tutto nuova, e che in ventisei anni di vita non si è mai permesso di concedere un po' dei suoi spazi a nessuno, però nemmeno pensavo che da parte sua non ci fosse nessuna comprensione.

Il fatto che mi abbia detto quelle cose mi ha spinta a pensare che, forse, è proprio un lato del mio carattere che non gli va giù, e forse è questa la cosa che mi ha ferita più di tutto, il sapere di non andar bene, in qualche modo, di avere qualcosa che non va.

Non è una bella sensazione, specie se te lo fa presente la persona più importante per te.

Ed è vero che ogni relazione è diversa dall'altra, lo so che non mi posso aspettare i cuoricini tutte le mattine, o le foto di coppia sui social o cose del genere, non l'ho mai preteso né lo vorrei, mi piace semplicemente che faccia il romantico nelle piccole cose, quando siamo solo noi due, non mi interessa che lo veda il mondo quanto siamo felici, quando lo siamo e basta.

Questa però è una cosa diversa è un "Dovresti cambiare perché così non funziona", è stato un pugno nello stomaco. Ho tanti difetti, non lo posso negare, ma giuro che non avevo mai visto la mia voglia di aiutare le persone come uno di questi.

Per tutta la vita mi è stato sempre detto quanto fosse il mio tratto più bello, e ho finito per crederci così ciecamente che non riesco a vederlo in altro modo.

Non ho mai pensato di essere invadente, anche perché, in generale, l'ho fatto solo con persone con cui ho una certa confidenza, tipo Care, Stef o Bonnie, o anche mio fratello che adesso, invece, parla a stento con tutta la famiglia.

E questo è un altro dei problemi che sono sbucati fuori in questo periodo.

Non so se esserne preoccupata, a volte penso che sia solo un adolescente in cerca di attenzioni. Lo capisco, ultimamente i miei genitori, specie mio padre con le sue fissazioni, erano troppo occupati a sorvegliare me e Damon per stare dietro a lui.

Domani proverò a parlarci, mi sono persa già troppe cose della mia famiglia fino ad ora, e adesso devo pensare un po' a recuperare terreno.

Sono io che ho bisogno di spazio, credo.

E penso che è stato Damon a fare il casino, se vuole risolvere le cose è lui che deve fare la mossa, però ho anche paura che non farà nulla, che stavolta sarà lui quello che ignora, e che lasceremo le cose così finché il tempo non avrà decretato la fine di questa storia perché non ci parliamo più.

Care insiste che ci vuole un po' di amor proprio da parte mia, che la paura di perderlo non può sempre avere la meglio.

"A forza di perdonargli tutte le stronzate, guarda dove siete finiti."

Ed è una buona obiezione, so tutto, ma sono confusa. Un momento potrei giurare che lo odio, e il successivo piangerci sopra perché ho paura che non torni.

E poi si fanno le undici di sera e non scrive, e magari avrei dovuto aspettarmelo, magari è incazzato, adesso, perché mi sono intestardita a non prendere quello schifo di portachiavi, e allora vuole fare l'orgoglioso, proprio come lo fa con sua madre, che se ne va di casa per non pressarla ma farla contemporaneamente sentire in colpa.

L'ho sempre saputo che è un egoista, non è una novità, che è uno che pensa a se stesso tante volte, che non riesce a immedesimarsi negli altri, a capire come si possano sentire... che è la ragione per cui finisce per ferirmi tutte le volte.

Avrei potuto giurare che anche questa è una di quelle cose che mi vanno bene, perché dopotutto fa parte di lui. Ma forse non è così, esattamente come non è così per lui, che trova quella parte di me che è il suo completo opposto irritante.

Non so se posso superarla, pensarci mi fa troppo male.

Vorrei solo che questo giorno non fosse mai accaduto, vorrei poter riavvolgere le ultime ventiquattro ore e cambiare un dettaglio, qualcosa che cambi gli eventi, per poi dimenticarmi cosa è successo davvero.

Voglio dimenticare tutto.

Mentre leggeva, Elena avrebbe davvero voluto il potere di poter tornare indietro per consolare se stessa, chi meglio di lei poteva avere le parole giuste? Fatto sta che non le aveva nemmeno allora, perché, sebbene la situazione si fosse un po' smossa, non era davvero migliorata, o cambiata.

Stava partendo proprio per questo motivo, per chiarire le cose con se stessa e anche con lui.

Saltò qualche pagina perché sapeva che avrebbe trovato più o meno le stesse parole, ancora non era passato abbastanza tempo per scordarsi come era stata male, e leggere di se stessa in quelle condizioni, con le parole dai contorni un po' incerti per via delle lacrime che c'erano cadute sopra le procurava una sensazione brutta di cui non sentiva di aver bisogno.

Era come essere lì dentro di nuovo.

I ricordi sono una fregatura, si disse, perché se sono cose che ti hanno fatto male continuano a farlo, le cose belle, semplicemente, ti mancano.

Finisce che soffri comunque.

23 Febbraio

Caro diario,

anche oggi ho cercato di parlare con mio fratello. È andata male esattamente come lo ha fatto per tutta la scorsa settimana, all'inizio riuscivamo ancora ad avere una conversazione normale, poi quando ha capito dove volevo andare a parare, ogni volta che tentavo di avvicinarmi o tentare di farci due chiacchiere, mi guardava storto e si chiudeva in camera.

Adesso non serve nemmeno che parli.

Dice che voglio controllarlo proprio come mamma e papà, io in realtà voglio solo sapere che succede, sto iniziando ad avere paura che si metta in qualche guaio, specie da quando lui e Bonnie hanno rotto. Da allora è anche più scostante.

Vorrei poter stare vicino alla mia amica, ma questa rottura ci ha allontanate molto, dice che non può parlare di mio fratello con me, e io queste parole, caro diario, sto cominciando ad odiarle. Ci sono troppe cose di cui le persone a cui tengo non possono discutere con me.

Io cerco di capire tutto e tutti, ci provo davvero, e so che le cose che sentono le persone non sempre hanno una spiegazione logica, ma io non sono mio fratello, e che si stia comportando da idiota nelle ultime settimane è innegabile.

Il compito di stare vicino a entrambe tocca a Care, che cerca di dividersi tra di noi, Stefan, le cheers e tutto quello che deve fare, sembra che, comunque, lei abbia la carica e la forza per fare tutto. La invidio un po', io mi sento parecchio giù di corda.

"Tutta colpa dello Stronzo!" si è lamentata lei, proprio stamattina. "Peccato che non vive più a casa dai suoi o avrei potuto tagliargli..."

"Care!" l'ho pregata, a un centimetro dal considerare l'idea di seppellirmi nel pasto del giorno, considerato anche il fine settimana che ho passato, ad aspettare che il mio ragazzo si facesse vivo, e invece pare che si sia volatilizzato.

Stefan mi ha addirittura detto che non è in città, e io ho avuto paura tutto il giorno che sia andato da qualche parte per restarci, per dimenticarsi di sua madre, di sua sorella, di Mystic Falls e pure di me. Lui stesso l'ha saputo da suo padre - che è stato avvisato da Damon stesso solo perché non l'avrebbe visto in studio -, dato che suo fratello non ha nemmeno avuto l'accortezza di chiamarlo.

Io non lo so che gli passa per la testa, mi impegno a dare tutte le possibili giustificazioni per un comportamento del genere eppure non lo so. Non so se dovrei chiamarlo, o scrivergli un messaggio per sapere come sta, cosa sta facendo... ma se poi sono troppo invadente che succede?

Sembra che non mi interesso, anche se vorrei... e poi penso che nemmeno lui si è sprecato tanto per sentire cosa sto facendo, come me la passo dopo che mi ha sganciato quella bomba. Chiunque penserebbe che è meglio così, chiuderla senza tanti fronzoli: se n'è andato.

Io però devo avere qualcosa che non va nella testa, quando Stefan mi ha dato la notizia, dopo che gli ho chiesto se sapesse qualcosa di lui, mi è crollato il mondo addosso, perché non riesco a capire.

"Quando sente qualcosa, scappa" aveva detto sua madre, qualche mese fa, lei che sembra capirlo così bene, eppure l'ultima volta che hanno parlato l'ho vista smarrita tanto quanto chiunque altro.

Perché Damon non lo conosce nessuno, in realtà. Né io, né Alaric, né sua madre, né Stefan, tantomeno suo padre. È troppo occupato a nascondere parti di sé alle persone, a non lasciarsi guardare davvero, a sotterrare un lato e poi un altro, in dipendenza della compagnia.

L'ho capito, caro diario, lui non vuole essere visto, non vuole che le persone lo conoscano per quello che è davvero, o forse chi è non lo sa neanche lui. Chissà che non sia questo il suo problema, peccato che non abbia capito che è un po' il problema di tutti.

Ma lui non riesce ad accettarle queste cose, di non sapere, di non capire, lui deve dare sempre spiegazioni a tutto, mettere freni quando le cose escono un po' dal tracciato che secondo lui dovrebbero seguire, e allora scappa. Scappa da tutto e da tutti perché non gli importa, in fondo, di cosa si lascia alle spalle, oppure in questo modo pensa di proteggere ciò a cui tiene.

Non lo capisco, non lo capisco più. E mi domando se io l'abbia mai capito, o non mi fossi solo illusa di poterlo fare, ed è Caroline che ha ragione: "Lo stronzo non cambia, non siamo in un film. Chi è stronzo, nasce già stronzo e finisce per morirci."

Io non mi ero nemmeno mai posta il problema, non sono partita con l'intenzione di cambiarlo, ma nemmeno pensavo che fosse stronzo per davvero. Per me è sempre stato un suo meccanismo di difesa che usava quando non voleva che la gente gli si avvicinasse.

Pensavo di essere stata furba a non lasciarmi incantare da quell'atteggiamento, a essere riuscita a vedere oltre. Invece ho forse soltanto superato la prima corazza, forse Damon non è nemmeno quello che ho visto io, solo uno strato più sotto quello che vedono gli altri.

Mi ha ferita profondamente che se ne sia andato senza nemmeno pensare di passare, o di chiamarmi, o darmi un appuntamento per vederci. Quando mi ha sfiorata l'idea che non sarebbe tornato, mi sono chiesta che razza di ultimo ricordo di sé mi ha lasciato.

Davvero vuole che l'ultima cosa che avessimo fatto insieme sia litigare? E poi c'è pure il porcellino da considerare, cosa me l'ha lasciato a fare se, alla fine, non torna più indietro?

"Ti lascio queste chiavi per fingere che di te mi sia importato qualcosa." è questo che vale per me.

Non ce l'ho fatta nemmeno a chiamarlo, di nuovo. Anche se per la prima volta dopo una settimana mi sono sentita come se dovessi essere io a fare questo passo e per un motivo molto semplice: ho avuto un altro attacco di panico a forza di arrovellarmi su questi pensieri.

Ero sola a casa e per un momento, mi sono sentita in trappola, ero sicura che non sarei riuscita a respirare e che il mio cuore si sarebbe fermato senza che potessi fare niente.

Quando ti succede il panico si somma ad altro panico, e io non ero mai stata in grado di uscirne da sola. Stavolta ho sentito la sua voce nella testa, che mi diceva "Conta con me", che non era che un ricordo della sera in cui Jenna e Ric ci hanno annunciato del loro matrimonio.

È stato lui, in qualche modo, a calmarmi, di nuovo. Per questo volevo chiamarlo, solo che Care mi ha preceduta, come se avesse sentito che qualcosa non andava o che stavo per fare qualcosa che lei considera stupido.

"Non ci pensare nemmeno!" mi ha rimproverata la mia migliore amica. "Se lo chiami ti taglio le mani."

Io, però, ero disperata, ero arrivata al punto che avrei accettato qualunque compromesso pur di sentire la sua voce.

Mi mancava e mi manca tutt'ora.

"Ma io..." ho provato a ribattere, e ci ho provato a trovare una ragione valida, solo che mi è rimasta attaccata alla lingua sotto lo sguardo inquisitorio di Caroline e le sue braccia incrociate.

"Se sei sempre disposta a passare sopra a tutto, quando pensi che cambieranno le cose?" so che ha ragione, lo sapevo anche mentre lo diceva, ma ci sono momenti in cui non ragioni e basta, sono quei frangenti in cui sai cosa prova un drogato.

Perché stai male, anche se non vuoi. E un po' ti illudi che se avrai anche un pezzetto di ciò che vuoi davvero, ti farà sentire meglio.

"Potreste stare insieme per vent'anni, ma puoi fidarti di uno che al primo problema prende e sparisce? Che senso ha se non ci puoi fare affidamento?"

Non ne ha, e io ero anche disposta a credere che non potesse o dovesse averne per forza uno.

Lei ce l'ha avuta la forza di troncare con Klaus, di andare avanti, di continuare a essere se stessa, perché Caroline è sempre stata un po' più cauta di me, anche se non si sarebbe mai detto.

Ha amato Mikaelson senza dubbio, lo so perché anche lei ha passato innumerevoli notti a piangerci su, quando faceva lo stronzo di proposito, per quell'attrazione mista a voglia di farle del male che aveva, ma, a differenza di me, Care nelle cose non ci si perde, non si dà mai quel troppo di più dell'abbastanza che ti impedisce di tornare indietro, di capire quando si arriva al "troppo tardi", quello che quando io mi chiedo dove sia, sono già oltre, ma in tutto, non solo con Damon.

Per me era già troppo tardi quando abbiamo litigato la prima volta, eppure non era nemmeno un decimo di quello che sento adesso.

Ma se davvero se n'è andato, come faccio a farglielo capire? Se non prova nemmeno a tornare sui suoi passi, come posso fare la differenza?

È per questo che volevo chiamarlo, magari se sa di non aver davvero rovinato tutto, può cambiare idea. Io ancora spero che sia andato via perché ha pensato di aver mandato in malora tutto quello che ha toccato a cominciare dalla sua famiglia.

Soprattutto, ho un po' di paura che possa essergli successo qualcosa di brutto. Passi che non scrive a me, ma perché non si mette in contatto nemmeno con Stefan? Anche solo per sapere come sta sua madre, come fa ad andarsene così senza curarsi di ciò che si lascia alle spalle?

"Tu ti preoccupi troppo per qualcuno che non se lo merita." questo commento tagliente non è stato della mia migliore amica, ma di Stefan stesso. "Se vuole starsene lontano, che lo faccia pure. Non ci serve un Damon con le palle girate in giro, specie di questo periodo. Alla mamma non l'abbiamo detto che se n'è andato, quel coglione... già che le cose sono relativamente sotto controllo!"

Parla così, ma se non fosse preoccupato anche lui non sarebbe così nervoso, specie dato il fatto che la gravidanza di sua madre è molto seguita, e anche se ci sono giorni in cui non se la sente nemmeno di alzarsi dal letto, sembra che le cose siano abbastanza a posto.

Il rischio c'è sempre, e anche quello logora i nervi, ed è un sacco di pressione che il mio migliore amico deve sopportare da solo, nessuno può capirlo in questo momento, né io né Care, anche se lei fa del suo meglio per distrarlo.

Mi domando perché le cose succedano sempre tutte insieme, ci sono periodi di sufficiente calma in cui ci permettiamo di rilassarci solo per vedere le nostre certezze crollare un attimo dopo, così, senza nemmeno averle viste pericolanti.

Un momento prima ci sono, e quello dopo, sono rotte sul pavimento, il tempo che ti chiedi come sia successo e le cose sono cambiate ancora. Non hai il tempo di capire cosa ti succede intorno, fatto sta che devi correre ai ripari, e a volte si finisce solo per fare più casino.

Io sono un'esperta in questo.

È passata poco più di una settimana da San Valentino, e le cose sono orribilmente diverse da allora.

Non riesco a capacitarmene, io ancora spero di svegliarmi.

Ma non c'era proprio niente da cui svegliarsi, non era un sogno spiacevole che si poteva semplicemente mettere da parte aprendo gli occhi.

Le cose si erano fatte un po' più difficili di quanto sperasse o si fosse aspettata, ma non restava che affrontare il problema. Alla fine, dopo aver riposto il diario quello stesso giorno di poco più di un mese prima, un messaggio gliel'aveva mandato per davvero, perché non aveva resistito alla tentazione, alla paura di saperlo lontano, solo, magari in qualche guaio.

Era vero che Damon aveva vissuto da solo molto più a lungo di quanto fosse stato coi genitori, e che, in effetti, sapeva gestirsi meglio di chiunque altro... ma la preoccupazione era arrivata lo stesso.

Così, aveva aperto WhatsApp e fatto ciò che Caroline, il giorno dopo, avrebbe definito come "distruzione della sua dignità", proprio con quelle esatte parole.

'Stai bene?' gli aveva chiesto.

Ci aveva messo nemmeno dieci minuti a risponderle. 'Tutto ok'

Senza ulteriori spiegazioni, senza nulla che le facesse capire che non sarebbe durata ancora per molto, tutta quella cosa.

'Ti prego, torna a casa' era stata la sua battuta successiva, che aveva giustificato il rimprovero della sua amica.

Lui, infatti, a quel messaggio non aveva mai risposto, non importava quanto spesso lei controllasse il telefono per sapere se si era deciso a tornare, o se semplicemente gli aveva fatto venire voglia di sentirsi almeno un po'.

Aveva pianto ancora, quella notte, in silenzio, col telefono in mano aspettando che vibrasse, per non disturbare. Si era addormentata, sfinita, con le speranze distrutte.

Voltò un paio di pagine per non rischiare di piangerci su di nuovo. Forse nell'ultima settimana Damon aveva scritto con frequenza, di sicuro molta più prima, ma non sono cose che puoi semplicemente dimenticare.

O almeno, lei aveva bisogno di chiudere tutti i conti in sospeso, e poi, sperabilmente, andare avanti.

6 Marzo

Caro diario,

oggi a scuola ho riavuto il mio compito del corso di scrittura creativa della settimana scorsa, ho preso una F, perfino la mia professoressa era sconcertata, ha addirittura detto che non aveva mai letto niente di così sconclusionato, e che da parte mia non se lo sarebbe mai aspettato.

Mi sono sentita un tantino umiliata, specie perché questo discorso l'ha fatto di fronte a tutta la classe, e io avrei voluto sotterrarmi. Stefan se l'è cavata con una B- che è il voto più basso in assoluto che riesce a prendere, anche quando si impegna a fare male le cose.

Vorrei avercelo io, il suo cervello, a volte, o anche la metà della sua concentrazione. Durante il compito non ero in me, e questa è l'unica cosa che potrei dire in mia difesa.

Sono rimasta irritata tutto il giorno, a causa di questa cosa, io non sono abituata ad avere meno di A+ in quella materia, non riesco a spiegarmi come sia stato possibile arrivare a prendere una F, cioè potevo capire una C, ma una F è troppo per affidare tutto a una brutta giornata.

La mamma mi ha rimproverata pure troppo, dice che ultimamente sto dando troppa importanza alle cose sbagliate, che devo rivedere la mia lista delle priorità, che "ti capisco, posso immaginare cosa stai passando, ma non lasciare indietro le cose che contano davvero."

Perché, naturalmente, come mi sento non è una priorità, a confronto dei miei voti in vista del College. Non che le abbia parlato di quello che sta succedendo, ma scommetto che Mary le ha fatto un quadro mostruosamente vicino alla realtà, perlomeno di quello che sa.

Nessuno le ha detto che Damon è stato fuori città per qualche settimana, e preferisco che sia così.

Mi sono preoccupata io per tutte e due, inutilmente, a quanto pare, perché è tornato a Mystic Falls senza un graffio.

Quando me lo sono visto sulla porta, il primo istinto è stato prenderlo a schiaffi.

Mi sono passate davanti le ultime due settimane come se fossero state un secondo, e lui era là, coi suoi occhi da cucciolo, la sua aria da cane bastonato, che aveva scritto in faccia "Perdonami", quella che sa che mi fa abbandonare tutti i buoni propositi e finisco per saltargli addosso e del passato, be', di quello chi se ne frega.

Stavolta, però, non ha funzionato.

Mi sono stupita di me stessa, di essere riuscita a reprimere quella parte di me che stava per scoppiare in lacrime di sollievo solo perché era tornato ed era tornato da me. Mi sono fermata un passetto prima, però, di sperare che l'avesse fatto per me.

Non avevo idea di cosa avesse fatto per quelle due settimane, perché se ne fosse andato, perché fosse tornato. Avevo bisogno di risposte, prima di spergiurare che avrei potuto perdonargli qualunque cosa.

Ero sola a casa, mamma era ancora in redazione, papà in ospedale, e Jeremy dovunque passi i pomeriggi ultimamente. Pioveva, e lui era bagnato come un pulcino, una vera scena da film: tutto gocciolante sul mio portico, appoggiato allo stipite con un braccio e quell'aria da cucciolo ferito.

Mi ricordava tanto quando è venuto a chiedermi scusa, la volta che mi ha detto che non amerà mai nessuno. Giuro che me lo sono chiesto così tante volte, questi ultimi giorni, se lui sia in grado di amare qualcuno davvero, che stavo quasi per sentirmi male al pensiero che, su di me, si fosse soltanto sbagliato.

"Cosa vuoi?" gli ho chiesto, col cuore che mi batteva nelle orecchie come un tamburo, tanto che per poco non ho nemmeno sentito la risposta.

Ero così nervosa che non mi sono nemmeno resa conto che suonare così brusca poteva non essere la scelta migliore.

Lui ha tirato su quel dannato angolo della bocca. "Sei ancora arrabbiata con me." non era una domanda, lui ne fa poche, e suppongo che sappia - o pensi di sapere - la risposta quando le pone, stavolta non aveva nemmeno bisogno di fingere.

Non ci voleva un genio per capirlo.

Ero ancora tremendamente arrabbiata con lui, e non per la nostra litigata in auto, e nemmeno per avermi praticamente costretta a fare di nuovo la prima mossa... ero incazzata e basta per tutta quella serie di motivi che l'avevano portato su quel portico a quell'ora del pomeriggio.

"Posso entrare?" mi ha chiesto, dopo, con molto meno sarcasmo, e forse è stato questo a farmi muovere dalla porta, o forse mi piace pensare che sia così, per non scoprirmi troppo morbida nei suoi confronti solo perché è lui.

Sapevo già che la mamma avrebbe fatto domande sulle pozzanghere che stava disseminando per il salotto, ma io ero troppo occupata per preoccuparmi di pulire. Ero troppo ansiosa di sentire la sua storia e devo ammettere di esserci rimasta davvero male nello scoprire che non ne aveva una da raccontarmi.

O una che volesse raccontarmi.

Siamo rimasti in silenzio per qualche attimo, lui sembrava aver finito tutte le parole.

"Dove sei stato?" non ci ho girato tanto intorno, mentre gli porgevo un bicchiere d'acqua che nemmeno mi aveva chiesto ma che ha bevuto tutto d'un fiato.

L'ho visto rifletterci un momento.

"In giro." è stata questa la risposta, e ammetto di aver avuto davvero voglia di prendere la bottiglia e spaccargliela in testa.

Non so ancora cosa mi abbia fermato, so solo che ho ripetuto incredula le sue due parole, come a volergli chiedere se mi stesse prendendo in giro, ma lui ha semplicemente annuito, per confermare quella versione.

E io mi sono chiesta se non fosse una di quelle cose di cui non si poteva parlare perché "non se la sente di condividere" o qualche altra amenità di questo genere, e potrebbe anche essere un'obiezione ragionevole, se dall'altra parte non ci stesse una persona che quelle risposte se le merita. Ci sono cose su cui non si può scegliere.

Eppure so che per quanto avessi potuto chiedere, avrebbe trovato un modo per svicolare la domanda finché non mi fossi rassegnata, e allora tanto valeva rassegnarsi fin dall'inizio, avrò quell'informazione in un altro modo, prima o dopo, che sia Alaric o Stefan a darmela.

Ho tutta l'intenzione di ricomporre il gigantesco puzzle che è questo ragazzo, riunendo tutti i pezzi che lascia in giro alle persone a cui tiene.

È sempre un colpo scoprire che le persone hanno ragione su quelle che ritengo essere delle certezze: sia Ric che Jenna mi avevano avvisata che non lo conosco, e io nella mia cieca presunzione credevo che fossero loro a sbagliarsi.

"D'accordo." gli ho detto, quindi. "Allora perché sei qui?"

E non so ancora bene se intendevo "qui" come "a casa mia", "a Mystic Falls" o ancora "qui di fronte a me", perché non accennava a spiccicare parola, e io stavo per perdere la pazienza. Non so se posso dire di averne avuta tanta, fino a oggi, perché non ho un altro metro di giudizio, ma sentivo che era agli sgoccioli.

Non mi piacciono i segreti, le cose non dette finiscono per minare le fondamenta delle cose, e io non volevo che questa relazione finisse per crollare per le sue inutili paure, che fossero su di me, su sua madre o su di noi non aveva importanza.

Come diamine si superano le difficoltà se non se ne parla?

"Volevo vederti." è riuscito a dire, dopo. Aveva gli occhi puntati sul tavolo della cucina, e io avevo solo voglia di piangere. "Sono tornato adesso e..."

Stavo per completare per lui con "E ti sei ricordato che esisto." ma mi sono morsa la lingua: non volevo litigare, o almeno non prima di sentire cosa aveva deciso, se aveva deciso qualcosa.

Io volevo solo chiarire qualunque cosa ci fosse da chiarire, anche se i presupposti non sembravano i migliori. Io che ne so che ha fatto in quelle due settimane, di preciso? Per quel che ne sapevo sul momento, poteva anche essersi ubriacato come una spugna, essere finito arrestato, coinvolto in qualche rissa, oppure poteva essere andato a letto con chissà quante donne, pur di dimenticarsi dei suoi problemi.

In fondo questa fino a me è stata la sua filosofia di vita: affogava i suoi dispiaceri nell'alcol e nel sesso.

Non dico che avrei sicuramente potuto aiutarlo a superare le sue difficoltà, se fosse rimasto, ma lui non mi ha nemmeno dato la possibilità di provarci.

"E?" l'ho incitato, visto che non sembrava voler proseguire.

"E mi sei mancata." ha concluso, come se si stesse togliendo un peso. "Volevo solo... vederti."

Ci ho provato, ci ho provato sul serio, a restare impassibile, a continuare a fare l'offesa, ma era così... indifeso che non ce l'ho fatta. Ho allungato le braccia e l'ho stretto forte, perché nonostante la rabbia, le lacrime piante a causa sua, le notti insonni, l'amarezza e tutto il resto, mi è mancato da morire.

"Io avrei voluto vederti in tutti questi giorni che non ci sei stato." sono riuscita a rimproverarlo almeno così, ammesso che sia davvero suonato come un rimprovero e non come una specie di dichiarazione disperata. "Perché te ne sei andato?"

Lui ha ricambiato la stretta, sono convinta che, a un occhio esterno sarebbe sembrato tutto perfettamente normale e come sempre, se ci avesse visti in quel momento.

"Avevo bisogno di cambiare aria un po'." mi ha detto. "Ero con Enzo, per una volta che era nei dintorni."

Già.

Enzo.

Il suo amico-spalla-compangno di bravate che io non ho mai conosciuto ma di cui ho sentito parlare fin troppo per poter stare tranquilla su cosa potessero aver combinato insieme.

"Tranquilla." ha proseguito, nemmeno mi avesse letto nel pensiero. "Nessuna notte passata in cella, in ospedale o in compagnia di donne sconosciute."

Devo averlo guardato scettica, quando mi sono allontanata. "Devo credere che avete fatto i bravi ragazzi e basta?" perché non ci credevo nemmeno un po'.

Damon ha ridacchiato. "Certo che no."

Erano passate più di due settimane e voleva darmi a bere che avessero passato tutto quel tempo insieme senza finire in cella, in ospedale o in qualche letto a caso? Tra l'altro ho la vaga sensazione che mi stesse nascondendo qualcosa, anche se, in fondo, gli credo almeno sul fatto che non è stato a letto con nessuna donna.

Più ci penso e meno mi torna tutto il resto, cosa c'è di male a dirmi dove se non ha fatto niente di male? Ma so anche che se è tornato è perché intendeva farlo, perché si è accorto di aver lasciato qualcosa di importante, e io sono stata la sua prima fermata... vorrà pur dire qualcosa.

"Abbiamo bevuto come spugne." ha solo detto questo per giustificare due settimane di assenza. "A quanto pare anche lui e Maggie erano un po' ai ferri corti."

Mi sono limitata ad annuire, anche se con ben poca convinzione.

"Davvero." ha continuato, serio. "Abbiamo solo... be', siamo stati coinvolti in qualche rissa, ma cose di nessuna importanza... non ho nemmeno dei lividi. Poi... sai, Maggie l'ha raggiunto hanno fatto pace, e..."

Ha lasciato la frase in sospeso, eppure io mi sono chiesta se sarebbe tornato se Maggie non avesse deciso di prendere la situazione sua e di Enzo in mano e fosse andata a riprenderselo. Chissà, magari ha anche detto a Damon qualcosa che l'ha fatto riflettere.

Non lo saprò mai, credo, perché lui non ha spiegato oltre.

"Non sembri molto felice di vedermi." ha commentato, dopo un altro momento di silenzio.

"Non è questo." mi sono affrettata a dire, anche se in realtà non lo sapevo nemmeno io se ero felice o no. Mi era mancato, sì, da matti, eppure mi sentivo... sbagliata a stare lì, così, insieme a lui. "Non ho... non ho niente da dire."

Per una volta era il mio turno di essere a corto di parole.

Che cosa voleva che dicessi? "Bravo, ti ci voleva una sbronza lunga due settimane! Lo sai che, nel frattempo, sono andata a fare shopping per tua sorella, e che mentre tu te la spassavi chissà dove, io mi addormentavo piangendo?"?, "Hai fatto bene, sono felice per te!"?

So che non è una bella cosa da rispondere, lo so bene, e forse volevo prendermi un po' la mia vendetta per aver passato tutto quel tempo a preoccuparmi quando lui non si era disturbato a fare lo stesso.

Però non so cosa significa niente per lui, il fatto di essere tornato, quello di essersene andato. Cosa vuole da me, da noi insieme... non parla e io non so come chiedergliele queste cose.

Così ho soltanto confessato: "Sono felice che sei tornato." anche se speravo, dentro di me, che fosse anche tornato il ragazzo di prima, quello di prima della notizia della gravidanza, e so che non è possibile, che per qualche motivo che non vuole dirmi, questa notizia è più pesante per lui che per i suoi stessi familiari, ma io ci speravo lo stesso.

Non ho potuto chiedergli perché avesse troncato tutti i rapporti con me, e lo so che abbiamo litigato, so tutto quanto, ma non ne aveva motivo, anzi, specie dopo una discussione. Non ce l'ho con lui perché abbiamo litigato, in fondo succede, basta chiarire, ce l'ho con lui perché da un giorno all'altro è sparito senza dare una spiegazione, un preavviso, senza farsi sentire in un momento così delicato e avermi liquidata quando ci ho provato.

Un giorno c'era e l'altro non più, semplicemente.

"Mi dispiace." ha mormorato, e mi domando se mi stesse chiedendo scusa per tutto questo.

Dispiace anche a me, ma nemmeno questo sono riuscita a dire. Non me l'aspettavo sulla porta, non me l'aspettavo e basta, non ero pronta per rivederlo, non mi ero nemmeno posta il problema di cosa avrei potuto dirgli una volta che fosse tornato.

E così è finita che non avevamo da dirci un bel niente, e questa cosa mi ferisce perché con Damon non è mai stato così, prima.

Si è chinato per darmi un bacio e dire un: "Ci vediamo domani." a cui io mi sono attaccata con le unghie e con i denti, perché se dice che ci vediamo domani, allora resta.

Resta, vero?

In effetti, era rimasto davvero.

Non aveva nemmeno più manifestato l'intenzione di andarsene e questo l'aveva rincuorata molto. Aveva perfino potuto ammettere che era felice che la gravidanza di sua madre stesse procedendo per il verso giusto, anche se non si era sbottonato molto di più a riguardo.

Elena spostò lo sguardo fuori dal finestrino, ma si vedevano solo nuvole e, occasionalmente, case piccole come se stesse guardando un modellino in scala, e più guardava più si sentiva salire la nausea.

Stefan ancora dormiva al suo fianco, lei sospettava non sarebbe stato di molta compagnia, e anche se lei avrebbe dovuto fare un pisolino per sperare di arrivare riposata, non aveva sonno nemmeno a pagarlo.

Da una parte non vedeva l'ora di essere già a destinazione, dall'altra era in ansia.

Dopo aver risposto affermativamente a un messaggio di Caroline che recitava qualcosa come "Dimmi che tu e il mio fidanzato siete ancora vivi", tornò a leggere il suo diario.

15 Marzo

Caro diario,

oggi è domenica, le cose tra me e Damon sembrano aver raggiunto un equilibrio, è un punto un po' incerto e sicuramente diverso da quello che abbiamo prima, ma almeno non anneghiamo nel mutismo. Forse ha ragione lui e dobbiamo solo trovare un altro punto dove stare bene, ma a modo nostro.

Insiste perché io vada in Italia con lui come avevamo programmato, ma io non sono davvero sicura di voler compiere questo passo. È vero che non significa niente, o almeno so che non significa niente per lui, anche se mi domando perché mi voglia far conoscere una donna così importante per lui come sua nonna, ma so che anche se ci pensassi da qui alla fine del mondo, non ne caverei un ragno dal buco.

Non sono nemmeno sicura che lo sappia lui stesso.

Comunque l'ho accennato a mamma e papà che sono, giustamente stavolta, rimasti esterrefatti perché lo sapevo da una vita e ho deciso di dirglielo a cinque giorni dalla partenza.

"Avresti potuto dirmelo direttamente giovedì mattina!" si è lamentata la mamma, scuotendo la testa.

Papà invece ha subito aggiunto: "Non vai proprio da nessuna parte!" col suo tono di disapprovazione. Forse Damon stava iniziando ad andargli giù per davvero, ma dal suo tiro mancino se lo vede, lo guarda sempre storto, e di sicuro non si fida a mandarmi quasi dall'altra parte del mondo con lui.

Ad essere onesta, non lo ero né all'ora di pranzo, né lo sono adesso, anche se attualmente ho un paio di speranze in più.

In ogni caso, ho solo lanciato uno sguardo alla mamma, so che lei è l'unica che può farlo ragionare. So che lo farà, anche se aveva stampato in faccia un cipiglio di rimprovero, ieri ne abbiamo parlato, le ho detto tutto quanto, quindi sa quanto è importante per me.

Non so perché non le ho detto del viaggio, forse non ero davvero convinta nemmeno io, ed era solo ieri, anche se non sono perfettamente certa di esserlo adesso.

All'inizio mi ha stupita ricevere il suo messaggio dove diceva di vederci.

In spiaggia.

Con questo freddo.

Era primo pomeriggio, e io non sono, ormai, molto famosa per essere ferma di spirito. Probabilmente una Caroline l'avrebbe mandato al diavolo, io invece ho preso le chiavi della macchina e sono partita, quaranta minuti di viaggio, per arrivare proprio lì dove mi aveva portata a passeggiare mesi fa, anche se allora faceva meno freddo.

L'ho trovato subito perché era l'unica persona abbastanza matta da fare due passi in riva al mare a metà Marzo. Si è tenuto la giacca di pelle quasi tutto l'inverno, e invece oggi ha deciso per il cappotto. Sono le piccole cose che ti dicono se una persona è bizzarra, dovevo capirlo subito.

Insomma, l'ho raggiunto.

"Ehi." gli ho detto, per farmi notare, perché ancora non so bene come instaurare una conversazione con lui senza che si allontani in continuazione. Una parte di me ha ancora paura che sparisca di nuovo, e so che non lo sopporterei.

Perché lui se ne va senza dare spiegazioni, ti lascia lì a chiederti cosa diamine hai fatto di sbagliato, come sempre, e può darsi che tu non abbia fatto niente, che lui semplicemente avesse voglia di fare così. Non è legato a niente, né alla sua famiglia, né a me.

E questa cosa mi uccide ogni volta che la penso.

Lui si è voltato verso di me e mi ha sorriso, ed è così che mi frega, che mi fa dimenticare tutto quello che mi fa stare male.

"Ehi a te." mi ha detto, con il tono di chi non ha una sola preoccupazione al mondo.

Forse è così che vive la gente, e sono io quella che si fa i problemi per niente, ma la cosa non smette mai di stupirmi.

"Sei venuta." ha proseguito, e quest'osservazione mi ha fatto pensare che, forse, non pensava che l'avrei fatto.

"Perché hai voluto che ci vedessimo qui?" gliel'ho dovuto chiedere.

Insomma, pensavo che avrebbe potuto scegliere un qualsiasi altro posto, se era in vena di simbolismi, anche la cioccolateria a cui siamo andati per il nostro primo non-appuntamento, quella spiaggia aveva segnato la prima volta che ci eravamo avvicinati davvero e io avevo bisogno di sapere se era per questo che mi aveva portata lì, per riniziare daccapo.

Lui, comunque, si è stretto nelle spalle e ha detto: "Mi piace. È tranquillo."

Ho scostato un po' di sabbia col piede, incerta, e ho solo mugolato un assenso. Da una parte ero semplicemente felice di essere là con lui e non volevo rischiare di dire o fare niente per compromettere quel momento, dall'altro proprio non sapevo cosa dire.

"Domani parto." ha continuato, e io l'ho guardato sorpresa: non avevo capito che avrei viaggiato da sola per raggiungerlo dai suoi. "Vado un po' prima per calmare le acque coi parenti, sperando che non ti soffochino..."

Sembrava in imbarazzo, su questo punto.

Gli ho sorriso un po'. "Non ho mai preso l'aereo." ho confessato, e devo ammettere che l'idea un po' mi spaventa ancora anche se lui mi ha rivelato un dettaglio che ha messo praticamente a tacere l'ombra di risentimento che avrei sicuramente provato se non l'avesse fatto.

"Verrà Stefan con te."

Non viaggiare sola significa moltissimo per me, e non solo perché avrò una mano da stritolare durante il decollo. Forse essere col mio migliore amico di una vita sarà la cosa migliore, anche se devo ammettere che dividere quel momento con Damon non mi sarebbe dispiaciuto.

So che dobbiamo recuperare, in qualche modo, che qualcosa tra noi si è incrinato, lo sento tutte le volte che ci guardiamo che, semplicemente, non è più come prima.

Forse ci sono troppe cose non dette e sensi di colpa a riguardo per fare finta di niente.

Care dice che sono troppo disfattista e che dopotutto qualche cosa del genere può capitare. A volte mi destabilizza il modo in cui cambia opinione nello spazio di qualche giorno.

"Quando certe cose le perdoni, lo fai e basta. Ci passi sopra, stare a rimuginarci sopra non ha senso." ha tagliato corto, anche se con disapprovazione.

E forse ha ragione, forse quando perdoni una cosa perdi il diritto di essere arrabbiato per quello.

Forse questa è tutta una mia sensazione perché le cose di cui non si discute mi si bloccano in testa come un masso di cemento.

Lui è tornato, non abbiamo più parlato del fatto che abbiamo discusso, che se ne sia andato, è tutto come se niente fosse successo.

In ogni caso, Stefan non mi aveva parlato delle sue intenzioni di partecipare al viaggio, e io sono rimasta sorpresa.

"Come mai?" non nego che avevo pensato e sperato che questo viaggio fosse una scusa per rimettere le cose al loro posto, una cosa per noi due.

La presenza di Stefan mi tranquillizza molto, non posso dire il contrario, ma so anche che le probabilità che si ritrovi a fare da buffer sono molto alte.

Prima di rispondermi, comunque, ha preso un bel respiro. "Dice che mamma e papà sono diventati due insopportabili piccioncini."

Ho lasciato andare una risatina. Chissà perché ce li vedo benissimo Mary e Giuseppe che si comportano come due adolescenti innamorati, sono sempre stati riservati, ma mi è sempre piaciuto il modo in cui interagiscono, anche in pubblico.

"Non ridere." mi ha dato una spintarella giocosa. "Deve essere uno spettacolo straziante."

Perché lui è quello 'allergico alle manifestazioni d'affetto', purché non riguardino lui stesso, poi se sono in privato o in pubblico poco importa.

"Gli ho proposto di stare da me, ma dice che vivere con me sarebbe peggio che vivere con quei due, lo stronzetto." mi ha raccontato, poi.

Stento a credere che Stefan possa davvero aver detto una cosa del genere, ma so anche che ultimamente la sua lingua si sta facendo più tagliente di quanto non sia mai stata.

Un po' lo capisco, si sta prendendo le sue piccole vendette, con lui. So che questa situazione lo fa soffrire tanto quanto me, per una volta che aveva avuto suo fratello indietro, lui decide di starsene per conto suo e, addirittura, mantenere in tensione la famiglia.

Capisco anche che non gli vada giù tutta la faccenda, ma a volte dobbiamo mandare giù i bocconi più amari pur di non far pesare i nostri problemi o le nostre convinzioni sulle persone che amiamo.

Intanto, avevamo iniziato a camminare, e io mi stavo immaginando Stefan e Damon confinati in un appartamento con un bagno soltanto.

"Quante volte gli nasconderesti il gel per capelli?" gli ho domandato. "Al giorno."

E lui ha riso: sapevamo entrambi che ho ragione.

Mi ha preso la mano, e ho davvero creduto che il mio cuore potesse schizzarmi fuori dal petto e andarsene a spasso per conto suo, nemmeno avesse messo le ali.

"Tu non hai cambiato idea, vero?" suonava dubbioso mentre mi ha fatto questa domanda. "Cioè... vieni anche tu, giusto?"

Eravamo rimasti che ci dovevo pensare, con tutto quello che era successo ultimamente. Ma io qualche giorno fa non sapevo nemmeno se potevamo definirci ancora una coppia o meno.

Ho annuito, però. "Voglio venire." ed è così. Non solo per conoscere la sua famigerata famiglia e vedere dei posti di cui ho solo sentito parlare.

Voglio un po' di tempo per stare da soli insieme, come non capita da fin troppo, da quando mio padre ci ha messi in punizione, perché l'unica sera in cui abbiamo potuto stare per conto nostro è successo il finimondo.

Se dovessi cogliere i segni, direi che è l'Universo che mi sta dicendo di lasciar perdere e mandare al diavolo tutto, ma non ci riesco.

"Nonna non vede già l'ora di vederti." ha messo le mani in tasca, la sua insieme alla mia. "E mi ha rimproverato un sacco perché non ti porto con me."

Non lo capisco questo suo bisogno di andare prima, forse lo fa davvero per preparare i parenti, forse anche per pregarli di non comportarsi in modo strano, visto quanto è preoccupato della cosa... e. in effetti, anche io avrei voluto un po' di tempo prima di fargli incontrare mia nonna Jane, anche se non c'è stato.

Le famiglie possono essere strane.

Pure troppo.

"Devo affidarmi a Stefan, quindi?"

"Non per tutto il tempo." mi ha rassicurata. "Alla stazione vengo a prendervi, Roma può sembrare incasinata se non sei abituato alle grandi città."

E io, di certo, non lo sono, tantomeno lo è Stefan.

"Ti piacerà." ha detto, dopo.

Me lo dice sempre, quando ha in programma una sorpresa o una cosa del genere. Il fatto è che ha sempre ragione, quindi gli credo.

E già basandomi sulle foto che ho visto qualche mese fa so che sarà così.

Spero che la magia di quel posto ci aiuti un po' a ritrovarci, forse già lo sta facendo. Io spero per il meglio, oggi non è andata male, anzi, rispetto agli ultimi giorni è stato fantastico, abbiamo parlato, e questo è un grosso passo avanti.

Ho tenuto la mano nella sua tasca tutto il tempo, è stato lui a non lasciarmi andare fino a che non abbiamo deciso di tornare, quando l'ho sfilata, mi ha lasciato qualcosa.

Ci ho messo un momento per capire che cos'era: un biglietto aereo.

L'ho guardato, credo, come l'ho guardato quel giorno in cui ha prenotato un intero ristorante per il nostro primo appuntamento.

Lui si è stretto nelle spalle e ha guardato da un'altra parte. "Così, se decidi di non venire, alla fine, non hai il problema del rimborso."

E non capivo.

Gli avevo già detto che volevo andare, perché insiste sempre per fare così?

"Damon." ho solo detto, perché non sapevo esattamente cosa dire.

Una vocina nella mia testa mi suggeriva che l'aveva fatto perché è l'unico modo che conosce per farsi perdonare, dopotutto suo padre stesso si comportava così con lui. Quando non sai da che parte cominciare per rimediare con l'affetto, lo fai con ciò che conosci meglio.

"Grazie." ho soltanto aggiunto.

Di discutere per questo non valeva la pena, e so che l'ha fatto con le giuste intenzioni.

Siamo tornati indietro insieme, con la mia macchina - ho scoperto che lui era andato lì con un autobus, e la cosa mi ha lasciata di sasso, non pensavo che avrebbe preso un mezzo pubblico nemmeno sotto tortura quando ha la sua amata Camaro in garage -, dopo aver fatto una passeggiata in riva al mare, non si stava così male, dopotutto.

Ho proposto di accompagnarlo a casa e non ha voluto, ha detto che non gli sarebbe dispiaciuto farsi una passeggiata a piedi, e mi ha accompagnata sulla porta di casa.

Ero nervosa, lo devo ammettere, non sapevo bene come comportarmi, era come un Damon che conoscevo da sempre, eppure, affatto, come se fosse stato soltanto un ragazzo con una faccia che avevo già conosciuto, un estraneo.

E poi parte, domani, non ero sicura nemmeno di come eravamo rimasti.

Però lui mi ha baciata.

Ho dovuto rileggere delle pagine del mio diario di qualche mese fa per rendermi conto che mi sono sentita esattamente come se fosse stato il primo, solo che eravamo più sicuri entrambi. Non sono rimasta ferma come un baccalà come a Novembre, ma per il resto è stato lo stesso.

"Buonanotte." mi ha salutata così, come sempre.

E io sono rimasta un minuto buono sulla porta di casa, come quelle ragazze nei film che dopo il primo bacio si congela loro il cervello come se avessero mangiato del gelato troppo in fretta.

Solo che il mio gelato si chiama Damon Salvatore.

E sì, penso davvero che il mio cuore abbia deciso di andarsene per fatti suoi, eppure io sono qui che ancora non so cosa pensare.

L'arrivo a Roma era stato praticamente indolore. Elena e Stefan avevano dormito quasi tutto il volo da Parigi, fu l'avvertimento a riallacciare le cinture, a svegliarli.

Con ancora la sua attaccata dal decollo, Elena si stiracchiò, stupita che fossero già arrivati.

«Wow.» si ritrovò a dire: osservando fuori dal finestrino. Stavano scendendo di quota ma si vedeva ancora una gran parte della città dall'alto.

Stefan si sporse da sopra la sua spalla per imitarla. «A me le città così grandi fanno paura.» ammise.

«Damon è già qui?» domandò la ragazza, un pochino eccitata all'idea e anche intimorita.

Ma più eccitata, a giudicare dal fatto che quando il suo migliore amico scosse la testa, si ritrovò ad esserne dispiaciuta, riflettendo che gliel'aveva promesso.

Eppure aveva anche promesso che non l'avrebbe lasciata più, e neanche quella promessa l'aveva mantenuta.

«Lui ci aspetta alla stazione.» le spiegò. «Noi scendiamo dall'aereo, prendiamo il treno e ci troviamo là. Dice di farglielo sapere così si fa trovare direttamente al binario... a quanto pare, qualcuno è ansioso di vederti.»

Elena sorrise. «Scommetto quello che vuoi che farebbe lo stesso se fossi da solo.»

E questa era una di quelle poche cose su cui le era rimasta la certezza.

Stefan non rispose, e lei capì che era ancora seccato per come Damon si era comportato nell'ultimo periodo, non solo nei suoi confronti ma anche in quelli di sua madre.

Avrebbe voluto chiedergli di perdonarlo, di passarci sopra, che tanto era così e non sarebbe cambiato, ma da una parte capiva quanto fosse difficile comprendere sempre senza essere compresi nemmeno una volta.

Così, insieme, scesero dall'aereo e si fecero strada tra una marea di persone fino al nastro dei bagagli.

Elena stava col naso all'insù: l'aeroporto di Richmond le era sembrato enorme, ma Fiumicino sembrava un altro mondo.

Era parecchio confusa. Si era attaccata al braccio di Stefan come se fosse stato la sua ancora di salvezza. Almeno lui sapeva parlare italiano per chiedere informazioni.

«Wow.» ripeté, non appena lo seppe. «Non me l'avevi mai detto.»

Lui si grattò la testa, a disagio. «Mi sento un po' un idiota a parlare una lingua che non sia l'inglese.» confessò. «La gente ti chiede sempre qualche parola nelle altre lingue che sai, quando lo dici.»

Afferrò il suo bagaglio subito dopo, dietro, quello di Elena, aveva un cartellino che era stata Caroline a insistere per mettere perché fosse più riconoscibile: ricoperto di pailettes rosa.

«A proposito.» osservò il ragazzo, notandole. «Sarà meglio che chiami la mia ragazza, appena troviamo il treno, prima che prenda il prossimo volo per decapitarmi.»

Prima del treno però c'erano altre cose da fare: lei cercava il bagno disperatamente, e stava rischiando di perdere l'orientamento.

«Guarda che ci sono le indicazioni anche in inglese.» le fece notare Stefan, all'ennesima richiesta di cosa significasse una certa parola sui cartelloni.

«Oh.» mormorò Elena, in risposta, sentendosi stupida.

Il suo migliore amico, però, scoppiò a ridere. «Non ti preoccupare.» le diede una pacca sulla spalla, mentre la spingeva verso il bagno. «Succede a tutti la prima volta, io resto a sorvegliare i bagagli.»

Mezz'ora dopo, erano alla ricerca del binario.

«Moriremo qui dentro.» sentenziò Elena, scornata.

Stefan aveva il naso per aria e controllava le indicazioni, nel frattempo sul suo cellulare aveva aperto il sito per controllare le partenze.

Le lanciò la prima occhiata storta della giornata. «Piantala di fare la melodrammatica.» forse perché lo stava pensando anche lui.

Ma cosa dovevano fare due ragazzini appena diciottenni in un aeroporto così grande? Si sentiva un tantinello abbandonata.

Perché cavolo Damon non era andato a prenderli all'uscita del gate invece che aspettarli alla stazione?

«Ci siamo persi?» domandò al suo amico, dopo un attimo di silenzio.

Lui sbuffò, sconfitto, e le si sedette accanto. «Ti arrabbi se ti dico che non so dove andare?» sembrava un bambino beccato a fare le marachelle dalla mamma.

Elena gli tirò una gomitata giocosa.

«Perché non sfrutti un po' il fatto di saper parlare la lingua del posto?» gli chiese.

Non era abituata a stare in un posto dove tutte le altre persone parlavano un'altra lingua, era una brutta sensazione non riuscire a capire assolutamente nulla.

Così, mentre Stefan chiedeva informazioni, Elena riaccese il suo telefono per far sapere alla sua famiglia di essere arrivata tutta intera.

'Siete arrivati?' domandava Damon.

'Sì.' gli rispose lei, soltanto, per poi aggiungere: 'E ci siamo anche persi.'

Sollevò lo sguardo su Stefan che chiacchierava con una signora col suo cagnolino. Ma il messaggio di Damon la distrasse.

'Lo sapevo che non dovevo stare a sentire mio fratello che era sicuro se la sarebbe cavata da solo.'

Per poco la ragazza non alzò gli occhi al cielo: i fratelli Salvatore sapevano essere cocciuti ognuno a modo suo. Si domandò dove avrebbe portato l'ostilità di Stefan, per quanto giustificata.

Lui, però, tornò a prenderla col suo sorriso di sempre. «Vieni, so dove dobbiamo andare.»

Scavò nel suo borsone per tirarne fuori un biglietto. «Questo è da parte di Damon, tra un po' me lo scordavo pure.» era il biglietto per il treno che avrebbero preso. «Non commentare, tanto lo sai già che è tutto inutile.»

Elena non disse niente, di nuovo. Le era chiaro che quell'invito a passare la settimana con la sua famiglia da parte del suo ragazzo era sotto condizione che non avrebbe speso un centesimo.

«Penso che dovresti parlarci.» gli disse, però.

Stefan si strinse nelle spalle. «Serve a qualcosa, forse?» e questa era una domanda retorica, a cui Elena non seppe ribattere.

Mentre si avviavano al treno, Stefan le lanciò uno sguardo di scuse.

«Non prenderla a male.» iniziò. «Lo so che ci tieni a lui, ci tengo anche io, ma... a volte... a volte si comporta da testa di cazzo, ecco.»

Lei gli mostrò un sorriso piatto. «Capirlo è difficile anche per me, Stef.» confessò, in risposta. «Ma è tuo fratello. E in questo momento credo che dobbiate essere uniti.»

Il discorso cadde lì, con l'arrivo del treno, e un viaggio di circa mezz'ora piuttosto silenzioso, se non per qualche commento sul panorama.

Per Elena era tutto completamente nuovo, le sembrava proprio di essere su un altro pianeta. Sì, aveva visto grandi città, più o meno, ma già sapere di essere in un altro Paese conferiva al tutto un'atmosfera di estraneo e, contemporaneamente, eccitante.

«Pensi che ce la facciamo a fare un giro?» gli domandò, spalmata contro il finestrino.

«Non saprei.» ammise Stefan. «La mia famiglia sta vicino Firenze, sono altre tre o quattro ore di viaggio. Ma possiamo sempre chiedere a Dam.»

Il cuore le andò in gola, all'annuncio che stavano arrivando a Roma Termini.

Non ci sarebbe voluto molto per chiederlo a Damon di persona.

«Oh, ma perché devo essere così nervosa!» sbottò, nascondendo la faccia nelle mani.

Stefan rise, e il treno si fermò.

«Vedo che alla fine avete trovato la strada giusta.» fu il commento di Damon, mentre loro due cercavano di capire da che parte andare.

Stefan si schiarì la voce, perché lo sapeva che, in fondo, era colpa sua.

«Potevi risparmiarti il viaggio.» replicò, però. «Avremmo preso un treno per Firenze benissimo anche da soli.»

Elena azzardò un'occhiata, le labbra pressate le une sulle altre per non sorridere o, peggio, ridere.

«No.» lo contraddisse il fratello, sorpassandolo per raggiungere lei. «Perché sono qui da una settimana per un motivo ben preciso e non avrei lasciato che il tuo scarso senso dell'orientamento o conoscenza della lingua rovinasse i miei piani.»

Si chinò per baciare una guancia della sua ragazza e sussurrarle un "Benvenuta in Italia" seguito da un occhiolino.

«E ciao anche a te, comunque.» si lamentò Stefan.

Un braccio del maggiore strisciò intorno alla vita di Elena. «Ciao.» rispose, semplicemente. «Nonno ti aspetta al parcheggio. Fossi in te non farei aspettare troppo il vecchio, non ha più la pazienza di una volta.»

Confuso, Stefan aggrottò la fronte. «E voi?» chiese.

Elena era altrettanto spaesata, ma era anche incuriosita. Occhieggiò il suo fidanzato e il suo sorrisino carico di sottintesi.

«Noi ci vediamo... be', tra tre giorni.» annunciò lui, come se fossero già stati d'accodo sulla cosa. I due ragazzi erano costernati. «Io ed Elena arriviamo con calma.»

La ragazza lo guardò. «E dove andiamo?» domandò.

«Sorpresa.» fu tutto ciò che ottenne in risposta.

Stefan scosse la testa e le mani. «Non ne voglio sapere niente.» ammise. «Chiamo Care e raggiungo il nonno, hai detto che è nel parcheggio, giusto?»

Damon annuì soltanto.

«Ottimo.» commentò il ragazzino, afferrando il manico del carrello della sua valigia. «Allora ci vediamo domenica.»

Si salutarono così, mentre Elena si domandava se non dovesse almeno avvicinarsi al parcheggio per salutare il nonno di Damon, lui però non dava segno di voler seguire il fratello, tutt'altro. Ma se il nonno portava Stefan a Firenze, loro cosa avrebbero fatto?

«Com'è andato il viaggio?» le chiese lui, invece, prendendole la valigia. «So che Stefan non è un granché come compagnia quando ha le sue cose.»

«Ho letto un po'...» confessò lei, stringendosi timidamente nelle spalle, sperando che non le leggesse in faccia che era stata per ore sul suo diario. «E lui ha fatto un paio di foto al panorama, ne abbiamo di davvero... strane. Cioè non sono abituata a pensare di poter guardare le cose da sopra le nuvole.»

Era stato spaventoso, da un lato, a un certo punto c'erano case così piccole che aveva dovuto smettere di guardare perché le sembrava di cadere.

Mentre lei si guardava ancora intorno cercando di valutare tutte le differenze e quei dettagli che sperava di ricordare almeno fino a sera, quando avesse potuto metterli su carta, Damon le punzecchiò un fianco.

«Ciao, comunque.» le disse, divertito.

Elena ridacchiò: in effetti, non gli aveva prestato poi troppa attenzione, occupata com'era a ritrovarsi in un posto così poco familiare.

L'unica esperienza fuori porta che poteva vantare, dopotutto, era stata un campeggio poco fuori città con la sua famiglia, e al massimo shopping selvaggio con le amiche, ma mai granché lontano.

Era la sua prima volta fuori casa completamente sola, anche se c'era Damon con lei, e il cambiamento era davvero grande.

«Scusami, è che...» fece una pausa. «È tutto così nuovo...»

«Per fortuna ci sono io che conosco questo posto come le mie tasche.» le offrì il braccio libero, con un sorriso ammiccante. «Credo sia ora di andare.»

Proprio prima che aprisse bocca, infatti, c'era stato un annuncio che pareva aver attirato la sua attenzione in modo particolare.

«Andare, dove?» chiese Elena, infilando la mano nell'incavo del gomito.

Aveva detto sorpresa, ma a lei le sorprese facevano venire l'ansia, e lui lo sapeva.

«Stefan se n'è andato, adesso puoi dirmelo.» aggiunse, sperando di convincerlo, ma se pensava che ci sarebbe riuscita, si sbagliava.

Il divertimento, infatti, raggiunse gli occhi del ragazzo, che scosse la testa e la accompagnò ad un altro binario.

Elena lo seguiva, confusa ma incuriosita, stando ben attenta a non perderlo o lasciare la presa.

Quando le fece cenno di salire sul treno, la ragazza lo guardò. «Sul serio, Dam.» disse. «Lo sai che con le sorprese...»

Non fece in tempo a finire la frase, dopo aver messo su la valigia, lui pensò bene di mettere su anche lei, che con un gridolino di sorpresa gli si aggrappò al collo.

«Come ho detto al mio fratellino... sono venuto qui prima per una ragione.» replicò, semplicemente. «Dovrai solo aspettare qualche ora per saperlo. Il treno parte tra pochi minuti, e io sono stato così previdente da prendere due biglietti.»

Elena scosse la testa, per niente stupita. «Scommetto di prima classe.»

«Non mi merito niente di meno del meglio!» commentò Damon, in tono ovvio, prima di trascinare la sua valigia là dove aveva prenotato i posti.

I sedili erano grigi e rossi, e il locale spazioso, molto diverso dal treno che aveva preso prima, e aveva tutta l'aria di essere confortevoli.

«Ci vorranno poco più di tre ore.» la avvisò il ragazzo, piuttosto allegro, mentre Elena pensava di volersi suicidare. «Meglio mettersi comodi.»

Altre tre ore di viaggio. Le sembrava di essere in giro da una vita.

Comunque, seguì il suo consiglio, nel sedile di fronte. Era divisa tra il bisogno di dormire e il desiderio di fare conversazione, anche se ancora il suo fidanzato le sembrava un po' strano: era stato abbastanza caloroso, ma l'aveva toccata a stento.

L'aveva salutata in ben altro modo, quando se n'era andato.

«Va bene.» fece lei, con un sospiro. «Quindi sei venuto qui prima per organizzarmi una sorpresa. Ecco perché qualche giorno fa mi hai detto che "mi piacerà".»

Lui chinò la testa da un lato, in una soddisfatta conferma.

«Ho pensato che avessimo entrambi bisogno di un po' di tempo per... rilassarci, mettiamola così.» fu la sua criptica risposta.

Elena immaginava che avesse a che fare col suo modo preferito di "rilassarsi", e finse di essere particolarmente interessata a una brochure lasciata sul tavolino che li separava e che non avrebbe comunque capito.

Mugolò e basta.

«Sul serio.» aggiunse, convinto. «E do il tempo alla nonna di spupazzarsi un po' mio fratello che non vede da una vita, prima di essere troppo distratta da te... dubito che ci vedremo affatto per la prossima settimana.»

«Oh.» mormorò lei, finalmente comprendendo che non voleva altro che passare un po' di tempo solo loro due.

Quando era stata l'ultima volta che era stato possibile?

«Te l'ho detto, be'...» continuò lui, grattandosi una tempia. «La mia famiglia può essere strana, e da quando pure le mie cugine sanno che arrivi... insomma, c'è un po' di confusione in casa.»

Elena sorrise. «Abitano tutti vicino a tua nonna, i tuoi parenti?» se era così e davvero erano tutti così interessati, lui aveva ragione.

Damon annuì.

«E fanno così con tutti i partner dei tuoi cugini o sono una speciale creatura magica?» proseguì lei, stranita.

«Non ho mai portato a casa una ragazza, per le ragioni che sai, quindi questa per loro è una cosa del tutto fuori dal normale.» adesso era lui quello interessato alla brochure. «Sai che mi ha detto la nonna appena mi ha visto? "Lei dov'è?", nemmeno "ciao" o "ben arrivato", e l'avevo avvisata che arrivavo da solo. Il nonno invece ha commentato con "Lo sapevo che non eri un caso perso."»

Sbuffò, e si mise a guardare il panorama che scorreva veloce fuori dal finestrino.

«Per i nostri nonni suppongo che chiunque sopra i sedici anni sia un caso perso se ancora non ufficialmente fidanzato.» tentò Elena, per risollevargli un po' il morale. «Tutto sommato ci è andata bene.»

«Suppongo di sì.» concesse, prendendole la mano sopra al tavolo. «Hai fame?»

La ragazza scosse la testa, per quanto poco, aveva mangiato in aereo, e il fuso orario le aveva completamente fatto perdere l'appetito, e questa era una cosa strana, per lei.

Non si rendeva conto nemmeno di che orario avrebbe dovuto essere se fosse stata a casa.

Passarono il loro tempo così, quelle tre ore che Elena aveva avuto paura che sarebbero state pesanti e colme di silenzio, a chiacchierare, un po' di tutto e un po' di niente, ma soprattutto delle cose che aveva fatto lui mentre era stato lì – ovviamente evitando accuratamente la pianificazione della loro mini vacanza –, su cui lei provò a insistere più volte.

«Cosa ti costa aspettare un altro po'?» le chiese. «Siamo quasi arrivati, promesso. Solo dieci minuti di taxi.»

«Uffa, va bene.» acconsentì lei, mentre caricavano la sua valigia nel bagagliaio. «Ma tu non hai bagagli.»

Se davvero dovevano stare fuori fino a domenica... qualcosa non tornava.

Lui rise. «Non qui.»

Lo scoprì poco dopo, anche dopo che aveva finito di raccontarle l'ultima marachella di sua cugina Sofia che, una sera, era comparsa in cucina con un pezzo di un vaso in mano, tutta sorridente e sporca di terra, dopo essere stata a giocare nel cortile.

Quello aveva segnato il funerale di alcune piante di sua nonna.

«Ma è solo un albergo.» osservò Elena, una volta che il taxi li scaricò in quello che aveva tutta l'aria di essere il parcheggio.

Era quasi delusa dalla scoperta.

Aveva già intuito dove volesse andare a parare il suo ragazzo, conoscendolo, eppure pensava che si sarebbe trovata di fronte a qualcosa di un po' più elaborato.

Non riusciva a non pensare a quanto le si era stretto il cuore di nostalgia solo a vederlo lì, sul marciapiede del binario, bello come non le era sembrato mai – forse impossibile, ma quella era stata l'impressione –, a quanto aveva inconsciamente atteso quel momento per giorni, perfino.

A quella ritrovata sicurezza che niente sarebbe potuto andare male al mondo.

Damon le diede una gomitata. «Non è un semplice albergo.» detto col tono di chi non vuole sentir sminuire una propria trovata. «Seguimi, malfidata. So già che cosa passa in quella tua perversa testolina.»

E sì, lui non era fatto di legno, ma sapeva ancora che cos'era la decenza. Soprattutto, Elena non aveva dato segno di voler andare oltre un certo punto, nelle ultime settimane, e non che potesse biasimarla, dato che non si era esattamente comportato bene con lei – come a Stefan era piaciuto tanto sottolineare fin troppo spesso – e benché quella fosse una scusa per ritrovare un po' la loro intimità era anche un modo per passare del tempo insieme.

Recuperare quello che lui si era lasciato scivolare dalle mani con così tanta facilità.

Raggiunsero la stanza più bella che Elena avesse mai visto subito dopo essersi registrati alla reception. Entrò con un «Wow!» seguito da lei che scostava le tende per far entrare la luce del pomeriggio e illuminare quella bella stanza.

Poté notare un angolo cottura nell'anticamera, e poi il letto coperto da un piumino blu e oro, coordinato con la tappezzeria, c'erano perfino dei divanetti, e una TV più grande di quella che aveva a casa.

«Abbandonami pure qui.» mormorò, estasiata.

«Ma è solo un albergo!» la scimmiottò il suo ragazzo, punzecchiandole il fianco. «Te l'ho detto che ti sarebbe piaciuto. Coraggio, scegli.»

Lei si voltò, ancora incredula.

«Scegliere, cosa?» lui le stava porgendo una specie di libricino bianco.

Lo aprì per trovare un menu... scegliere la cena?

«Okay.» commentò, prima di rendersi conto che non capiva niente. La metà dei nomi dei piatti era francese – forse – e l'altra metà in italiano.

Traduzioni in tedesco.

Gli tirò un'occhiataccia, restituendogli il tutto. «Era una domanda a trabocchetto, scusa?»

«Oh, no!» Damon rise e si riprese il libretto. «Pensavo fosse la cosa dei fanghi e dei trattamenti di bellezza... visto che dubito sia una buona idea andare in piscina.»

Era conscia di non essere al meglio dopo essere stata in giro praticamente un giorno intero, e che la stanchezza stava avendo la meglio su di lei, e forse anche sul suo buon giudizio. Solo che il nome era parecchio allettante.

«Invece voglio andarci.» sentenziò.

Non poteva avere paura per sempre dell'acqua, giusto? E poi finché non fosse stata fredda come quella del fiume quell'inverno, e finché ci fosse stato Damon con lei e, magari, anche il chiasso della gente, era abbastanza sicura di poter gestire tutto.

Se ne voleva convincere lei per prima, che quella fosse una specie di opportunità che le stava dando il destino, un segnale. Lasciarlo perdere avrebbe compromesso la buona riuscita di quella cosa per sempre.

Doveva far venire fuori qualcosa di buono, era un segnale.

«Cos'è, il gusto di contraddirmi?» le chiese, invece, cauto. «Non sono stato il fidanzato dell'anno, ma...»

Lei alzò gli occhi al cielo. «Pensi che metterei in pericolo me stessa per farla pagare a te?» era una domanda retorica. «Non sono così scema.»

Dal suo ultimo attacco di panico si era decisa a superarlo, e aveva fatto qualche ricerca sul Web prima di raccogliere quella proposta che ogni tanto sua madre le buttava lì di tornare a vedere uno specialista. Sapeva che stava tirando troppo la corda e che Damon sarebbe stato difficile da persuadere a metterla in potenziale pericolo.

Ma, dopotutto, lui era sempre riuscito in qualche modo a darle la tranquillità necessaria di fare tutto. Era stato lui il motivo per cui era riuscita ad uscirne da sola, dopotutto.

«Voglio provare.» ripeté.

«No. Sei pazza.» ribatté Damon, che la guardava dal letto, mentre lei aveva le mani sui fianchi, come se lo volesse rimproverare, in faccia l'espressione più seria che le avesse mai visto fare. «Sì, sei assolutamente pazza: non c'è altra spiegazione.»

«Mi sono documentata su Internet.» insisté Elena, che proprio non voleva demordere.

Ci teneva a fare ciò che intendeva fare, e non si sarebbe fatta fermare dalla paura di Damon per lei, e anche quella era una cosa che doveva imparare: a smetterla di proteggerla da tutto quanto.

Il ragazzo si permise di sfoderare il suo scetticismo. «Adesso sì che mi sento più tranquillo!» scosse la testa, incredulo. «Lo sai che ci vogliono dei dottori, e intendo dottori veri specializzati nel superamento dei traumi? Esistono delle terapie, dovresti provare quelle cose là, Pocahontas. Altro che bagnetti con le paperelle!»

Sospirò, di fronte alla sua ingenuità.

«Sono già stata da un dottore.» gli ricordò, piccata. «E non è servito a niente. Suppongo che abbiano un bagnino in questo hotel di lusso, se dovesse succedere qualcosa, o no? E piscine riscaldate, anche... c'era un thermal qualcosa scritto da qualche parte, giù.»

Non voleva prenderlo in giro o ferirlo, voleva solo dimostrare che era in grado di gestirsi da sé, a se stessa per prima, e poi a lui. Quale momento migliore?

«Per me continui ad essere pazza.» fu tutto ciò che disse Damon, senza dare la sua approvazione. «Ma immagino che tu ti sia messa in testa questa cosa per un motivo, e so che la farai anche senza di me. Perciò se Barbie ha avuto il cattivo gusto di infilarti un costume in quella valigia, possiamo scendere.»

Elena si esibì in un sorriso che sapeva di vittoria e si chiuse nel bagno.

Perfino quello gridava lusso perfino dalle mattonelle: c'erano sia vasca che doccia, e uno specchio dove ci si poteva quasi vedere a figura intera... e un bidet.

Non aveva mai visto un bidet dal vivo, in America si potevano trovare non sempre e solo negli alberghi di lusso.

Chissà se Damon si sarebbe offeso se le avesse sentito dire che le pareva strano.

In ogni caso, il costume in valigia c'era per davvero, e lei ne fu assolutamente entusiasta, perciò non si scordò di mandare un messaggio di ringraziamento alla sua migliore amica che ci aveva pensato.

Le piscine erano tre, e tutte a piano terra, una coperta, le altre due esterne, e non erano pienissime di gente, forse per l'ora o perché lo sembravano soltanto, dato che erano enormi.

«Okay.» ripeté, stupita. «Hai ragione quando dici che non meriti niente del meglio.»

C'erano anche dei bambini che si divertivano a schizzarsi.

«Lontano da loro.» fu ciò che disse Damon, piatto. «Che già questa storia non mi piace, ci mancano solo i marmocchi.»

Lei non commentò. «Non ti volevo far arrabbiare.» gli disse. «Ne ho solo bisogno.»

Lui le fece posare l'asciugamano sulla sdraio a loro assegnata e le fece cenno di seguirlo. Scelsero la piscina piena di signori anziani, quella con pochi idromassaggi.

«Così nessuno ti fissa troppo.» questa era stata la sua giustificazione.

Entrò per primo, tendendole la mano con cautela, la stessa con cui accompagnò lei e il suo cuore che batteva a mille lungo le scale della piscina.

«Te ne stai pentendo, eh?» le disse, un po' sornione un po' col tono di rimprovero.

Elena gli fece una linguaccia. Per quanto fosse nervosa, sapere che lui era là era di grande conforto. «Sto bene.»

Era anzi strano. L'acqua era molto limpida, sarebbe stata piatta se non ci fossero stati i depuratori, e molto, molto calda. Spingeva a rilassarsi, peccato che Elena stesse stringendo la mano di Damon come se ci fossero stati gli squali.

Ma le scale erano finite, e anche il corrimano.

«Oh.» tornò indietro e si attaccò al corrimano con la mano libera. «Forse è meglio restare qui dove è bassa... per ora

Lo aggiunse solo per non dargliela vinta, ma era davvero sicura che non si sarebbe avventurata oltre. L'acqua le arrivava a stento alla vita.

«Vieni qui.» le disse Damon, con più dolcezza, avvolgendola in un abbraccio. «Adesso che hai fatto la coraggiosa, mi puoi dire di cosa si tratta?»

Ma come glielo spiegava?

«C'è che sono stanca di essere sempre quella coi problemi.» sputò, frustrata. «Lo so che anche tu mi vedi così.»

Quando lui fece per parlare, probabilmente per negare, Elena lo interruppe.

«Passate tutti quanti più di metà del tempo a pensare a come dirmi le cose, e quando, perché potrei non sopportarle, perché sono fragile, e tutto il resto.» continuò. «Ho dovuto aspettare anni per scoprire di Katherine, mesi perché mia madre mi parlasse dei problemi di mio fratello, e tu... tu sei così ossessionato dall'idea di proteggermi che non te la senti nemmeno di parlarmi di te

«Elena... non è questo...» tentò lui.

«E invece sì!» ribatté la ragazza, staccandosi dalla sua mano senza nemmeno rendersene conto. «Non ti fidi di me perché pensi che io sia fragile. E anche se so che una buona parte del motivo per cui non condividi le tue cose con me è la tua innata diffidenza per il genere umano, l'altra metà è questa.»

Forse non sarebbero mai stati una coppia classica, una di quelle che ha i problemi e semplicemente ne parla per risolverli, forse non sarebbero mai nemmeno durati tanto a lungo da tirarsi le stoviglie addosso, come aveva detto lui.

E forse essere come gli altri era noioso, ma non esserlo fa schifo lo stesso.

«Io voglio solo essere normale.»

«Tu sei normale.» si ritrovò a ricordarle, col tono di chi crede di aver appena sentito un'assurdità. «E non è un insulto, prima che tu me lo chieda.»

La ragazza rimase in silenzio, con gli occhi puntati sull'altro bordo della piscina piuttosto che su di lui.

«E nel frattempo nemmeno ti sei accorta che ti sei mossa.» le fece notare. «Ti piace muoverti quando sei incazzata. Lo vedi? Sei normale, finché non ci pensi troppo su.»

Si era spinta contro di lui, gli aveva anche puntato un dito contro e l'aveva spinto nell'acqua. Adesso le arrivava sotto al seno.

«Oddio!» adesso sì che era impanicata.

«Usciamo, prima che questa pagliacciata finisca davvero per farti sentire male.» la prese di peso e la riportò alle sdraio, come un sacco di patate. «Sei un'incosciente.»

Imbronciata, perché i fatti gli avevano dato ragione, dentro la sua asciugamano, Elena grugnì di disapprovazione.

«Forse.» concesse.

Non era arrivata troppo in là, però... anche se era stato Damon a metterci del suo.

«Ti va di farti fare qualche massaggio per rilassare i tuoi nervi tesi?» le propose, quindi.

«E tu cosa fai mentre io mi faccio bella?» l'idea che qualcun altro, perfino gente che ci lavorava lì, e non aveva nessun interesse per lui potesse toccarlo non le piaceva per niente.

Damon ci pensò su. «Io penso che farò una sauna.» scelse. «Così quando hai finito possiamo andare a cena.»

L'idea dei massaggi sembrò essere vincente: Elena uscì dalla spa più rilassata di quanto ricordasse di essere mai stata nella vita.

Quando rientrò in camera, Damon era già là, sul letto, con un paio di pantaloni e una camicia addosso, semplici. Vestito come l'aveva visto vestito un'altra decina di volte.

«Wow.» non poté fare a meno di mormorare.

Lui tirò su un sopracciglio. «È per me o la camera ancora non ha finito di stupirti?»

Elena si affrettò a prendere le cose che le servivano per una doccia. «La camera, ovviamente!» rispose, dopo si chiuse in bagno.

L'idea del sesso la attirava particolarmente, eppure era da quando avevano litigato che nessuno dei due aveva alzato un dito in quella direzione. Era passato un mese e questa volta era un po' peggio dell'inizio, perché cosa si perdeva lo sapeva anche troppo bene.

Sarebbe successo, quella notte? Si sbrigò a controllare che, in caso, fosse tutto a posto, anche se Caroline aveva ordito, a sua insaputa, una ceretta dell'ultimo minuto.

Eppure non c'era niente fuori posto.

Cenarono in un ristorante che Elena trovò molto carino, per arrivarci addirittura riconobbe alcune strade da cui erano passati col taxi. Ci arrivarono a piedi, dopo una relativamente lunga passeggiata mano nella mano che non le fece nemmeno pesare i tacchi altissimi che aveva ai piedi, riempita dalle informazioni sull'architettura della città.

A Damon quelle cose piacevano da impazzire.

«Quindi vuoi davvero mantenere la promessa.» osservò la ragazza, dopo, da dietro il suo menu, fingendosi pensierosa.

Lui sollevò lo sguardo, confuso. «Riguardo a cosa?»

Sempre facendo finta di studiare attentamente il menu, Elena fece una leggera smorfia con la bocca. «Avevi detto mi avresti provato che la vera pizza non è quella che mangiamo in America.»

Damon rise, ed Elena perse un battito.

«Lo vedrai.» le assicurò, birichino. «Non vedo l'ora di sentirtelo dire.»

E lei non poté nasconderlo: era una normalissima pizza Margherita, ma già al primo morso ne fu incantata, ebbe da ridire solo sulla Coca Cola.

«Non ha lo stesso sapore!» asserì, convinta.

Damon corrugò la fronte. «Non dire scemenze.» la contraddisse. «È roba industriale, ha lo stesso sapore in tutto il mondo!»

«Sarà.» borbottò lei, prendendone un altro sorso. «Ma a me pare diversa.»

«Tu devi essere una delle filosofe della Coca in vetro.» ribatté lui, scettico.

Per dolce, scelsero di dividere un tiramisù, e solo perché Elena non era sicura di poter mangiare un dolce tutto intero da sola. Finì che se lo mangiò comunque, se non per qualche cucchiaiata che Damon riuscì a racimolare mentre lei era distratta dall'osservare il locale e le persone.

«Lo sapevo che sarebbe finita così.» fu il suo commento scornato. «Non vale.»

Con la sua aria vincente, Elena ingurgitò l'ultimo pezzo di tiramisù. «Questo lo dici tu.»

Ma in realtà lo sapeva che era lui per primo a lasciare che lei facesse così, che piacere ne traesse proprio non ne aveva idea, quel gioco sembrava semplicemente divertirlo.

Più tardi erano di nuovo per strada, a passeggio. Faceva straordinariamente caldo, per lei, e infatti lui aveva addosso la sua amata giacca di pelle, mentre il suo cappotto era completamente fuori posto. Aveva un po' caldo, ma era quella temperatura tale che, se l'avesse tolto, avrebbe avuto freddo.

Perciò si strinse al braccio di Damon, inspiegabilmente felice: nei locali c'era la musica, il vociare della gente riempiva le strade, e le luci rendevano l'atmosfera magica. Non era un grandissima città, ma di sicuro più grande di Mystic Falls, c'era una vita a cui non era abituata.

«Ti va di ballare?» le chiese Damon, a un certo punto sulla strada, nei pressi di un locale davanti al quale c'erano già altre coppie a fare lo stesso.

Elena sapeva che non sarebbe durata molto su quei tacchi, ma disse di sì lo stesso, perché sembrava la cosa giusta da fare. Ballare li aveva già riuniti una volta, e le cose sembravano andare così bene, che perfino l'aria sembrava più leggera.

"Sei di nuovo il mio Damon" pensò, allegra.

Fu lei stessa a trascinarlo su quella che era diventata un'improvvisata pista da ballo, e gli circondò il collo con le braccia. Le mani di Damon andarono sui suoi fianchi e si lasciarono andare al ritmo della musica.

Non seppe mai se fu l'atmosfera quasi magica, per lei, oppure semplicemente il fatto che non erano così vicini da settimane, ma a un certo punto, Elena si alzò sulle punte e baciò Damon, lì, in mezzo alla gente, una di quelle cose che lei si vergognava a fare, a casa.

Lui la strinse con altrettanto coinvolgimento, e sulla sua bocca, propose una fuga in albergo, completamente condivisa.

E dopo, la corsa in taxi, e il rientro in albergo, accompagnato dalle risatine di Elena, e il sorriso sornione di Damon, con le mani sulla vita di Elena, perché di smettere di toccarla non ne voleva sapere.

Chiesero la chiave, ma lontano da occhi indiscreti, in ascensore, tornarono l'uno sull'altra, subito dopo aver spinto il bottone del piano.

«Ti amo.» mormorò sulle sue labbra, lei, proprio mentre la chiave magnetica strisciava nell'apertura.

Damon le baciò il naso. «Anch'io.» rispose, semplicemente.

Eppure Elena, poco prima che si chinasse di nuovo, dietro la porta ormai chiusa, a riprendere dove si erano interrotti, lo fermò.

«Davvero?» chiese, piano. «Allora, non te ne vai più, vero?»

Il suo timore era giustificato, si disse lui, era sparito senza dire nulla, e gli sarebbe piaciuto dire "Non me ne sono mai andato", ma in realtà sapeva che non era così. Aveva già tradito una promessa che le aveva fatto e che, in effetti, non era in grado di fare una volta.

Non riusciva a mentire un'altra volta.

Chi poteva saperlo, dopotutto?

Lasciarla senza risposta fu forse peggio che dire di no, Elena fece un passo indietro, chiedendosi se, invece, fosse mai tornato.

«Elena.» fu ciò che disse lui. «Mi dispiace, non volevo.»

E non voleva niente di tutto ciò che era successo da un certo punto in poi, ma di promesse grandi non ne poteva fare più.

«Non volevo rovinare tutto.»

Lei si esibì nel sorriso più sincero possibile. «Lo so.» e forse lo sapeva per davvero, oppure l'aveva appena capito: non stava soffrendo solo lei.

"Non è la tua storia"

Non era vero nemmeno questo.

Non era solo il momento.

Lo so . Sono una brutta persona che pubblica tardi la domenica sera.

Credetemi, alla fine non sono riuscita comunque ad editarlo tutto, perché dovete sapere che sono una brutta persona che fa sempre le cose all'ultimo minuto.

Spero di fare prima come al solito, ma so già che farò danni.

Spero che il cap vi sia piaciuto :3

Grazie per esserci ancora nonostante i miei ritardi <3

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